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Quale era la differenza tra i S.L.C. e i chariot britannici? Ce lo racconta Mauro Moscatelli

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MEZZI DI ASSALTO
parole chiave: S.L.C., Chariot

 

La storia degli Assaltatori italiani nella Seconda guerra mondiale è universalmente conosciuta. Sulle gesta di quel manipolo di uomini che, a cavalcioni del Siluro a Lenta Corsa (S.L.C.) – frutto del più puro ingegno italiano – combatterono in tutti i teatri bellici del Mediterraneo, sono stati scritti fiumi di inchiostro. Probabilmente meno conosciuta è la storia dell’omologo apparecchio britannico, lo “Chariot”, che sull’onda dei clamorosi successi italiani tentò, con la sua messa in linea nel 1942, di imitarne le gesta.

Forse per questo motivo e forse anche a causa della scarsa disponibilità di foto che ritraggono l’S.L.C., a volte l’inglese “Chariot” viene spesso confuso, dai meno attenti, con il guerresco apparecchio letteralmente inventato da Teseo Tesei e Elios Toschi nei primi anni ’30.

L’S.L.C.

L’idea di costruire un mezzo innovativo semovente subacqueo nacque da una conferenza tenuta presso la Regia Accademia Navale di Livorno da Raffaele Rossetti sull’affondamento della Viribus Unitis con la “Mignatta”. Un’idea  che attivò l’immaginazione di Teseo Tesei per realizzare il progetto del Siluro a (di) Lenta Corsa (alcune fonti anche Siluro a Lunga Corsa) passato alla storia con il nomignolo di “maiale”. Sviluppato con l’aiuto di Elios Toschi, il primo prototipo dell’L.S.C. fu collaudato nel Regio Arsenale di La Spezia la notte del 26 ottobre 1935. La prima versione del mezzo subacqueo semovente realizzato da Teseo Tesei e Elios Toschi presentava le seguenti caratteristiche:

  • Peso totale 1.400 kg
  • Lunghezza f.t. 7,30 m
  • Diametro del corpo del cilindro 530 mm
  • Propulsione motore elettrico a corrente continua da 1,6 HP
  • Velocità massima circa 3 nodi
  • Autonomia circa 15 miglia alla velocità di 2,3 nodi

Il siluro a lenta corsa venne impiegato in tutti i teatri del Mediterraneo con fortune alterne, soprattutto nelle prime fasi della guerra. Infatti, soprattutto a causa di colpevoli ritardi nello sviluppo di tutta la componente, le prime operazioni fallirono la prova a causa di stupide avarie che impedirono di cogliere il pieno clamoroso successo, a volte a pochi metri dall’obiettivo. Fallimenti operativi che permisero agli inglesi di iniziare a raccogliere preziose informazioni sulla nuova arma sviluppata dagli italiani, che consentiranno loro, nel 1942, di realizzare la versione britannica della “torpedine semovente” italiana. Ma a fronte di questi insuccessi, malgrado l’imponente sistema difensivo messo in atto dagli inglesi, che ormai ben conoscevano la minaccia, numerose furono le operazioni portate a termine con pieno successo, la più eclatante delle quali fu certamente l’operazione del 1941 contro la roccaforte di Alessandria d’Egitto, passata alla storia con l’acronimo di “operazione G.A.3“.

Il Chariot

Il successo dell’operazione ad Alessandria d’Egitto, quando tre S.L.C. causarono l’affondamento delle uniche corazzate della Mediterranean Fleet, indussero il Primo Ministro britannico Winston Churchill ad intervenire presso il Comitato dei Capi di Stato Maggiore: “Prego riferire su quanto è stato fatto per emulare i successi degli italiani nel porto di Alessandria attraverso analoghi metodi (…) C’è qualche motivo per cui noi si sia incapaci della stessa specie di scientifica azione aggressiva dimostrata dagli italiani?” Il risultato di questa dura reprimenda fu la realizzazione di una copia pressoché speculare del semovente italiano, che gli specialisti britannici riuscirono a realizzare grazie alle abbondanti informazioni tecniche raccolte fin dal 1940. È così nacque lo Chariot, letteralmente “carretto”, il cui primo vero esemplare fu provato in mare nel giugno del 1942. Le principali caratteristiche tecniche e prestazioni dello “Chariot” MK1 non si discostavano molto dai primi S.L.C. italiani:

  • Peso totale circa 1.500 kg
  • Lunghezza f.t. 6,80 m
  • Diametro del corpo centrale 533 mm
  • Propulsione motore elettrico a corrente continua da 2 HP
  • Velocità massima 2,9 nodi
  • Autonomia circa 17,4 miglia a 2,9 nodi

I risultati ottenuti dagli inglesi con il loro Chariot nel periodo pre-armistizio non furono esaltanti. Delle 4 operazioni avviate solo quella contro il porto di Palermo del gennaio 1943 ebbe successo, con l’affondamento dell’incrociatore leggero Ulpio Traiano ed il grave danneggiamento della motonave Viminale. Durante il periodo della co-belligeranza italiana con gli alleati i Chariot parteciparono nel giugno del ’44 all’attacco della base navale di La Spezia in mano tedesca, provocando l’affondamento dello scafo in abbandono della RN Bolzano. Il 19 aprile del 1945, con l’operazione “Toast”, 2 Chariots attaccarono l’incompiuta portaerei Aquila all’ormeggio a Genova.

Da questa constatazione e dalla volontà di rendere onore a quegli incredibili combattenti, che dall’una e dall’altra parte combatterono per mare, ho sentito l’esigenza di scrivere questo breve articolo, con l’intento di indicare quegli elementi specifici che consentano di individuare inequivocabilmente, con facilità e certezza, quando si tratta del semovente italiano e quando di quello inglese.

Le differenze tra l’equipaggiamento subacqueo del pilota inglese da quello italiano sono numerose e ben evidenti. Dovendo operare anche nelle fredde acque del nord, il pilota inglese era equipaggiato con una tuta stagna decisamente più imponente. La tuta era dotata di un cappuccio che copriva completamente la testa come una sorta di elmo da palombaro. La maschera era costituita da un vetro mobile che veniva serrato sull’intelaiatura del cappuccio per mezzo di alcuni galletti di fissaggio a vite. Sulla sommità del cappuccio era presente una valvola che consentiva di scaricare l’eccesso di aria presente all’interno della tuta stagna. Questi tre elementi sono facilmente individuabili in tutte le fotografie di Chariot che circolano in rete e rappresentano, di fatto, gli elementi che più di altri consentono di distinguere i piloti inglesi dai piloti italiani. Molto più semplice l’equipaggiamento del pilota italiano che lasciava completamente libera la testa. Per proteggersi dal freddo il pilota poteva indossare una sorta di cuffia imbottita.

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La maschera bioculare, visibile nella foto indossata dalla M.A.V.M. Mario Tadini, fu successivamente sostituita da una maschera con lente unica.

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Nella foto che ritrae Luigi Durand De La Penne è ben visibile l’enorme differenza, in termine di ingombri, tra l’equipaggiamento subacqueo in dotazione ai piloti italiani rispetto ai corrispettivi inglesi (due immagini sul lato sinistro).

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Anche per quanto riguarda il semovente si possono facilmente notare delle importanti differenze tra l’apparecchio italiano (S.L.C.) e quello inglese (Chariot). In particolare, le differenze che facilmente balzano all’occhio riguardano le sovrastrutture che armano la parte centrale del semovente destinata ad ospitare e proteggere i piloti. All’apparenza più squadrato e spigoloso quello inglese, più rotondeggiante quello italiano. Inoltre lo Chariot inglese è ulteriormente caratterizzato dai numerosi fori cilindrici delle piastre di rinforzo laterali, sempre ben visibili quando l’apparecchio è fuori dall’acqua.
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Queste due immagini conclusive evidenziano le caratteristiche distintive dello Chariot inglese sopra descritte. Grazie all’osservazione di queste semplici caratteristiche, spero sarà ora più semplice distinguere lo Chariot inglese dall’SLC italiano senza cadere in inganno.

Mauro Moscatelli

articolo pubblicato originariamente su S.L.C. o Chariot? Attenzione a non confonderli | (anaim.it)


Per saperne di più

Per chi volesse approfondire il tema trattato, consiglio le seguenti letture:

I Mezzi di assalto italiani 1940-1945

Questo splendido volume bilingue realizzato dalla Edizioni “Storia Militare” è una vera e propria bibbia sul mondo dei mezzi d’assalto italiani dove vengono riportati con dovizia di particolari tutte le informazioni tecniche disponibili sui mezzi sia subacquei sia di superficie. Notevoli anche gli approfondimenti sulle realizzazioni similari prodotte da Inghilterra, Germania e Giappone. Infine non mancano approfondimenti sugli equipaggiamenti utilizzati dagli Incursori italiani, e sull’organizzazione logistica messa in piedi dalla Decima Flottiglia MAS. Un libro che non può assolutamente mancare nella libreria di un appassionato della storia dei mezzi d’assalto.

Chariots of war

L’autore di questo volume in lingua inglese è Robert E. Hobson, figlio del Lieutenant-Commander R.S. Hobson, pilota di Chariot durante la Seconda guerra mondiale. In seguito alla morte del padre avvenuta nel 1989, Robert si ritrovò quasi per caso a curiosare su una serie di documenti relativi alla sua esperienza di guerra; tra questi documenti spiccavano alcuni che riportavano la stampigliatura “TOP SECRET” ed erano relativi ad un’arma subacquea indicata come “chariot” o “siluro umano”. Incuriosito dalla lettura di quella documentazione, Hobson cercò di documentarsi ulteriormente, ma si rese immediatamente conto che esisteva pochissimo materiale circa questo affascinante ed importante aspetto della guerra navale, ne tanto meno un elenco degli uomini coinvolti in questa attività̀. Per riportare la memoria su questi ardimentosi marinai interpreti di una incredibile storia, Hobson ha creato un memoriale, un museo ed infine ha scritto questo libro. Chariot of war è il libro che racconta la storia dei “maiali” inglesi nella seconda guerra mondiale.

Inoltre:

Le armi segrete degli incursori britannici durante la seconda guerra mondiale, i chariot • (ocean4future.org)

la serie I mezzi di assalto, dalla mignatta ai siluri a lenta corsa: le azioni che cambiarono la guerra navale – prima parte • (ocean4future.org)

NOTA: le immagini presentate in questo articolo sono tratte dai libri “I mezzi d’assalto italiani 1940-1945” e “Chariots of war “.

 

 

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