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Il mascherino

tempo di lettura: 8 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: ATTREZZATURA
parole chiave: Mascherino
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In acqua si possono, anzi si debbono avere gli occhi aperti: infatti nuotare ad occhi chiusi, come si vede fare da alcuni, è come camminare bendati. Ma ad occhi aperti, anche se si può vedere, non si riesce a distinguere con precisione ed esattezza il contorno degli oggetti, e tutto ci appare come attraverso un vetro smerigliato. In effetti l’occhio umano è costruito per ricevere raggi luminosi in ambiente atmosferico dove la densità dell’aria è di gran lunga minore della densità dell’acqua. L’acqua pertanto agisce sull’occhio come una lente sfocando tutte le immagini; analogo fenomeno accade quando una persona di vista sana mette un paio di occhiali.

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Ne consegue che per ovviare all’inconveniente bisogna riportare l’occhio nelle condizioni normali fisiologiche e cioè interporre tra l’occhio e l’acqua del mare un cuscino d’aria. Ciò si può ottenere con diversi sistemi: il casco da palombaro che copre tutta la testa, gli occhiali da nuotatore (che però salvano solo gli occhi), la maschera a gran facciale che copre tutto il volto, ed il mascherino che copre occhi e naso. L’ardito incursore usa questo ultimo oggetto, che è anche quello più diffuso tra i subacquei sportivi e professionisti, e più pratico. È costituito da una piccola lastra di vetro trasparente e da una parte di gomma che ha il compito di aderire alle forme del viso e reggere davanti agli occhi il vetro. Per calzarlo bene si mette il cinturino piuttosto in alto, quasi al sommo della nuca, in modo che la pressione della gomma sul viso sia uniforme in ogni punto. Il mascherino non deve provocare indolenzimento o dolori in nessun punto: meglio, però, avere il cinturino un pò in tensione, che decisamente lento. I capelli non devono venire a trovarsi tra la pelle della fronte e il bordo di gomma, altrimenti potrebbe entrare acqua.

Pulire il mascherino

Per provare la tenuta ermetica del mascherino si deve inspirare un po’ d’aria col naso: se il mascherino preme sul viso, la tenuta è buona. Prima di scendere in acqua occorre ancora provvedere ad una operazione semplice quanto importante: pulire il vetro e spargere l’antiappannante sulla sua faccia interna. Infatti per il divario di temperatura, la faccia interna del vetro più calda tende ad appannarsi e ad impedire così una corretta visuale. Si può ovviare a questo inconveniente strofinando sulla faccia interna una fetta di patata cruda, oppure il tabacco di una cicca, o ancora alghe di scogli; si può anche (forse con miglior risultato, e certamente con estrema praticità) sputare saliva sul cristallo, e spanderla così col dito uniformemente su tutta la superficie e quindi sciacquare con acqua.

Esercizi connessi con l’uso del mascherino

Prima prova

La prima prova consiste nell’allagamento e nel successivo esaurimento del mascherino; questo esercizio è per il subacqueo di grandissima utilità ed è fondamentale saperlo eseguire con massima disinvoltura. Può accadere infatti che il mascherino si allaghi per imperfetta tenuta. Bisogna quindi abituarsi a restare immersi con il mascherino allagato, poiché a volte, in particolari situazioni, non è possibile esaurirlo, e abituarsi anche ad esaurirlo senza venire in superficie. Si distacchi leggermente dalla fronte l’orlo superiore del mascherino: l’aria andrà verso la superficie e il mascherino si riempirà d’acqua. Alcuni individui, non esperti, a questo punto avranno l’impressione di soffocare, di non vederci o addirittura, nel pressoché inevitabile orgasmo delle prime prove, aspireranno acqua dal naso. Non ci si deve spaventare per questo, né di venire in superficie annaspando, ma, rimanendo in apnea, si deve soltanto evitare di impiegare il naso. È importante inoltre non chiudere gli occhi e vincere la sensazione fastidiosa, provocata dal tenere gli occhi aperti.

Come esaurire il mascherino

Per esaurire il mascherino è necessario espirarvi dal naso un pò d’aria, avendo cura di rovesciare la testa all’indietro (cioè fa sì che il vetro sia quasi parallelo alla superficie) e premere con la mano sul bordo superiore del vetro. L’acqua, spinta dall’aria sfugge dalle vie formatesi tra gomma e pelle all’altezza delle orecchie e sotto il naso.

Seconda prova

La seconda prova è la logica prosecuzione della precedente: consiste nel togliersi sott’acqua il mascherino, rimetterlo ed esaurirlo. Le operazioni da compiere sono, evidentemente uguali a quelle precedenti descritte per quanto riguarda l’esaurimento. Ciò che invece richiede una maggiore attenzione è l’atto di calzare il mascherino. Abbiamo detto infatti che a occhio nudo, sott’acqua non è possibile distinguere i contorni degli oggetti; donde, se il mascherino è asimmetrico (cioè se la gomma è sagomata in modo da avere la parte che aderisce alla fronte diversa da quella che aderisce al labbro superiore), il tatto deve sopperire alla deficienza della vista. D’altra parte in molte circostanze l’operatore subacqueo in generale e l’incursore in particolare, devono avvalersi del tatto ed essere in grado di padroneggiare, affidandosi quasi esclusivamente al tatto, situazioni ben più difficili di quella di calzare il mascherino.

Il primo mascherino

Nel 1935 il Capitano di Fregata Gaetano Catalano Gonzaga di Cirella, Comandante del 1° Gruppo Sommergibili di La Spezia, fu incaricato di preparare il personale designato ad impiegare i mezzi d’assalto e di procedere, contemporaneamente, ai primi esperimenti con l’SLC realizzato da Tesei e Toschi. Tra i vari problemi che il Comandante Cirella e il suo staff dovette affrontare, ci fu anche quello di provvedere alla realizzazione di autorespiratori di lunga autonomia e di sicuro impiego. Determinate quelle che dovevano essere le caratteristiche generali di tale apparecchiatura si ricercò parimenti una idonea maschera subacquea. Finalmente nei mesi di giugno del 1935 la Ditta I.A.C. di Tivoli presentò una maschera subacquea da utilizzare con gli ARO in sperimentazione. Si trattava di una maschera in gomma che copriva interamente il viso (gran facciale) provvista di due «oculari» per la visione subacquea. All’interno, in prossimità della bocca, era presente un boccaglio sempre in gomma al quale, esternamente, era collegato un «rubinetto a tre vie». Dal rubinetto a tre vie un «tubo corrugato» collegava la maschera all’autorespiratore. Il rubinetto cosiddetto «a tre vie», aveva lateralmente una farfalla che, a seconda di come veniva manovrato dall’operatore, apriva o chiudeva una sorta di finestrella. Attraverso questa finestrella l’operatore poteva respirare aria (in superficie), oppure ossigeno puro attraverso l’ARO. Purtroppo la maschera non superò la sperimentazione in quanto sia la sagomatura sia la rigidità della gomma utilizzata nella costruzione non consentiva un’ottimale tenuta all’acqua, Anche il boccaglio non superò la prova in quanto non essendo delle giuste dimensioni provocava dolori alle gengive e alla bocca. Malgrado tali inconvenienti, le esperienze eseguite in mare convinsero la Commissione di essere sulla giusta strada. Fu pertanto deciso di richiedere alla Ditta alcune modifiche per migliorare le prestazioni di siffatta maschera.
Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Screenshot-2024-01-24-211440.pngIn particolare, la Commissione presieduta dal Comandante Cirella e composta dal Maggiore Medico Dorello, dal Capitano di Corvetta Moschini (Comandante del sommergibile H2) e dal Tenente di Vascello Teppati (Ufficiale in 2^ del Pisani) suggerì alla I.A.C. di modificare la sagomatura, da realizzarsi in forma quasi anatomica, al fine di ottenere una buona tenuta all’acqua ed evitare pressioni dolorose al contorno facciale. Fu anche richiesto di realizzare, se possibile, un sistema per poter effettuare delle comunicazioni verbali anche a maschera calzata. Inoltre fu richiesto di inserire delle nervature in modo che si evitasse la deformazione della maschera a causa degli squilibri di pressione che si venivano a realizzare tra l’interno e l’esterno durante l’immersione.

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Lo sdoppiamento dell’immagine

Tale tipologia di maschera, infatti, soffriva di un grave problema, mai del tutto risolto. A causa della pressione della colonna d’acqua la gomma si deformava talmente tanto da far assumere una diversa angolazione ai piani delle lenti degli occhiali, con conseguente sdoppiamento delle immagini.
Finalmente, nel novembre del 1935, la Ditta I.A.C. riuscì a fornire una maschera subacquea pienamente rispondente alle richieste della Commissione. Grazie ad una lunga serie di prove in mare, con risalite da profondità, con individuo cosciente o simulante un completo svenimento con rilasciamento delle labbra e con perdita del boccaglio dalla bocca, si poté finalmente verificare che la maschera aveva un’ottima tenuta all’acqua, si manteneva ben stabile in testa ed offriva una buona visibilità nelle più svariate condizioni di esperimento.

La manovra di Valsalva

In campo subacqueo la “manovra di Valsalva” (da Antonio Maria Valsalva, medico del ‘700 che la utilizzava per eliminare il pus contenuto nell’orecchio medio attraverso il condotto uditivo esterno nei casi di otite purulenta) consiste nel chiudere le narici con le dita e forzare aria nel naso, come per soffiarlo, per convogliarla attraverso le tube di Eustachio fino al timpano. Questa manovra riporta in equilibrio la pressione interna dell’orecchio medio con la pressione idrostatica esterna, una differenza di pressioni che si viene a creare scendendo in profondità. Senza una manovra di compensazione delle pressioni si va incontro a sicuro grave incidente, ovvero alla dolorosa perforazione del timpano, con tutte le conseguenze che questo comporta. Ovviamente la maschera gran facciale del ’35 non consentiva all’operatore la manovra manuale di compensazione, in quanto non era in nessun modo possibile raggiungere il naso con le mani a maschera indossata. Il problema fu risolto facendo indossare all’operatore un apposito stringinaso a molla prima di calzare la maschera.

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La compensazione della maschera

La pressione idrostatica esterna incide pesantemente anche sulla maschera, con il risultato che la maschera stessa tende a schiacciarsi contro il viso con conseguenze importanti: dolori fortissimi alle orbite oculari che possono portare anche alla rottura dei capillari sanguigni degli occhi, il cosiddetto «colpo di ventosa». Per evitare questo grave incidente, come nel caso dei timpani, la maschera deve essere compensata. Non potendo ovviamente utilizzare il naso ostruito dallo stringinaso, l’operatore rilasciava dalla bocca la quantità di ossigeno necessaria al riequilibrio delle pressioni. Con l’ARO modello G50 prodotto dalla Pirelli e dalla Salvas, fece la comparsa anche la prima maschera gran facciale con vetro unico che, finalmente, risolveva una volta per tutte il problema dello sdoppiamento delle immagini che aveva fin lì attanagliato le maschere bioculari. Anche con questo tipo di maschera, però, rimaneva irrisolto il problema della manovra di Valsalva, per cui l’operatore doveva ancora ricorrere all’utilizzo dello stringinaso a molla. Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Screenshot-2024-01-24-211522.png

Per risolvere definitivamente anche questo problema bisognerà attendere gli anni ’50 quando la MOVM Luigi Ferra brevetta il mascherino «Pinocchio». Si tratta di un prodotto che rivoluziona letteralmente il mondo della subacquea. Dotato di una lente unica, questo innovativo mascherino era realizzato in gomma elastica con il bordo molto morbido e sagomato in maniera tale da coprire anche il naso. Con questa geniale invenzione Ferraro risolse in un sol colpo tutti i problemi delle maschere allora presenti sul mercato. Intanto, lasciando libero il naso il subacqueo, al momento opportuno, poteva stringerlo con le dita dall’esterno. Così facendo e forzando l’aria nel naso tenuto chiuso dalle dita, l’operatore riusciva a realizzare la manovra di Valsalva, proteggendo così il timpano da rotture estremamente dolorose. Inoltre, senza serrare le narici con le dita e semplicemente espirando aria dal naso, era in grado di riequilibrare la maschera dalla pressione idrostatica esterna, evitando così tutte le conseguenze precedentemente descritte dovute allo schiacciamento della maschera sul viso.

Mauro Moscatelli
in origine pubblicato su ANAIM Nozioni del mestiere: “il mascherino” | (anaim.it)
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Fonti
• Libro di testo “Addestramento al combattimento (acqua) Corso Ordinario, Specialità Incursori, edizione provvisoria 1962
• Foto della MAVM Camillo Tadini per gentile concessione del figlio Marino
• Foto della MOVM Luigi Ferraro dal sito ufficiale www.luigiferraro.it
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