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Vediamo che tempo fa o farà

Diamo un’occhiata al tempo meteorologico

Meteo facile per tutti: vediamo che tempo fa o farà prossimamente con un insieme di link per aggiornarvi in tempo reale sulle condizioni meteorologiche locali e marine 

  Address: OCEAN4FUTURE

Dove nascono gli tsunami

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: OCEANOGRAFIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: fondali marini 
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Struttura dei fondali marini
Se potessimo svuotare gli oceani, potremmo osservare direttamente un susseguirsi di catene montuose, chiamate  dorsali medio-oceaniche che si snodano lungo la linea che separa i vari continenti. Ogni dorsale è costituita da catene montuose parallele tagliate da faglie trasversali tra le quali si osserva una spaccatura del fondo oceanico. Da queste spaccature fuoriesce continuamente il magma proveniente dal mantello sottostante. Il magma raffreddandosi con l’acqua dell’oceano spinge lateralmente il materiale già presente che si innalza aggiungendosi alle dorsali e creando crolli e smossamenti e, naturalmente, i terremoti sottomarini. 

Occasionalmente, ma non così raramente, si possono formare dei vulcani sottomarini. Il confine tra le placche genera delle vere e proprie spaccature che attraversano i fondali marini. Esse si ritrovano dove le differenze di densità sono grandi ad esempio nella Fossa delle Marianne, in quella di Porto Rico o nell’arco vulcanico posto lungo la grande faglia di Sumatra. L’aumento dei moti convettivi si verifica anche quando due placche si allontanano l’una dall’altra. Nel divario fra le faglie così prodotto, il magma si solleva e, incontrando l’acqua di mare (che ha una temperatura più fredda) si raffredda e solidifica, unendo entrambi i bordi delle placche tettoniche e creando una nuova dorsale oceanica. Quando il fenomeno si ripete si ha un accumulo verticale che può comportare la nascita di un vulcano sottomarino. Modificandosi continuamente  la forma del fondo marino, se un terremoto avviene in prossimità del fondo allora parte di esso sarà sollevato (o abbassato) e l’acqua di mare, essendo incomprimibile, solleverà la superficie del mare. Questa violenta risalita delle masse d’acqua può produrre una serie di onde anche di grandi dimensioni, ovvero quello che chiamiamo tsunami.

Di seguito la sequenza delle fasi di uno tsunami da: Surviving a Tsunami — Lessons from Chile, Hawaii, and Japan di Brian F. Atwater, Marco Cisternas V., Joanne Bourgeois, Walter C. Dudley, James W. Hendley II, e Peter H. Stauffer – Fonte U.S. Geological Survey, Circular 1187 vers.1.1. Tsunami – Wikipedia Eq-gen3.svg – Wikimedia Commons

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In pratica, è un effetto simile a quello delle onde causate da un sasso lanciato in un laghetto che, creando un’apertura nella superficie dell’acqua produce delle increspature in superficie. La lunghezza d’onda (ovvero la distanza tra una cresta all’altra)  dipenderà dall’energia in gioco. Poiché l’area colpita da un terremoto può essere enorme, la lunghezza d’onda delle onde potrebbe essere eccezionale, raggiungendo poi distanze di centinaia di miglia. Ricorderete tutti gli effetti dei terribili tsunami del 2004 (Indonesia) e del 2010 (Cile). La rappresentazione in basso mostra i treni d’onda che attraversarono l’Oceano Pacifico partendo dalla costa occidentale del Pacifico, al largo del Cile.  Il terremoto in Cile avvenne il 27 febbraio del 2010 con una magnitudo di 8,8 per circa tre minuti risultando il più forte terremoto dopo quello del 1960 (9,5 Mw, il più forte mai registrato). Il sisma liberò un’energia mille volte maggiore rispetto al terremoto di Haiti dello stesso anno e 30.000 volte maggiore del terremoto dell’Aquila (Italia). Fu lanciato un allarme tsunami per le coste del Cile e del Perù poi esteso alle coste dell Ecuador, della Colombia, di Panama e della Costa Rica. Gli effetti si sentirono  anche in Antartide.

Questa lista racchiude alcuni tra i più devastanti terremoti sottomarini:

Data del terremoto riferimento  link dell’evento epicentro e ipocentro del sisma  Magnitudine (Mw) note
11 marzo 2011 2011 Tōhoku earthquake epicentro a 130 chilometri (81 mi) al largo della costa orientale della penisola di Oshika, Tōhoku, con ipocentro ad una profondità di 32 km (20 mi).  9,0 considerato il più forte terremoto conosciuto che  ha colpito il Giappone
26 dicembre 2006 2006 Hengchun earthquakes epicentro  al largo della costa sud-occidentale di Taiwan, nello stretto di Luzon, che collega il Mar Cinese Meridionale con il Mar delle Filippine.   7,1  
26 dicembre 2004 2004 Indian Ocean earthquake epicentro al largo della costa nord-occidentale di Sumatra, in Indonesia. 9,3 il terzo più grande terremoto mai registrato nella storia che causò una devastazione diffusa della costa con una stima di circa 230.000 morti nei paesi in tutto il Golfo del Bengala e l’Oceano Indiano.
4 maggio 1998   parte dell’isola di Yonaguni fu distrutta da un terremoto marino    
22 maggio 1960 1960 Valdivia earthquake epicentro al largo della costa del centro-sud del Cile 9,5 il più forte terremoto mai registrato (le prime registrazioni incominciarono nel 1900)
20 dicembre 1946 1946 Nankaido earthquake epicentro al largo della costa meridionale della penisola di Kii e Shikoku, in Giappone 8,1  
7 dicembre 1944 1944 Tōnankai earthquake epicentro a circa 20 km al largo della costa della penisola di Shima in Giappone. 8,0  
18 novembre 1929 1929 Grand Banks earthquake epicentro a Grand Banks, al largo della costa a sud di Terranova, nell’Oceano Atlantico 7,2  
15 giugno 1896 1896 Sanriku earthquake epicentro al largo della costa nord-orientale Sanriku di Honshu, in Giappone 8,5  
4 aprile 1771   epicentro presso Yaevama a Okinawa, Giappone 7,4  
26 gennaio 1700 1700 Cascadia earthquake epicentro al largo di Vancouver Island a nord della California 9,0 uno dei più grandi terremoti tramandati

Esistono cause naturali che possono essere indotte da attività antropiche?
Questo argomento è molto delicato e controverso, specialmente dopo il recente sisma di Amatrice. Lascio agli esperti di settore fare le proprie valutazioni.

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zone sismiche – credit INGV

Di fatto  parliamo di una zona che per sua natura giace in un area altamente sismica (color rosso nella mappa dell’INGV). In tutti gli Appennini la presenza di faglie in movimento ha da sempre causato devastanti terremoti: dall’Irpinia dell’80 all’Aquila nel 2009 fino al più recente di Amatrice, Accumoli ed Arquata del Tronto (ma purtroppo non solo). I movimenti delle faglie causano periodicamente (e storicamente lo hanno sempre fatto) dei terremoti i cui effetti sul territorio sono pesanti da gestire. Se vogliamo gran parte dell’Italia ha questo problema essendo uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo.

Perché?
La sismicità della Penisola italiana è legata alla sua posizione geografica collocata nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica e sottoposta a forti spinte compressive che causano l’accavallamento delle placche.

Un fattore che sembrerebbe apparentemente solo geomorfologico e naturale ma, recentemente, sono state pubblicate delle evidenze scientifiche dalla rivista ‘Scientific American’ che rivelano che i terremoti possono essere causati anche da attività di fracking e da trivellazioni di petrolio e gas. 

Maria Rita D’Orsogna, ricercatrice della California State University, che da anni segue tra gli Usa e l’Italia la problematica delle trivellazioni, ha rivelato a Adnkronos una serie di casi accertati in tutto il mondo dove le attività petrolifere furono collegate a movimenti tellurici attorno al sesto grado della scala Richter. Ad esempio, negli Stati Uniti molte aree sono state colpite da sciami sismici proprio nelle zone in cui veniva effettuato il fracking (Arkansas, Ohio, Oklahoma, Texas). 

La ricercatrice italiana ha specificato che non è detto che ad ogni trivellazione segua un attività sismica che possa sfociare in un terremoto ma, visto che non si può escludere questa possibilità, in un Paese come l’Italia, sismicamente molto attivo, sarebbe meglio andare cauti. A creare problemi non sono solo le trivellazioni in sé ma anche i pozzi di re-iniezione, utilizzati per re-iniettare ad alta pressione, nel sottosuolo, sostanze di scarico delle trivellazione andando ad interferire con gli equilibri sotterranei – aggiunge – “Sarebbe opportuno che la geologia si interrogasse sulla questione, per amore della conoscenza, visto che in Italia, a differenza di altri Paesi, non ci sono molti studi sulla sismicità indotta“. 

Un esempio per tutti il Royal Netherlands Meteorological Institute (Knmi) che ha recentemente pubblicato un catalogo di casi di “terremoti indotti” causati dalla produzione di gas nel nord dell’Olanda. Si tratta di  ben 688 eventi dal 1986 al 2011, di magnitudine massima 3.5 Richter, concentrati nella zona di Groningen, che hanno causato danni minori ma molte preoccupazioni alle popolazioni locali.  Dal 2003, il governo olandese, raccogliendo le legittime preoccupazioni dei propri cittadini, ha iniziato a richiedere studi preventivi di compatibilità e di rischio sismico per le aree interessate da ulteriori azioni trivellative.

E in Italia a che punto siamo, visto che si è data l’autorizzazione a delle esplorazioni in zone geologicamente instabili come nel canale di Sicilia? Un’analisi del rischio dovrebbe essere effettuata per poter armonizzare le necessità energetiche alla sicurezza sismica nelle aree interessate.

 

in anteprima: formazione di uno tsunami – autore Sam 1353  File:Tsunami formation .png – Wikimedia Commons

 

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Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

 

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