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livello elementare
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ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA
PERIODO: 2700-2200 AVANTI CRISTO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: pirateria
L’isola di Dokos si trova nel mar Egeo, circa 60 miglia ad est di Sparta, Peloponneso. Tra le tante testimonianze di frequentazioni antiche le sue acque ospitano i resti di un naufragio considerato il più antico conosciuto che risale al secondo periodo Proto-elladico ovvero oltre 4.000 anni fa. Un periodo che si inquadra nell’età del bronzo, nell’Elladico II, durante il quale l’economia delle comunità era basata principalmente sulle prime attività di agricoltura del Neolitico. Fu in quel periodo che si impose l’uso del bronzo e del rame ed incominciarono i primi contatti tra le popolazioni.
Importanti siti, risalenti a quel periodo, sono stati ritrovati sulle sponde egee della terraferma in Beozia e in Argolide (Manika, Lerna, Pefkakia, Tebes, Tiryns) e sulle isole costiere di Aegina (Kolonna) e Eubea (Lefkandi). Una caratteristica comune era la fabbricazione di ceramiche che mostrano forti influenze stilistiche dell’Anatolia occidentale e, cosa importante, erano già realizzate alla ruota del vasaio. I resti del naufragio ritrovato da Peter Throckmorton si trovano nel mar Egeo a circa venti metri di profondità, nei pressi dell’isola di Dokos (il cui antico nome era Aperopia). Della struttura della nave resta ovviamente solo il carico essendo le parti in legno ormai perdute; come vedremo i suoi resti consistono in un copioso carico di centinaia di vasi di argilla e di altri oggetti in ceramica.
Raccontiamo la storia della sua scoperta
Era il 23 agosto 1975 quando il ricercatore statunitense Peter Throckmorton (1928-1990) scoprì per caso i resti di quell’antico naufragio. Sebbene in quegli anni si stavano sperimentando un pò dappertutto nuove tecniche nel campo della ricerca archeologica sottomarina, Peter passò alla storia per averle di fatto realizzate per primo.
Tutto iniziò nel 1959 quando si recò al Museo dell’Università di Pennsylvania annunciando di aver ritrovato i resti di un antico naufragio a Capo Gelidonya, Turchia. Throckmorton propose di iniziarne lo scavo sott’acqua impiegando le stesse metodologie impiegate dagli archeologi a terra. Va premesso che non era un archeologo professionista ma un fotoreporter che aveva passato due estati nell’Egeo ad osservare i pescatori di spugna di Bodrum. Per curiosità e passione aveva frequentato dei corsi di archeologia ed uno scavo a terra e fu affascinato dall’idea di organizzare uno scavo subacqueo subacqueo.
Al museo trovò un archeologo, George Bass che fu subito attratto dalla proposta e la sponsorizzò nel suo Ateneo. Un connubio che si dimostrò vincente. Bass fu nominato direttore dello scavo e Throckmorton fu incaricato dell’organizzazione della squadra di ricerca, due figure che sarebbero diventate un riferimento nella storia della archeologia subacquea. Nel 1973, Bass fondò l’Istituto di Archeologia nautica (INA) che, tra le sue tante scoperte annoverò la datazione dell’Odissea di Omero, la stesura delle cronologie delle dinastie egiziane e la determinazione delle caratteristiche delle varie culture elladiche.
Dopo lo scavo di Capo Gelidonya, Throckmorton viaggiò in molti Paesi per diffondere e migliorare le sue tecniche di archeologia subacquea. Si recò anche in Israele, in Italia e poi nuovamente in Grecia.
DOKOS
La scoperta del relitto di Dokos avvenne il 23 agosto 1975, ad una profondità tra i 15 ed i 30 metri. Throckmorton, durante un’immersione, ritrovò sul fondo diversi vasi in ceramica. Con il supporto delle Sovrintendenze elleniche, nel 1975 e nel 1977, effettuò due campagne di ricerca che portarono ad una datazione più accurata del sito; incredibilmente, dall’analisi dei reperti il relitto risultò databile nel periodo iniziale dell’Elladico II, ovvero tra il 2.700 ed il 2.200/2.100 a.C.. Un ritrovamento eccezionale che fa del relitto di Dokos uno dei relitti più antichi mai rinvenuti.
Vi sono molti libri che raccontano il ruolo pionieristico di Throckmorton nell’archeologia navale, dal “Shipwrecks and Archeology” (1970) ai numerosi articoli apparsi nel tempo su National Geographic. Come affermò Sebastiano Tusa, “gli esemplari scavi dei relitti di Capo Gelidonya, di Ulu Burun e di Dokos offrono una tale messe di dati al riguardo che hanno rivoluzionato quanto si sapeva dei commerci mediterranei nella seconda metà del II millennio a.C.”.
La nascita degli scavi moderni
Torniamo al relitto di Dokos. Dopo la sua scoperta accidentale, nel periodo dal 1989 al 1992 il sito fu estesamente scavato dall’archeologo George Papathanasopoulos, presidente dell’Istituto Ellenico di Archeologia Marina (HIMA). A causa dell’irregolarità del fondo marino, fu utilizzato un nuovo sistema di ricerca e mappatura acustico, chiamato Sonic High Accuracy Ranging e Positioning (SHARPS) con lo scopo di individuare i reperti archeologici sul fondo.
Questo strumento era stato sviluppato alla fine degli anni ’80 da Marty Wilcox, un fisico americano che aveva usato la sua esperienza nel settore medico per sviluppare uno scanner acustico di altissima qualità da impiegare in mare. Lo SHARPS, sebbene fosse piuttosto complesso da impiegare, a causa della gestione dei cavi che rimorchiavano i trasponder dalla barca appoggio, era in grado di produrre immagini acustiche straordinarie per l’epoca, con una accuratezza centimetrica degli oggetti posti sul fondo marino. Furono condotte indagini accurate sul relitto e fu così confermata la datazione degli artefatti risalenti ad oltre quattro mila anni fa.
I reperti di Dokos
Secondo l’Istituto Ellenico di Archeologia marina, la presenza di ceramica della Cicladi nel relitto di Dokos lo fa risalire al 2.200 avanti Cristo, facendone il più antico sito di naufragio mai scoperto. Durante lo scavo del 1989-1992, il sito produsse oltre 15.000 manufatti in ceramica che furono sollevati dal fondo del mare e trasportati fino al Museo Spetses per essere studiati e conservati.
Venne stabilito che gli oltre cinquecento vasi di argilla provenivano da un antico stabilimento di produzione in Argolide, destinati al commercio con i piccoli villaggi costieri attorno al Golfo di Argos e al Mar di Myrtoan. Il sito di fatto offre una delle più grandi collezioni di ceramiche del primo Elladico conosciuto. Per dare un idea della eccezionalità della scoperta, si scoprì che la tecnologia con cui questa ceramica era stata realizzata in un’era antecedente all’invenzione della ruota del vasaio.
Il vasellame ritrovato comprende centinaia di pezzi in ceramica tra cui tazze, stoviglie e urne. C’erano anche una varietà di recipienti per salse in molteplici forme e dimensioni dei tipi più comuni trovati nella Grecia meridionale e centrale di quel periodo. In particolare, queste salsiere risultarono molto simili a quelle prodotte ad Askitario in Attica, e paragonabili a quelle di Lerna e delle Cicladi. Ciò dimostra che il naufragio avvenne lungo una rotta marittima dall’Eubea meridionale verso Saron e l’Argolide. Furono anche ritrovate molte anfore, così come vasi a grana larga, bracieri, vassoi da forno, askoi, pithoi, lingotti in piombo ed utensili di uso comune. Per quanto riguarda la dotazione nautica furono trovati, a quaranta metri dal relitto, alcuni ancoraggi in pietra, consistenti in due grandi massi con fori forati, probabilmente abbandonati prima che la nave affondasse. In antichità era infatti prassi comune, quando le navi erano prese dalle tempeste, tagliare le cime di ancoraggio e lasciare le ancore sul fondo.
Un ritrovamento che fece storia sia per le prime tecniche subacquee utilizzate, che per la grande quantità dei materiali ritrovati che fanno comprendere come, oltre quattro millenni fa, il Mediterraneo era già un crocevia marittimo.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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