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I biomarcatori della Malattia da Decompressione – intervista al Prof. Simon Mitchell, parte 4

tempo di lettura: 5 minuti

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livello difficile

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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: XXI SECOLO 
AREA: DIDATTICA

parole chiave: Mitchell, Di Ruzza, biomarcatori

 

Con il termine decompressione si intende la distribuzione e la durata delle soste da effettuare a determinate profondità al termine di un immersione durante la risalita. Esse sono in funzione di determinati vincoli. È quindi qualcosa di più complesso della dicotomia soste fonde/soste superficiali, per cui è necessario analizzare attentamente il profilo di ogni immersione per determinare quelle soste necessarie per minimizzare il rischio di Malattia da decompressione (MDD). Una tale ottimizzazione non è semplice e richiede una gran mole di simulazioni, a parità di fattori, per garantire la comparabilità delle prove e determinare soluzioni di  maggior efficacia e minor rischio.

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La stima migliore della probabilità associata al profilo di immersione è legata alle microbolle. Ci sono altri fattori rilevanti? Ad esempio, le chemochine pro-infiammatorie?
Ottima domanda, uno dei “Sacro Graal” nella medicina subacquea è un biomarcatore che sia valido per la Malattia Da Decompressione [MDD], In realtà, non ne abbiamo mai trovato uno, non abbiamo mai trovato un test che si possa eseguire. Non puoi fare un esame del sangue per la MDD, non c’è modo di prevedere con precisione quando qualcuno sta per contrarre la MDD oltre ai sintomi stessi. In realtà questo è ciò che rende lo studio NEDU così sorprendente: la migliore misura di esito per la MDD è la MDD stessa.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è IMG_1188-1024x768.jpgIl risultato principale era che i subacquei si ammalavano. Ovviamente questa modalità è improponibile ai comitati etici e stiamo cercando altri elementi. L’embolia gassosa venosa è stata a lungo utilizzata come misura dello stress da decompressione. Sono misure imperfette ma, non c’è dubbio che esiste una relazione tra il numero di embolie gassose venose rilevate ed il rischio di Malattia da Decompressione. Sfortunatamente, il valore predittivo positivo del grado di embolia è in realtà piuttosto limitato. Non è una misura eccezionale, ma è valida ed è quella utilizzata dalla maggior parte delle persone.

Le chemochine infiammatorie sono un’ottima idea anche se puoi avere alti livelli di chemochine e MDD, oppure bassi livelli di chemochine e avere MDD. Non è quindi un biomarcatore perfetto. In realtà i dati non sono così decisivi, ma in generale ti aspetti che le chemochine come marker infiammatori siano più alte nelle persone con la MDD. Quindi, penso che l’interleuchina, i marker infiammatori e le microparticelle, tendano ad essere più alti quando si ha la MDD.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è M-IMG_5673-1024x575.jpgIn realtà, semplicemente, non abbiamo un valido biomarcatore per lo stress da decompressione, è ancora un sacro Graal. Alcuni ricercatori stanno iniziando ad utilizzare marker infiammatori, come lo studio Spisni, al quale ha partecipato il mio ottimo amico Pasquale Longobardi. Quello studio utilizza un marker infiammatorio come misura del risultato. Va bene, ma hai solo una prospettiva di ciò che effettivamente significa: nessuno dei subacquei in quello studio aveva una MDD, e utilizza i cambiamenti infiammatori come misura del risultato. Quindi, oggi non c’è risposta, non abbiamo un biomarcatore perfetto per la MDD, ma se qualcuno riuscirà a scoprirne uno, sarà fantastico.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è IMG_1182-corr-1024x768.jpgL’elio limita la risposta infiammatoria dell’endotelio associata alle immersioni?
Domanda interessante, al momento è un’area di grande attenzione. Le potenziali proprietà antinfiammatorie e neuroprotettrici di qualsiasi gas, incluso l’elio (anche l’argon), è un argomento di profondo interesse in un’ampia comunità medica. Non solo per la subacquea, ci sono molti scenari in medicina in cui le persone sono a rischio di lesioni cerebrali e ci sono molte speculazioni sul fatto che ventilarle con gas come argon o elio possa ridurre tale rischio ed anche danni a lungo termine da processi infiammatori. Questo è in realtà un argomento che emerge anche in relazione al Covid: ha qualche valore ventilare persone con alcuni di questi gas che possono avere proprietà antinfiammatorie? Direi che puoi solo descrivere i dati disponibili come contrastanti: quindi, ci sono alcuni studi che supportano questa idea e ce ne sono altri che non lo fanno.

Non dirò nulla sui risultati effettivi, ma su Diving Hyperbaric Medicine Journal, che è una rivista scientifica pubblicata dallo European Underwater and Baromedical Society [EUBS], dalla Medical Society e dalla SPUMS [South Pacific Underwater Medicine Society], di cui sono l’editore, stiamo per pubblicare uno studio italiano, di Monica Rocco e il suo team, proprio su questo tema. Non dirò altro perché sarebbe inappropriato. Tutti voi subacquei interessati alla medicina subacquea dovreste essere membri di SPUMS o dello European Underwater e leggere il giornale perché è pieno di spunti. Ogni numero è utile per le immersioni, ci sono gli ultimi aggiornamenti di medicina subacquea e non è così costoso come membro associato, sono abbastanza sicuro che come associato non sia necessario pagare la quota intera da medico. È certamente un’area interessante e controversa, ci sono prove per entrambe le tesi e troverete un articolo su questo nel numero di giugno sul DHM [Diving and Hyperbaric Medicine]. Quindi nessuna risposta definitiva.

Fine parte 4 – continua

Paolo di Ruzza

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