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Meteo facile per tutti: vediamo che tempo fa o farà prossimamente con un insieme di link per aggiornarvi in tempo reale sulle condizioni meteorologiche locali e marine 

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Eppur si muovono: caratteristiche e controlli della coperta

tempo di lettura: 8 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: NAUTICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: manutenzione imbarcazioni

 

Spesso i criteri più usati nella scelta di una barca sono principalmente estetici, di abitabilità e di tendenza del momento. I principi aero-idrodinamici, strutturali e di sicurezza sono di frequente purtroppo meno convincenti rispetto alle regole dello spazio e del design.

Come si dice, “tanto il motore spinge ogni cosa
In realtà è vero, più di quanto si possa immaginare. Nei motoscafi è una condizione naturale ma è sicuramente meno accettabile in una barca a vela dove il motore è il vento, i dislocamenti, le stazze e le carene si legano al tempo e alla memoria, all’elogio della lentezza e al viaggio inteso come spostamento. La barca a vela naviga sospesa tra scienza e spiritualità,  tra fisica e filosofia e restituisce cuore alla tecnica moderna, suggerendo il Tao (la via) verso la consapevolezza della navigazione. Disegni con sovrastrutture in eccesso, bordi liberi alti, linee inadatte a infilarsi e sollevarsi di continuo tra le onde, la mancanza di una attenta cultura dell’ispezione e controllo, sopravvivono in un paziente e delicato equilibrio. Soddisfatte certe esigenze minime strutturali e di sicurezza, diventa decisivo per l’utente lo spazio, l’arredo, l’accessorio e la motorizzazione (in grado di navigare a 7-8 nodi controvento), nella buona e nella cattiva sorte!

Come si dice, “ … poi una bella linea blu sui fianchi, smagrisce tutto
Possedere una bellissima barca arredata con legni pregiati in teak e accessori “aeronautici” ma con uno scafo sottile e fragile di plastica è come avere un bellissimo casale in pietra ma con fondamenta in cartongesso. Una barca non è sufficiente che sia bella e basta, deve navigare e riportarci sempre a casa. Attenzione allora. Tra noi e il mare ci separa molto spesso l’ignoto, una linea sottile inesplorata su cui riversiamo tutta la nostra fiducia.

In barca tutto deve essere visibile, ispezionabile, noto, facilmente raggiungibile e soprattutto sostituibile, dai silent-block, agli arridatoi, alle prese a mare, alla coperta, all’albero e al sartiame. Prue, masconi, bagli e poppe non sono solo sezioni trasversali ma veri e propri nodi progettuali e insieme alla LWL (lunghezza al galleggiamento) danno forma e dimensione allo scafo e alla coperta, sulle quali calibrare compromessi e … convivenze! Infilarsi nell’onda con una prua affilata o rotondeggiante, dritta o rovescia, sollevarsi con masconi panciuti o stretti, leggeri o pesanti, sbandare con fianchi e murate a piombo o inclinate, fuggire con poppe larghe fino all’acqua e linee di galleggiamento estreme senza slanci “aerei” (la velocità massima di uno scafo dislocante è proporzionale alla radice quadrata della sua lunghezza), sono le caratteristiche e le scelte di base che determinano pregi e difetti, forme e funzioni di una barca a vela.

… Una buona barca ti deve permettere di navigare all’infinito, dondolando tra un’orzata e una poggiata, senza scappare mai controvento….il mare ti butta in poggia ma le vele in orza …”  Carlo Sciarrelli

Per molti la barca IOR ha rappresentato negli anni il giusto compromesso. Erano scafi semplici ma potenti, belli da vedere (secondo i limiti di stazza), tenevano il mare bene, erano equilibrati e pensati per regate d’ altura, veloci, armati discretamente e dotati di arredi interni e impianti sufficienti per andare in crociera con relax.

Cosa è cambiato oggi?
Oltre ai volumi, alle poppe, ai materiali, ai dislocamenti ed “armi” sempre più comodi da gestire, anche le coperte e le tughe hanno subito e spesso sofferto questa trasformazione linguistica, nonostante una nuova attenta e affidabile tecnologia. La coperta di una barca non è solo un “lastrico solare praticabile”, ma uno spazio funzionale ai carichi uniformi, puntuali e accidentali che chiudono un sistema statico di spinte laterali, torsioni e flessioni in un calpestio termico, impermeabile, di irrigidimento strutturale e di funzionalità concentrate da zona prendisole a manovre e acrobazie “sotto tela”. La riduzione del peso (abbassamento del baricentro) e l’aumento della coibentazione sono i criteri che da sempre giustificano l’uso indiscusso di Skin e Core, di pelli e anime, di multistrati compositi o semplicemente di Sandwich. 

Dal pregiato Honeycomb alveolare riesumato dall’aeronautica, allo strapotere ventennale della balsa Contourkore (materiale con buona densità e resistenza a compressione ma il meno marino in assoluto per igroscopicità dopo … la mollica di pane) fino ai polistiroli più evoluti come il Termanto in pannelli di PVC espanso reticolato rigido a cellula chiusa che troviamo nel 60/70 % delle barche realizzate dopo gli anni 90. Al Roacel, Airex, Styrofoam, il sandwich rappresenta il materiale più usato da sempre per leggerezza e prestazione nelle coperte di imbarcazioni in composito. Il sandwich è composto da un’anima in materiale leggero e incomprimibile, con le due facce ricoperte da un laminato più o meno elastico chiamato pelle con lo scopo di ottenere una struttura leggera e rigida, isolata termicamente e acusticamente (riducendo il cosiddetto “effetto tamburo” tipico delle costruzioni in stratificato semplice). Resiste egregiamente a carichi distribuiti (come l’aria che scorre sulle facce di un’ala di un aereo) e non tanto a quelli puntuali e concentrati.

Dove usarlo allora nelle barche, ma soprattutto perché?
In una barca l’unica zona sollecitata teoricamente da carichi distribuiti è l’opera viva. Anni fa non conveniva ancora usare il sandwich sotto il galleggiamento a causa di una manodopera senza esperienza specifica, uso di tecniche di laminazione tradizionali e, tra dubbi e resistenze, alleggerire uno scafo proprio dove si richiedeva maggior peso in basso non convinceva molto. Quindi si salì all’opera morta per proseguire e finire in coperta. Tutte zone dove urti in banchina, parabordi che comprimono, calpestii e salti, cadute accidentali di oggetti, sollecitazioni del rigging e l’assorbimento d’acqua rendevano il tutto delicato e incerto tranne per il vantaggio di un peso minore e un isolamento maggiore.

Ma tant’è che nonostante questo rimane ancora oggi  il sistema più utilizzato nella costruzione di coperte e tughe per rigidità dimensionale, leggerezza, coibentazione.  Negli anni 80 si sperimentava il sistema senza conoscerne però i difetti, oggi con la tecnica dell’infusione e del sottovuoto e con resine sempre migliori, questo procedimento si è perfezionato ed escludendo eventi traumatici, è assolutamente affidabile e resistente e soprattutto con una riduzione della manodopera e dei costi.

Questo procedimento prevede la stesura del materiale della prima pelle a secco sullo stampo applicando un sacco per il vuoto e aspirando l’aria e relativo risucchio (senza pressione aggiunta) della resina attraverso una fitta rete di tubicini posti tra il sacco e le fibre creando un laminato con un miglior rapporto fibre/resina, senza sprechi!

Anche se è noto che all’aumentare della quantità di resina aumenta anche la resistenza alla propagazione della de-laminazione, oggi il contesto industriale cerca di continuo il modo per usare meno resina per la stratificazione (come nel caso dell’infusione), per leggerezza, rigidità e sicuramente risparmio (la resina rappresenta un costo rilevante nel processo costruttivo). La stesura dell’anima nella laminazione manuale avviene direttamente sulla pelle precedentemente stesa, e già solidificata, incollandola con un materiale chiamato bonder. Nell’infusione invece, l’anima viene semplicemente appoggiata alla pelle e sarà la resina, infusa, che costituirà il mezzo di unione fra loro. Fondamentale è permettere il deflusso della resina da una faccia all’altra per consentire a quest’ultima di impregnare entrambe le facce. I pannelli dell’anima sono dotati di fori di passaggio opportunamente dimensionati e spaziati creando dei chiodi di resina che uniscono stabilmente le due facce e conferiscono ottime caratteristiche meccaniche. La stesura della seconda pelle è una operazione del tutto simile alla prima.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è anima-in-balsa.jpgSotto carico una delle pelli viene sollecitata a trazione e l’altra a compressione e l’anima a taglio ottenendo una struttura con una rigidità superiore a quella di un laminato di spessore pari alla somma delle due pelli del sandwich. ll giusto compromesso tra lo spessore dell’anima e delle pelli si trova calibrando la distanza tra queste ultime e la densità del nucleo interposto. Più si riduce la distanza tra le pelli, più la densità dell’anima deve essere elevata, perché più sollecitata a compressione.

Le pelli sono in stratificato, con fibre di vetro, di carbonio o di Kevlar e quindi con moduli elastici diversi e con deformabilità variabili. Sandwich in nido d’ape d’alluminio con pelli in kevlar (o carbonio) o anime in balsa e pelli in vetroresina poliestere sono esempi con elasticità, comportamenti ed effetti molto diversi tra loro, destinati  per barche con usi e utenti differenti.

La condizione essenziale in una qualsiasi struttura a sandwich è la perfetta aderenza e stratificazione delle pelli all’anima, la perfetta giunzione scafo coperta e la sigillatura rigorosa di tutte le forometrie e carotaggi, per attrezzature e accessori che invadono e spesso arredano di comodità e abbellimenti le nostre coperte.

Continue sollecitazioni in una zona con scarsa aderenza, sono sufficienti a provocare per propagazione un distacco più ampio e in alcuni casi il cedimento strutturale. Bolle d’aria, polvere, tracce di grasso o umidita sono causa di scarsa aderenza, causando inneschi di delaminazione. Quando si evidenzia, lo strato separato diventa “morbido”, anche sotto una pressione leggera di una mano o col peso del calpestio di una persona.

Il sistema tipo contourkore, prima dell’utilizzo del Pvc e di espansi a cellule chiuse, è stato il più usato nucleo (core) di blocchetti di balsa per sandwich di migliaia di coperte di barche in tutto il mondo. Tagliati perpendicolarmente al senso della vena e riassemblati in pannelli avevano una buona densità di circa 90 kg/m3, più elevata rispetto alla media degli espansi e grazie all’ottimo legame con le resine, che penetravano nella capillarità del legno, si creava un pacchetto inizialmente molto resistente. Purtroppo con il passare tempo, stress meccanici, infiltrazioni e assenza di manutenzioni  e controlli, aprivano la strada all’acqua provocando appesantimenti e distacco delle pelli (delaminazione)

David Pascoe, tra i più noti surveyor americani, sosteneva che l’ingresso dell’acqua dentro al sandwich è quasi inevitabile nel tempo e l’anima in balsa era meno peggio di altre! Scafo, murate e coperta avevano livelli di rischio e preoccupazioni diverse: “… L’opera viva non è costruita con la precisione e cura di un rolex submarine ed è probabile che beva acqua prima o poi. Le fiancate non immerse e verticali sono molto meno predisposte ad essere sature d’acqua e soprattutto nel caso piuttosto facile da individuare. La coperta in sandwich è sicuramente più isolante e più leggera forse, ma questa è l’evidenza di quanto siano più robuste e meno fragili! E’ un lancio di dado…

E’ anche vero che i tempi, la tecnologia e le conoscenze sono cambiate, al meglio! Il pensiero di MoitessierIn mare il meglio è nemico del bene” forse oggi è superato.

Quanto alla giunzione con lo scafo, tipica nelle imbarcazioni con dimensioni superiori ai 10 m, di norma si usa adesivo strutturale e quasi sempre una falchetta in alluminio integrata al laminato o fissata il più delle volte a distanza di circa 15 cm uno dall’altro con bulloni passanti e dadi inox, viti o rivetti su apposita battuta dello scafo rivolta verso l’interno, spesso cinta da un pavese in legno massello e in alcuni casi da una fascia di laminazione (pezzatura) per rendere il tutto integrale e monolitico.

Trafilaggi dai fori o dai perni della giunzione, dalle basi dei candelieri, collanti inadatti, viti ossidate e compressioni concentrate sulle murate (parabordi e ormeggi laterali) che schiacciando i fianchi sollecitano la giunzione causando possibili indebolimenti, sono cause di criticità. E’ necessario individuare aree di distacco per evitare che le sollecitazioni della navigazione e l’acqua eventualmente infiltrata espandano la delaminazione in un’area sempre più vasta. Un attenzione particolare deve essere posta a vecchie e nuove forature in coperta per il montaggio, sempre più di routine, di spryhood, rollbar, tientibene, stopper, gallocce, autogonfiabili e golfari sparsi per vari utilizzi. 

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è lavorazione-coperta-1.jpg

Crepe e scalfitture sul gelcoat sono un segno di rischio e bisogna intervenire per scongiurare infiltrazioni di acqua e umidità nel pacchetto sandwich. Nel caso di vecchie coperte rivestite in teak avvitato controllare i “tappi” se integri e presenti, le teste delle viti o chiodi messi “alla traditora”, cioè di sbieco, usati un tempo per bloccare la maschiettatura tra doga e doga, se annegati ancora nei comenti in sika o “scoperti” con tracce di umido e marciume intorno.

Fine Parte I – continua

Sacha Giannini

 

foto in anteprima indicatore angolo di barra – photo credit @andrea mucedola – testo e foto fornite dall’autore 

 

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