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livello medio
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVII SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: Cook, Tupaia, Polinesia
Una visione diversa
Nella concezione occidentale la “modellazione geografica” è basata su rappresentazioni cartografiche bidimensionali. Per poter rappresentare delle superfici geografiche è necessario trasferire la forma “sferica” della Terra su un piano, adottando una serie di “proiezioni” ovvero delle diverse rappresentazioni legate alla geometria adottata.
Come ricorderete da altri articoli, ogni rappresentazione ha vantaggi differenti a seconda dell’uso che la carta dovrà avere; ad esempio, la rappresentazione di Mercatore ha il vantaggio di mantenere inalterati gli angoli disegnati su una griglia di disegno, un fattore non da poco per tutti coloro che devono seguire una rotta. Sulla griglia disegnata si possono disegnare delle posizioni identificate da valori angolari. Mi riferisco in particolare alla latitudine e longitudine, misurate rispettivamente lungo i meridiani (per convenzione da quello di Greenwich verso Est o verso Ovest) ed i paralleli, misurati dall’Equatore verso i Poli geografici (verso Nord o verso Sud).
mappa del Pacifico di Ortelio, XVI secolo, dove compare la griglia di meridiani e paralleli
Ovviamente questo modo di rappresentare il mondo, utilizzando dei riferimenti scelti politicamente (Greenwich non fu scelto a caso) fu funzionale alle esigenze dell’epoca, diventando poi un riferimento universale per tutti. La rotta di una nave poteva essere così seguita mediante diversi sistemi e tracciandola su carte orientate geograficamente in cui tutte le posizioni erano riferite ad un valore di latitudine o di longitudine. La determinazione della latitudine e della longitudine erano e sono quindi sempre riferite ad una griglia di disegno.
Come navigavano i Polinesiani?
Per noi Occidentali il sistema principe di navigazione si basa quindi sul concetto di latitudine e di longitudine applicato su carte geografiche orientate N-S e W-E. Nel caso dei navigatori Polinesiani, che non conoscevano la bussola, tale principio non esisteva, basandosi su riferimenti concettualmente differenti che consideravano parametri anche non correlati fra di loro per perseguire gli orientamenti per mare.
Prima di dare una spiegazione, vale la pena leggere la testimonianza di John Marra sulle metodologie di navigazione dei Polinesiani:
“As their whole art of navigation depends upon their minutely observing the motions of the heavenly bodies, it is astonishing with what exactness their navigators can describe the motions and changes of those luminaries. There was not a star in their hemisphere fixt or erratic but Tupaia could give a name to, tell when and where it would appear and disappear; and what was still more wonderful, could foretell from the aspect of the heavens the changes of the wind, and the alterations of the weather, several days before they happened. By this intelligence he had been enabled to visit most of the islands for many degrees round that of which he was a native. By the sun they steer in the day, and by the stars they steer in the night; and by their skill in presaging the weather, they can without danger lengthen or shorten their voyage as appearances are for or against them”.
Un metodo quindi decisamente diverso per cui il centro geografico dell’orientamento alla navigazione non era dato da uno schema geografico ma dal marinaio stesso che navigava riferendosi alla vita marina locale, al vento e alla corrente, al sole, al sorgere delle stelle e dei pianeti e infine alle isole che incontrava.
In pratica, per poter navigare, il marinaio si orientava affinando la sua posizione continuamente, osservando i movimenti delle stelle (di notte), del sole (di giorno) e le direzioni del vento e dei treni d’onda. Le nozioni astronomiche si basavano sul calendario lunare tahitiano che forniva le posizioni azimutali di tutti gli astri e della luna, con il sorgere ed il tramonto delle stesse ad una data latitudine. In parole semplici, quei straordinari marinai memorizzavano un almanacco stellare che diventava strumento continuo per affinare i loro cambiamenti di rotta. In pratica i navigatori polinesiani avevano compreso che le stelle fisse non cambiavano la loro posizione l’una rispetto all’altra e conoscevano quali stelle e pianeti erano visibili in certe stagioni dell’anno, essendo quindi in grado di identificare le stelle quando si innalzavano dall’orizzonte e dedurre la loro posizione per trovare una direzione.
Il riferimento più importante era la costellazione della Croce del Sud che, come la stella polare, ha una direzione fissa indicando però il Sud. La sua forma richiama un aquilone dove l’allineamento della stella superiore Kaulia/Gacrux e di quella inferiore, Ka Mole Honua/Acrux, mostra la direzione meridionale.
Come per la stella polare nell’emisfero nord, anche la Croce del Sud si alza man mano che ci si avvicina al polo sud. Ad esempio, avevano notato che, alla latitudine delle Hawaii, la distanza dalla stella superiore alla stella inferiore era uguale a quella dalla stella inferiore all’orizzonte, circa 6 gradi. Questa configurazione si verifica solo alla latitudine delle Hawaii.
Tupaia usava quindi una bussola stellare (star compass), un costrutto mentale e non tecnologico come la bussola, in cui l’orizzonte visivo viene suddiviso in 32 “case” dove una casa è una parte dell’orizzonte dove risiede un corpo celeste. Ciascuna delle 32 case è separata da 11,25° di arco per un cerchio completo di 360˚.
Praticamente i maestri navigatori polinesiani riuscivano ad orientarsi correlando i movimenti delle costellazioni durante l’arco notturno, deducendo così le direzioni per raggiungere le isole di destinazione. Nozioni astronomiche antiche la cui origine è ancora da scoprire.
Ma non solo
I Polinesiani erano in grado di integrare la loro posizione attraverso l’osservazione del volo degli uccelli marini, della direzione delle onde, dei riflessi sulla parte inferiore delle nuvole, della fosforescenza dei mari (bioluminescenza). Un portolano mentale che completava il quadro di conoscenze dei maestri navigatori come Tupaia e che non poteva essere compreso da Cook.
disegno attribuito a Tupaia sullo scambio di un’aragosta tra un maori con un membro dell’equipaggio dell’HMS Endeavour
Molto di più di un disegno approssimativo
Basandosi su principi cartografici decisamente diversi, gli oggetti disegnati sulla mappa non potevano essere geograficamente correlabili fra loro. Questo fatto fu compreso da Tupaia che nella sua mappa andò oltre il concetto di direzione cardinale assoluta, posizionandosi in un punto, chiamato Avatea, che di fatto non si basava sul metodo utilizzato dai cartografi europei. Interessante il fatto che Avatea, tradotto dagli Europei “mezzogiorno”, veniva determinato dalla massima elevazione del sole ovvero quando il sole si trovava allo zenith. Per comprendere meglio, in quella mappa una rotta poteva iniziare ovunque ma ciò che contava era la posizione relazionale delle isole all’interno dei percorsi di viaggio ed il loro orientamento da Avatea.
Tutte le rotte erano chiaramente orientate rispetto Avatea. Per poter navigare, gli utilizzatori dovevano quindi porsi su una delle isole sulla carta e tracciare due linee immaginarie dalla loro posizione: una verso Avatea, il loro nord posizionale, e l’altra verso l’isola di destinazione. L’angolo misurato in senso orario dalla prima alla seconda linea era il rilevamento usato da Tupaia per indicare le isole. In una visione occidentale, il rilevamento può essere espresso in gradi e quindi usato da una bussola. La cosa straordinaria è che la differenza tra i rilevamenti tra isole conosciute presi sulla Mappa di Tupaia e quelli su una mappa di Mercatore era ben al di sotto di 5° (quindi minimale). Le differenze erano invece maggiori quando le conoscenze personali sulle posizioni delle stesse diventavano più vaghe.
Un altro problema erano le distanze
La distanza tra le isole disegnate sulla mappa di Tupaia non era un indicatore di distanza reale: non si misuravano in miglia ma solo in funzione del tempo necessario per il viaggio (notti di viaggio) e in qualche modo dipendeva dall’esperienza del viaggiatore. Inoltre, la forma delle isole non aveva nessuna somiglianza con quella disegnata sulle mappe realizzate dagli Occidentali.
Conclusioni
La mappa di Tupaia, al di là degli aspetti cartografici, è una straordinaria testimonianza della capacità di navigazione dei marinai polinesiani; una visione olistica in cui tutte le scienze contribuivano per fornire ai navigatori le rotte necessarie per raggiungere isole lontane di quell’oceano senza riferimenti strumentali. Questo tipo di mappe non potevano quindi essere direttamente comparabili con mappe basate su un sistema cartografico occidentale.
Nello studio emerge la figura di Tupaia, maestro navigatore polinesiano e straordinario intermediario culturale del XVIII secolo, in grado di tradurre ed integrare un sistema indigeno di orientamento estremamente complesso in un metodo concettualmente diverso ma in qualche maniera comprensibile ai suoi interlocutori europei. Una conoscenza antica che Tupaia condivise con lo staff di Cook, consentendogli di proseguire in sicurezza il suo viaggio alla scoperta dell’oceano Pacifico attraverso quei mari sconosciuti.
Perché Tupaia decise di condividere le sue conoscenze con quegli strani marinai arrivati da lontano? Forse riconosceva la fine del suo mondo o forse Tupaia era affascinato dalle conoscenze scientifiche europee? Costruire una nuova mappa dovette essere un’impresa intellettuale stimolante ed affascinante che costruì un ponte fra due mondi lontani, travasando conoscenze che in Occidente, forse, si erano perdute nei millenni.
Una bella storia, poco conosciuta, che fa sognare e che nasconde ancora molti misteri.
Andrea Mucedola
Riferimenti
Journal of Pacific History : The Making of Tupaia’s Map: A Story of the Extent and Mastery of Polynesian Navigation, Competing Systems of Wayfinding on James Cook’s Endeavour, and the Invention of an Ingenious Cartographic System https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/00223344.2018.1512369
Nei mari della Polinesia, dal Kon Tiki al Hōkūle’a, Andrea Mucedola, su Ocean4future
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
straordinarie le conoscenze di questi popoli nativi. Mi chiedo che cosa abbiamo perso del loro patrimonio culturale a causa del nostro etnocentrismo e pregiudizio culturale e religioso con il quale abbiamo colonizzato queste popolazioni.Chissà cosa abbiamo perso ad esempio delle conoscenze dei Maya o degli Incas, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Grazie per il Suo contributo in queso senso.
Signor Cappadozzi, purtroppo molte conoscenze si sono perse … sta all’Uomo riscoprirle. Nel campo nautico molte sorprese sono emerse da studi etnologici sulle antiche popolazioni micronesiane, che trovano però affinità con i testi classici greci in cui gli autori (spesso sconosciuti) menzionavano conoscenze spesso non valutate perchè ritenute espressioni poetiche. Grazie di seguirci e buona lettura