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Titolo : Impariamo a ridurre le plastiche in mare

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Il ruolo degli oceani nell’assorbimento del carbonio

Reading Time: 6 minutes

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livello medio
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ARGOMENTO: OCEANOGRAFIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANI
parole chiave: acidificazione, ciclo del carbonio

 

Gli oceani agiscono come un enorme isolante, ritardando l’emissione di energia termica dalla superficie del mare in atmosfera.
La loro funzione è quindi fondamentale per ridurre l’impatto sulla temperatura globale del pianeta. Per comprendere bene questo importante processo per la nostra sopravvivenza dobbiamo comprendere il ciclo dell’anidride carbonica (CO2) e della sua fissazione negli oceani.

L’aria che respiriamo è principalmente composta da azoto, ossigeno, e vari gas tra cui l’anidride carbonica. Le piante, attraverso un processo chiamato fotosintesi, assorbono il CO2 dall’aria in quanto il carbonio costituisce il componente principale a loro necessario per costruire nuove foglie, steli e radici. Questo processo necessita di energia (luce solare) per alimentare le reazioni chimiche interne.

L’emissione naturale e antropica di CO2 si accumula in atmosfera, accentuando l’effetto serra e contribuendo al riscaldamento del clima terrestre. Secondo alcune teorie, la CO2 prodotta dall’Uomo è responsabile solo dello 0,12% di qualsiasi riscaldamento proveniente da tutti i gas serra combinati, compreso il vapore acqueo. La maggior parte degli aumenti della concentrazione atmosferica di CO2 sembrerebbero invece provenire dalla gassificazione degli oceani, un processo che è funzione della temperatura delle acque.

Cerchiamo di capire questo meccanismo
Va premesso che gli aumenti o le diminuzioni delle temperature esterne precedono sempre le analoghe variazioni di CO2. Questi processi sono lentissimi e potrebbero essere necessari anni prima di percepire o misurare questo raffreddamento sulla superficie terrestre, a causa dell’effetto isolante degli oceani e dell’atmosfera.

Cenni di fisica
Secondo la legge di Henry, a temperatura costante, la solubilità di un gas in un liquido è direttamente proporzionale alla pressione che il gas esercita sulla soluzione. Questo concetto è ben noto dai subacquei; ricorderete come i gas inerti si sciolgano nei tessuti del subacqueo con l’aumentare della pressione totale. Analogamente con la diminuzione della pressione, i gas tendono ad essere rilasciati dai tessuti … e la velocità e i tempi di risalita sono fondamentali al fine di evitare gravi problemi fisiologici e tecnici connessi alla decompressione.

aumentando la pressione aumenta la concentrazione di gas

Ne deriva che la solubilità dipende dalla pressione e dalla temperatura del gas e, solo in misura minore, dai sali contenuti nell’acqua.

Ora considerando costante la pressione dell’aria a livello del mare, il fattore determinante principale della quantità di CO2 nell’aria è quindi la temperatura dell’acqua dell’oceano. Questo significa che a parità di pressione, se la temperatura del mare è bassa, i gas resteranno in soluzione (come in una lattina fredda di una bibita gassata). Se la temperatura del mare aumenterà, di conseguenza avremo un’emissione di gas verso l’esterno (nel caso specifico di CO2).

Gli oceanografi ritengono che negli oceani ci sia da 50 a 60 volte più CO2 che nell’atmosfera ed essi sono dei forti accumulatori di questo gas. È stato calcolato che dall’inizio della rivoluzione industriale ad oggi gli oceani hanno emesso circa 2 trilioni di tonnellate di biossido di carbonio (CO2) nell’atmosfera. Cosa succederà quando gli oceani saranno saturi di CO2 e aumenteranno le temperature del mare? Un bel problema.

Dove va a finire la CO2?
Sembrerebbe che la maggior parte della fissazione del carbonio marino avvenga nella zona mesopelagica, tra i 200 e i 1000 metri di profondità, dove l’apporto energetico della luce solare è praticamente nullo. Sembrerebbe un controsenso in quanto l’energia solare è necessaria per la fissazione del carbonio inorganico presente negli oceani. Gli scienziati del Bigelow Laboratory for Ocean Sciences hanno eseguito analisi genomiche sui microrganismi di oltre 40 zone del mondo, scoprendo che un gruppo di batteri nitrificanti, il cui metabolismo si basa sull’ossidazione di composti azotati, contribuirebbe a fissare oltre 1,1 giga tonnellate di CO2 all’anno nella sola zona mesopelagica.

In un articolo pubblicato su Science, viene proposta una nuova teoria secondo la quale tonnellate di CO2 sarebbero immagazzinate negli abissi dei caldi oceani subtropicali. Un’affermazione che apparentemente contraddirebbe la legge di Henry che vorrebbe un maggior quantitativo di Co2 in acque fredde. In effetti, secondo i ricercatori, il biossido di carbonio verrebbe principalmente catturato dai mari freddi ma le correnti lo trascinano verso gli abissi degli oceani tropicali, dove rimane intrappolato a grandi profondità. Questi fattori suggeriscono che potrebbe essere necessario rivedere le stime sull’assorbimento da parte dell’oceano di CO2 antropogenica.

Considerando che in natura nulla si crea nulla si distrugge, continuando ad emettere grandi quantità di CO2 atmosferico, per il processo di accumulazione, l’ambiente profondo tenderà a saturarsi (assorbendo sempre meno CO2) e, per il principio fisico che abbiamo descritto, a liberarsi nell’atmosfera contribuendo ad aumentare la temperatura del globo.

Questo sembrerebbe verificato dalla probabile minore capacità degli oceani di assorbire CO2.

Ma c’è un altro effetto di cui dobbiamo tenere conto: la lenta ma graduale decrescita del valore del pH oceanico (acidificazione), causata dall’assunzione di CO2 dall’atmosfera. Un valore non trascurabile considerando che circa il 25% del CO2 va a finire negli oceani dove, come abbiamo premesso, si trasforma in acido carbonico (H2CO3). Il processo di continua acidificazione delle acque oceaniche ha indubbiamente un effetto sulla catena alimentare e in particolare può influire sul lisoclino, la profondità alla quale il tasso di dissoluzione del carbonato di calcio (CaCO₃) aumenta in maniera considerevole.

L’aumento della acidità influisce sui gusci calcarei delle conchiglie dei molluschi e del plancton calcareo, costituiti da carbonato di calcio (CaCO3). Quando la CO2 si scioglie nell’acqua, essa dà infatti luogo ad una serie di composti chimici: CO2 libera disciolta, acido carbonico (H2CO3), e altri carbonati il cui rapporto dipende dalla temperatura e l’alcalinità dell’acqua. Questo eccesso di gas cambia la chimica dell’acqua, acidificandola lentamente (secondo il rapporto del IPCC del 2013, confermato dal NOOA, ha abbassato il pH dello 0,1 dall’inizio dell’era industriale) e gli effetti si incominciano a vedere e non solo sui coralli.

In una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Science of the Total Environment, gli scienziati del National Oceanic and Atmospher Administration (NOAA), al termine di uno studio su granchi di Dungeness (Metacarcinus magister) raccolti sulla costa orientale del Pacifico, hanno scoperto che quelli raccolti in prossimità della costa, dove gli oceani tendono ad essere più acidi, mostravano una corrosione dei carapaci e dei gusci delle larve. In altre parole l’acidificazione ne aveva rallentato la crescita e, in alcuni casi, danneggiato o distrutto i loro organi sensoriali (meccanorecettori), indebolendo le larve e riducendo la loro probabilità di sopravvivere alla maturità.

tracce di impoverimento della struttura calcarea dei granchi a causa dell’aumento della CO2 disciolta – dallo studio 

Secondo gli scienziati del Southern California Coastal Water Research Project la condizione di questi granchi, un’importante fonte di cibo sia per l’uomo che per le altre creature marine, è un nuovo campanello d’allarme per i pericoli dell’acidificazione marina.
Il team ha notato chiare “deformità strutturali” nei gusci delle larve di granchio raccolte dagli habitat più acidi. Questo sembra derivante dal fatto che le acque più acide hanno meno ioni carbonato, i mattoni molecolari che i molluschi e i coralli usano per costruire i loro esoscheletri. Analogamente questo può accadere per altri animali economicamente importanti come le vongole e le ostriche, e ciò potrebbe costituire un problema per tutta la catena alimentare. Un altro fattore da tenere conto.

 

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