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La Compagnia di Nostro Signora del Soccorso: iniziativa privata e potere pubblico di fronte all’emergenza barbaresca nella Genova del Settecento

tempo di lettura: 13 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVI – XVIII SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Guerra di corsa, corsari, Genova 

 

una barca, bastimento mercantile a tre alberi armati con vele latine o quadre, tipico delle marinerie liguri. Barche, pinchi, sciabecchi e galeotte furono tra i bastimenti più presenti tra quelli armati in corso dalla Compagnia

una barca, bastimento mercantile a tre alberi armati con vele latine o quadre, tipico delle marinerie liguri. Barche, pinchi, sciabecchi e galeotte furono tra i bastimenti più presenti tra quelli armati in corso dalla Compagnia

Introduzione
La corsa barbaresca fu per gran parte dell’età moderna il principale problema che Genova dovette affrontare lungo le sue estesissime frontiere marittime (ovvero lungo le due Riviere liguri, le coste della Corsica e negli spazi marittimi compresi in quel triangolo rovesciato che ha i propri vertici in Monaco a ovest, Portovenere a est e Bonifacio a sud). Tale problema si configurò secondo modalità diverse fra XVI e XVIII secolo, determinando forme di reazione differenti da parte della Repubblica e delle popolazioni dei suoi domini. Sul versante di terra Genova portò avanti nei secoli dell’età moderna una politica che individuava nell’isolamento una garanzia di sicurezza. Da ciò derivò una strategia di difesa incentrata sulla riduzione all’essenziale delle direttrici utilizzabili da un esercito invasore per varcare gli Appennini. Inutile dire che tale politica non era applicabile sul versante marittimo; il mare per sua stessa natura è uno spazio aperto, una via di comunicazione con pochi passaggi obbligati, difficile da controllare e quasi impossibile da chiudere, soprattutto quando è circondato da litorali ricchi di approdi.

Il Cinquecento: difesa statica e galee doriane
Il controllo e la difesa delle coste del Dominio, della Corsica e del Mar Ligure fu gestito attraverso strumenti complessi e articolati, principalmente di natura militare, sviluppati e coordinati dallo Stato ma spesso frutto dell’iniziativa privata o comunque resi possibili grazie alla convergenza di interessi e obiettivi con i poteri locali.

galea

Nel Cinquecento Genova rispose all’attività corsara e alle frequenti razzie condotte sulla terraferma dai barbareschi in primo luogo fortificando massicciamente i litorali della Liguria e della Corsica e in secondo luogo delegando il controllo del mare alle galee dei Doria e degli altri assentisti al servizio della Spagna, senza sviluppare una propria forza navale che non fosse puramente simbolica. Fortezze, borghi murati, fortilizi e torri sono ancora adesso un tratto caratteristico del paesaggio costiero ligure e soprattutto di quello còrso, vestigia di quello che Marco Lenci ha definito come «l’imponente complesso di difesa facente capo alla Repubblica di Genova». Un sistema fortificatorio che è stato oggetto di studi approfonditi nel caso della Corsica – e mi riferisco ai lavori del qui presente Antoine Marie Graziani e di Antoine Laurent Serpentini – ma meno conosciuto in una prospettiva d’insieme per quanto riguarda la Liguria. Nell’isola, antemurale del mar Ligure alla cui difesa Genova dedicò tante e particolari attenzioni, il programma di costruzione di 62 torri avviato nell’ultimo quarto del Cinquecento portò a più di 100 il numero totale dei presidi che cingevano l’isola nel secolo successivo. Un cordone fortificatorio continuo – finanziato e mantenuto in gran parte a spese delle comunità locali – che univa le città, i borghi murati e i forti costieri, ossia i siti in cui erano stanziate le guarnigioni di fanteria regolare e le piccole unità di cavalleggeri destinate ad intervenire rapidamente sul territorio in caso di bisogno.

Portovenere photo credit andrea mucedola

Portovenere, ultimo avamposto genovese nel mar Ligure – photo credit Andrea Mucedola

Il sistema di difesa ligure era del tutto speculare a quello còrso, con struttura e caratteristiche similari, se si eccettua l’assenza (tranne che a Sarzana) di reparti di cavalleria. Si trattava anche in questo caso di un cordone di installazioni che collegava senza soluzione di continuità le città, i borghi e le fortezze costiere. I costi di presidio e di manutenzione ricadevano sulle comunità e lo stato di efficienza spesso non era dei migliori, come è stato evidenziato da Paolo Calcagno, ad esempio, per le fortificazioni di Celle Ligure.

In Seicento: vascelli, convogli e galee di libertà
Nel Seicento, soprattutto a partire dalla metà del secolo, in conseguenza di un progressivo parziale ridimensionamento dell’alleanza con gli Austrias, prese corpo una linea d’azione più incisiva.

andrea doria

l’ammiraglio Andrea Doria – olio di Sebastiano del Piombo (1485-1547)

La politica navale del Cinquecento e del primo Seicento – caratterizzata dalla rinuncia a dotarsi di una costosa forza navale propria e dalla delega del controllo del Mar Ligure alla galee di Andrea, Gian Andrea e Carlo Doria – fu accantonata – non senza resistenze – e lasciò il posto ad un programma di rafforzamento della flotta statale. Una nuova impostazione quindi, più intraprendente e meno ibero-centrica, determinata: dal progressivo venir meno – nella seconda metà del secolo – di quel ruolo di tutela che i Doria avevano esercitato, in nome della Spagna, su Genova e sul suo mare; dalle novità connesse al mutato quadro internazionale (con una sempre maggiore presenza di corsari europei nel Mar Ligure); infine, dai differenti connotati che andò ad assumere la minaccia barbaresca. Nel Seicento le incursioni condotte a terra dai corsari nordafricani si fecero sempre più rade, anche a causa dell’efficacia del sistema di difesa costiero, soprattutto sotto il profilo dell’avvistamento e della relativa trasmissione di informazioni (l’ultima grande razzie sulle coste liguri è quella di Ceriale del 1637). La minaccia si allontanò dai litorali liguri e tese a concentrarsi principalmente nei mari di Corsica e nell’alto Tirreno, configurandosi quasi esclusivamente come attività corsara propriamente detta, ossia come attività predatrice verso la navigazione mercantile, anche se finalizzata principalmente, come le razzie a terra, al reperimento di schiavi piuttosto che di merce.

Il rafforzamento della flotta statale non si concretizzò attraverso il mero incremento dello stuolo di galee pubbliche, ma assunse diverse forme: l’allestimento di una squadra di navi di linea, destinati alla scorta di convogli pianificati dallo Stato; l’esperimento delle galee di libertà e il sempre maggior ricorso, in casi di necessità, all’armamento privato. L’incremento dello stuolo pubblico fu relativamente contenuto, raggiungendo un massimo di sette-otto unità. L’allestimento di una squadra di navi di linea (oscillante fra le due e le quattro unità, da 40 a 60 e più cannoni) si verificò, seguendo stimoli di matrice nordica, in relazione all’adozione di una strategia di protezione della navigazione mercantile che aveva il suo fulcro nella pianificazione di convogli diretti principalmente verso la Spagna, per far fronte alla cospicua presenza di navi di linea nella marina corsara algerina (presenza meno consistente, ma non per questo assente, nelle squadre tunisine, tripoline e salettine). L’esperimento delle galee di libertà, avviato nel 1636, prese origine da un’iniziativa privata e dall’idea di armare galee ciurmate con soli rematori liberi reclutati fra le comunità delle Riviere attraverso un sistema di leva marittima. Si trattava di armamenti straordinari – sostenuti da diverse fonti di finanziamento, per lo più private ma in parte anche pubbliche – la cui consistenza numerica variò di anno in anno in relazioni a fattori contingenti. Dopo le prime favorevoli esperienze il numero di queste unità crebbe, raggiungendo il massimo di nove alla metà del secolo. Ma già nel 1658, pochi anni dopo il periodo di maggior fortuna, l’esperimento fu accantonato. Il ricorso all’armamento privato, ossia al noleggio temporaneo di mercantili per il servizio militare, era normalmente osteggiato dagli organi di governo per questioni di costi e per problematiche di ordine diplomatico (ovvero per il rischio che bastimenti militari improvvisati potessero creare incidenti internazionali). Tuttavia era tenuto in notevole considerazione come risorsa d’emergenza, costituendo una sorta di riserva strategica di pronto impiego. Non a caso la Repubblica incentivò la costruzione di navi mercantili di grandi dimensioni e disciplinò i bastimenti civili attraverso una precisa normativa di carattere pressoché militare relativa all’equipaggio e alla dotazioni di cannoni, armi individuali ed equipaggiamento, in modo da renderli immediatamente disponibili per l’inquadramento nella flotta da guerra.

Il secolo del Settecento: armamenti privati e coordinamento pubblico
L’impulso al rafforzamento della flotta, tuttavia, andò esaurendosi nel breve volgere di circa mezzo secolo. Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento si delineò, soprattutto per motivi di ordine finanziario, un arretramento della presenza statale sul mare: l’esperimento delle galee di libertà fu accantonato, la squadra di navi di linea disarmata e lo stuolo di galee ridimensionato. Agli esordi del Settecento la forza navale genovese era nuovamente ridotta al solo stuolo ordinario, composto in quel momento da sei unità, e destinato peraltro a dimezzarsi nel corso dei novant’anni anni successivi. Il tutto in un quadro caratterizzato dalla persistenza della minaccia barbaresca, dalla recrudescenza periodica della corsa intraeuropea e da nuove problematiche, la principale e più traumatica delle quali fu senza alcun dubbio la sollevazione della Corsica.

sciabecco di pirati barbareschi abborda una nave litografia 19 sec.

sciabecco di pirati barbareschi abborda una nave
litografia XIX sec.

La strategia adottata dalla Repubblica fu quella di puntare, con molta più decisione rispetto al passato, sull’armamento straordinario di bastimenti mercantili, noleggiati stagionalmente nelle Riviere liguri. Non si trattava, come ho già accennato, di una novità: oltre a costituire quella sorta di riserva strategica di cui ho già detto, il ricorso all’armamento privato era una forma molto diffusa di reazione spontanea alla corsa nordafricana, ossia di auto protezione locale (bastimenti mercantili venivano armati su iniziativa delle marinerie di una o più comunità costiere ottenendo la patente di corsa o dal governo centrale o, se lo stato di necessità imponeva tempi più ristretti, dal giusdicente locale). Inoltre l’utilizzo di legni mercantili armati era praticato normalmente dalla Repubblica per pattugliare le coste durante le epidemie, come ha sottolineato Giovanni Assereto nel suo volume sui controlli di Sanità; e, grazie a Paolo Calcagno, sappiamo che a piccoli mercantili presi a noleggio – per lo più feluche e britangine – ricorreva anche la Casa di San Giorgio per la lotta al contrabbando. La novità, rispetto ai due secoli precedenti, sta nelle dimensioni che tale strumento assunse nel Settecento e nella frequenza con cui fu utilizzato sia nella contro corsa anti-barbaresca che nelle operazioni navali contro i ribelli còrsi che, tanto da essere, in quest’ultimo caso, istituzionalizzato, attraverso la costituzione della Deputazione del Nuovo Armamento contro i Corsari Barbareschi e di una sua diretta emanazione, la Compagnia di Nostra Signora del Soccorso.

La Compagnia e la Deputazione

barbareschi

corsari barbareschi 

Nel 1735, alcuni esponenti dell’ambiente armatoriale ligure sottoposero ai Serenissimi Collegi (il massimo organo del governo genovese) un progetto per tenere armati in permanenza – non quindi per brevi periodi o al massimo stagionalmente, come accedeva di solito – alcuni bastimenti a vela o a remi destinati al corso contro i Barbareschi, impegnandosi a sostenere le relative spese, a condizione che il governo mettesse a disposizione l’artiglieria. La proposta venne accolta e già in luglio salpò da Genova la barca (una tipologia di veliero di medie dimensioni tipica delle marinerie liguri) da corso Nostra Signora Assunta e San Francesco. Alla luce del buon esito di questa prima esperienza il Magistrato delle Galee – l’organo a cui competeva la gestione dello stuolo pubblico – propose di utilizzare la barca anche nei mesi invernali, quando le galee restavano in darsena, coprendo le spese con i proventi delle prede e con un contributo pari allo 0,5 per cento del valore delle merci trasportate da ciascun bastimento che si fosse avvalso del servizio di scorta prestato dall’unità. I risultati furono tuttavia insoddisfacenti dal punto di vista economico, poiché i proventi delle prede erano scarsi: e tali proventi rappresentavano la voce principale attraverso cui i promotori dell’iniziativa avevano previsto di autofinanziarsi.

L’iniziativa privata lasciò così il posto all’intervento statale e, nel marzo 1741, i Serenissimi Collegi istituirono la Deputazione del Nuovo Armamento contro i Corsari Barbareschi. La Deputazione fu creata appositamente per armare bastimenti diversi dalle galee per dare la caccia ai corsari barbareschi e scortare la navigazione mercantile; era composta da sei soggetti eletti dai Collegi: tre nobili e tre, non ascritti alla nobilità, scelti fra i principali esponenti degli ambienti mercantili e armatoriali genovesi. Nelle intenzioni del governo doveva raccogliere i fondi necessari al finanziamento dei bastimenti da corso tra i mercanti, gli armatori e gli altri soggetti interessati al commercio marittimo, ma già nel corso del primo anno di attività si constatò che le somme così raccolte non bastavano a far fronte alle spese. Con una soluzione alquanto originale, i Collegi si rivolsero alla Santa Sede, chiedendo di «dar loro facultà di erigere una compagnia, o confraternita» e di concederle qualche particolare privilegio, capace di spingere le persone a farsi ascrivere in essa impegnandosi a versare un’elemosina annuale a vantaggio della lotta contro i corsari.

La Compagnia di Nostra Signora del Soccorso contro gli infedeli fu approvata da papa Benedetto XIV con la bolla Attendentes universo Gregi del 16 marzo 1742. La bolla accordava, come richiesto dal governo genovese, diversi privilegi agli ascritti, anche di non poco conto, come il permesso di mangiare uova e latticini durante la Quaresima. Gli ascritti alla compagnia, oltre al compimento di alcune pratiche devozionali, si impegnavano al versamento di una somma annua, il cui importo variava a seconda delle condizioni economiche. I parroci erano inviati a curare che il numero degli ascritti non diminuisse ed a mettere nelle chiese cassette per le offerte; chi avesse devoluto a scopo diverso le somme raccolte sarebbe incorso nella scomunica. Nel 1761, per aumentare il flusso dei finanziamenti, fu raccomandata nelle parrocchie una colletta da farsi un giorno alla settimana. La direzione della Compagnia era affidata completamente alla Deputazione, senza alcuna partecipazione degli ascritti. Si trattava quindi una confraternita sui generis, priva di gerarchia interna, vita associativa e luoghi di culto propri: per esservi ammessi bastava rivolgersi ad un qualsiasi parroco e pagare la somma corrispondente al proprio censo.

I bastimenti della Compagnia
È importante sottolineare che la Compagnia non era un’istituzione privata a cui la Repubblica delegò la protezione della navigazione mercantile, ma rappresentava una originale soluzione per racimolare denaro da investire nell’armamento in corso. Denaro che era gestito dallo Stato attraverso la Deputazione – unitamente ad altri cespiti che andavano ad integrare le entrate della Compagnia – e che permetteva di allestire annualmente armamenti composti da una, due o, raramente, tre unità. Alla Deputazione competeva la gestione dei bastimenti, il reclutamento degli equipaggi e la direzione delle operazioni navali. Era un organo dello Stato subordinato ai Collegi, i quali, tuttavia, potevano disporre limitatamente dei bastimenti della Deputazione. La bolla di Benedetto XIV, come abbiamo già accennato, prevedeva la scomunica per chi avesse destinato ad altri scopi i fondi raccolti dalla Compagnia. Per questo motivo i bastimenti della Deputazione dovevano teoricamente essere utilizzati solo per il corso contro i barbareschi, e non per operazioni navali di altra natura.

Nel 1759, ad esempio, i Collegi consegnarono al capitano Cesare Lomellino – comandante dei due bastimenti della Compagnia armati quell’anno – istruzioni segrete con le quali gli veniva ordinato di portarsi a Bastia e di partecipare alle operazioni navali contro i contrabbandieri che alimentavano lo sforzo bellico dei ribelli còrsi. La Deputazione, informata tempestivamente del fatto, protestò vibratamente per l’utilizzo improprio dei fondi della Compagnia: di conseguenza Lomellino fu rimosso dal comando e i Collegi dovettero rifondere le spese sostenute per il viaggio e per la permanenza a Bastia. Questo episodio, sebbene rappresenti un caso eccezionale, da la misura di come si cercasse di far rispettare i dettami della bolla papale, sebbene nella documentazione relativa all’attività dei bastimenti della Compagnia emergono più di una volta – come, ad esempio, durante la guerra di Successione austriaca – operazioni che esulano dalla corsa contro i barbareschi.

feluca

Brulotto e Feluca

Il teatro operativo in cui potevano agire i bastimenti della Deputazione era alquanto vasto. Le istruzioni impartite ai capitani li lasciavano liberi di effettuare il corso nell’area di mare compresa tra il capo Santa Maria di Leuca (nell’estremo sud della Puglia) e l’isola di Ibiza. Tuttavia si raccomandava loro di incrociare soprattutto nel Tirreno, lungo le coste della Corsica, della Sardegna, della Toscana, dello Stato Pontificio e dei regni di Napoli e Sicilia, ossia lungo le principali direttrici di traffico della marina mercantile genovese. La Deputazione operava come una qualsiasi compagnia armatoriale, utilizzando sia bastimenti mercantili presi a noleggio sia unità militari proprie. Queste ultime che venivano costruiti nell’Arsenale di Genova, ed erano in realtà di proprietà statale; la Deputazione ne aveva soltanto la gestione, con l’obbligo di porle a disposizione dei Collegi quando richiesto (e si tratta, insieme a due mezze galee, delle uniche unità militari costruite nell’Arsenale diverse dalle galee).

pinco genovese 2

Pinco genovese

In circa mezzo secolo di attività, la Compagnia impiegò diversi tipi di battelli: barche, pinchi, sciabecchi, galeotte, feluconi e feluche (i legni più piccoli – ossia le galeotte, i feluconi e le feluche – solitamente servivano come unità di conserva dei velieri, in una sorta di binomio fra nave madre e unità cacciatrice). Si trattava, in generale, di bastimenti più adatti delle galee per fare il corso contro i legni utilizzati dai barbareschi. L’unica eccezione a questa linea di tendenza impostata sull’impiego di battelli di dimensioni contenute (solitamente con non più di 20 cannoni) è rappresentata da una fregata mercantile inglese da 46 cannoni noleggiata nel 1789. Ma si tratta di un caso isolato, e relativamente tardo.

corsari mediterranei

scontri con i corsari

Su queste imbarcazioni, come sugli armamenti straordinari in genere, non servivano equipaggi in servizio militare permanente. La Deputazione non aveva alle proprie dipendenze un personale fisso. I marinai venivano arruolati solo per la durata della spedizione, e sebbene vi fosse la possibilità di ricorrere sovente agli stessi soggetti – per sfruttarne l’esperienza maturata nella navigazione con un determinato bastimento – tale pratica non era formalizzata. I comandanti dei bastimenti erano nominati dalla Deputazione per elezione, e confermati dai Collegi. Si trattava solitamente di soggetti che avevano già maturato esperienza nella conduzione di bastimenti armati in corso sia contro i barbareschi che nell’ambito delle operazioni navali contro i ribelli còrsi, o che provenivano dalle file dell’ufficialità dello stuolo di galee. Nel caso di noleggio di legni mercantili il comandante civile rimaneva spesso a bordo come ufficiale in seconda, e si occupava della conduzione del bastimento, in forza della conoscenza di quella che era la sua nave. Questo perché nella civiltà del legno – ed è bene sottolinearlo – il naviglio (particolarmente quello mercantile e di dimensioni medio-piccole) era un prodotto artigianale non standardizzato, peraltro facile da modificare, e ogni unità possedeva caratteristiche nautiche sue proprie, che si potevano padroneggiare soltanto con l’esperienza.

Conclusioni
Concludendo, si deve sottolineare come in questo caso-studio le necessità pubbliche e l’iniziativa privata convergano dando una connotazione particolare ad un modello – quello dell’utilizzo dei bastimenti mercantili armati – che caratterizza la politica navale genovese del Settecento, un modello valido non solo per la contro corsa anti barbaresca ma anche per far fronte ad altre necessità. Tale modello, tipico delle marine cinquecentesche e seicentesche, a Genova trovò paradossalmente una più larga diffusione nel Settecento rispetto a quanto non accadde nei due secoli precedenti. Nella sua versione anti barbaresca venne istituzionalizzato, assumendo forma permanente, dando vita non ad una moderna marina statale, come avvenne nelle grandi potenze europee, ma ad un organismo alquanto singolare qual era, appunto, la Compagnia di Nostra Signora del Soccorso.

Essa costituì la principale forma di risposta della Repubblica all’emergenza barbaresca settecentesca, emergenza determinata non dalla recrudescenza della corsa nordafricana (che, al contrario, nel XVIII secolo perde intensità e vigore) ma dall’arretramento dell’impegno diretto dello Stato sul mare, esplicato dal notevole ridimensionamento delle forze navali genovesi nell’ultimo quarto del Seicento. La necessità di compensare il disimpegno statale stimolò tuttavia l’iniziativa privata che, a sua volta, chiamò nuovamente in causa lo Stato, questa volta con funzioni di coordinamento e direzione, ma non di finanziamento. La componente più onerosa della contro corsa – quella finanziaria che, in sostanza, aveva determinato l’arretramento di fine Seicento – venne infatti demandata a questo insolito istituto creato appositamente per convogliare finanziamenti privati nell’attività anti corsara. Un prodotto originale e, alla prova dei fatti, particolarmente efficace, generato dalla necessità di rispondere a uno stato di emergenza in termini di controllo degli spazi marittimi e protezione della navigazione mercantile, emergenza a cui il potere pubblico non poté far adeguatamente fronte senza il concorso, soprattutto economico, del privato.
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emiliano beriProf. Emiliano Beri
NavLab – Laboratorio di Storia marittima e navale
CEPOC – Centro interuniversitario di studi “Le Polizie e il Controllo del Territorio” 
DAFiSt – Dipartimento di Antichità, Filosofia e Storia Università degli studi di Genova Via Balbi 6 – 16126 Genova
Emiliano.Beri@unige.it

Testo della relazione presentata dal professor Emiliano Beri al convegno internazionale “Per una ricognizione degli stati d’eccezione. Emergenze, ordine pubblico e apparati di polizia in Europa: le esperienze nazionali (secc. XVII-XX)”. Centro interuniversitario di studi “Le Polizie e il Controllo del Territorio” (Cepoc), Università degli studi di Messina, Messina, 15-17 luglio 2013; da questa relazione ha preso forma un breve saggio pubblicato nel 2016: E. Beri, “La Compagnia di Nostra Signora del Soccorso: iniziativa privata e potere pubblico di fronte all’emergenza barbaresca nella Genova del Settecento“, in “Per una ricognizione degli stati d’eccezione. Emergenze, ordine pubblico e apparati di polizia in Europa: le esperienze nazionali (secc. XVII-XX)”, a cura di E. PELLERITI, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016, pp. 151-162 (ISBN 9788849847376

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