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Recensioni librarie: Artiglio, il relitto ritrovato di Fabio Vitale

tempo di lettura: 7 minuti

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livello elementare

 

ARGOMENTO: STORIA NAVALE 
PERIODO: XX SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: So.Ri.Ma., Artiglio, Alberto Gianni, Egypt, Fabio Vitale

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Nel 1983 alcuni subacquei francesi si immergono nelle fredde acque della baia di Quiberon. Sono alla ricerca del relitto di una nave esplosa in aria ed affondata negli anni ‘30, la Florence H. Nei suoi pressi, su un fondale poco profondo trovano i resti di un altro scafo che appare in condizioni ancora buone. Sembra un vecchio piroscafo ancora con lo scafo chiodato; certo i suoi ponti e le sovrastrutture sono collassati, ma tra il fango si riescono ancora a distinguere i vecchi locali interni.

La prima cosa che viene in mente a quei subacquei è che possa essere il relitto del mitico Artiglio, affondato nel 1930 proprio mentre stava operando sul Florence H, ma nella zona vi sono molti altri resti per cui si dovrà lavorare nel fango per trovare le prove della sua identità.

Finalmente sono ritrovati una serie di reperti che parlano da soli, ceramiche di vario tipo e pezzatura, stoviglie marcate ed un elmo da palombaro molto danneggiato. I subacquei Gildas Gouarin, Claude Rabault, Elie Coantic, Jean Patrick, Paszula e tanti altri continueranno ad alternarsi sul relitto in campagne sistematiche portando alla luce la storia drammatica di quella nave, che il 7 dicembre del 1930 scomparve in quelle acque. Si recano anche a Viareggio, sede storica dell’Artiglio, per conoscere i discendenti di quei palombari e la loro storia.

Tra di essi Sauro Sodini, figlio di uno dei palombari del secondo Artiglio, Fortunato Sodini, si reca con loro più volte in Bretagna. Con Sauro recuperano l’elica ed il timone della nave, reliquie oggi esposte sul lungo mare di Viareggio. Le ricerche portano alla luce molti reperti, tracce di vita dell’equipaggio della nave, che sono ora conservati nei musei navali di Quiberon, Bretagna, e presso il Museo della Marineria di Viareggio.

So. Ri. Ma.
Questa memoria ritrovata non è sterile e porta, nel 2004, alla nascita della Fondazione Artiglio che da allora presiede ed organizza il premio Artiglio. Ma raccontiamo brevemente la sua storia, che potrete approfondire nel mio ultimo libro “Artiglio, il relitto ritrovato”. Tutto iniziò a Genova, dove un imprenditore genovese, il commendatore Giovanni Quaglia intraprendente e battagliero che, nel 1926, fonda la So. Ri. Ma., ovvero la Società Ricuperi Marittimi. Vengono acquistate quattro robuste navi, tra cui il piroscafo Artiglio, per lo più pescherecci oceanici, sui quali vengono imbarcati i migliori palombari viareggini reclutati dal famoso palombaro Alberto Gianni.


Alberto Gianni
, viareggino, era dotato di una grande inventiva, una dote fondamentale per il suo mestiere. Nato nel 1891 si arruolò nel 1912 nella regia marina dove frequentò il corso da “torpediniere scelto, minatore palombaro”. Il Gianni si distinse presto nel recupero del sommergibile S3, affondato a 34 metri nei pressi dell’isola della Palmaria. Lavorò ininterrottamente per sette ore riuscendo alla fine ad imbracare il battello affinché fosse recuperato da un pontone. Colpito da embolia riuscì a sopravvivere ma perse l’udito all’orecchio destro. Nel 1914, ormai congedato, dopo una breve parentesi di lavori in proprio, venne a conoscenza della nascita della So.Ri.Ma. e si recò a Genova per mettere a disposizione della società la sua motobarca per recuperi, il Naiade. Quaglia non lo fece praticamente parlare e gli disse: “No, no, non è il suo Naiade che ci interessa ma lei e i suoi uomini, caro Gianni, Noi abbiamo bisogno e subito di palombari come voi.”

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Dopo aver lavorato nel Mar Mediterraneo, la So.Ri.Ma. decise di inviare l’Artiglio ed altre navi in Oceano Atlantico con base in Bretagna. La piccola flotta ha  il complesso compito di recuperare dalle navi affondate durante la Prima guerra mondiale i loro carichi preziosi. Il primo relitto ricercato fu l’Elisabethville, un piroscafo belga affondato nel 1917, con a bordo un carico di zanne di elefante e diamanti grezzi, per un valore di oltre centomila sterline dell’epoca. Le prime furono recuperate, ma i diamanti non furono mai ritrovati. 

Per il recupero dei relitti venivano impiegati scafandri rigidi e articolati, forniti di gambe e braccia terminanti con artigli metallici in grado di afferrare utensili. Il palombaro attraverso degli oblò poteva osservare l’esterno e comunicava con la superficie attraverso un cavo telefonico. Quaglia credette così tanto in questo progetto che nel 1927 acquistò in esclusiva gli scafandri rigidi tedeschi Neufeldt und Kuhnke

Furono anni incredibili dove la genialità di Gianni lo porta a sviluppare nuove attrezzature. E’ tra gli anni 20 e gli anni 30 che iniziano le immersioni non più con gli scafandri semirigidi o di gomma ma con quei pesanti scafandri metallici costruiti in Germania. In realtà il Gianni ne è seriamente preoccupato.  Con simili “mostri” del peso di quattro quintali, i movimenti del palombaro sono molto difficili. «L’uomo deve rappresentare l’occhio che osserva per guidare l’opera – diceva – assurdo pretendere che a 70 metri, bloccato da pressioni esterne sproporzionate, egli possa usare le mani e le gambe.  Assurdo e sbagliato …».

Così nacque l’idea della “torretta di osservazione” che, costruita e perfezionata dallo stesso Gianni, sostituì nel tempo ogni tipo di scafandro. Con la nuova torretta furono portati a termine recuperi importanti di preziosi carichi contenuti nelle stive dei piroscafi Washington, Ravenna, Umberto 1º, Eyloniam, Monte Bianco e Stromboli.

In Atlantico
Nella trasferta atlantica l’Artiglio venne inviato con il Rostro in Bretagna, per una ricerca e recupero al limite del possibile, ovvero il tesoro in oro e argento dell’Egypt. La ricerca viene fatta con il tradizionale dragaggio a sciabica fatto a mezzo di un cavo di acciaio sospeso a qualche metro dal fondale e trainato dall’Artiglio e dal Rostro.

Dopo aver dragato cento miglia quadre di mare, finalmente il 30 agosto del 1930 venne individuato il relitto su un fondale di 130 metri. Come prassi l’Egypt venne letteralmente demolita a suon di esplosivo per cercare di arrivare alla cassaforte del Comandante dove si pensava fosse conservato un grande tesoro. In realtà anche questa volta la cassaforte si rivelò contenente solo inutili cartacce. Dove era finito il suo tesoro? Si sapeva che l’ambito relitto trasportava un preziosissimo carico di lingotti d’oro e d’argento e molte società di recuperi si erano alternate senza successo nella sua ricerca.

Ma sono in Atlantico e,  dopo la localizzazione della nave, a causa di sopravvenute avverse condizioni meteorologiche, la SO.RI.MA. decide di sospendere le operazioni ed invia le due navi per effettuare alcuni recuperi davanti all’Isola di Belle Île, a sud di Brest.

Era il 7 dicembre 1930 e l’Artiglio, durante l’attività di bonifica del relitto della nave americana Florence H., posto sul fondo a 16 metri di profondità con un carico di 150 tonnellate di esplosivi e munizioni, avviene una terribile esplosione. La nave recupero viene travolta dall’esplosione, alcuni riferiscono che la colonna d’acqua scoprì il fondo del mare, ed affonda sotto gli occhi dei marinai del Rostro, che stavano lavorando su un altro relitto nei pressi. Una tragedia che vide scomparire negli abissi i migliori palombari della So.Ri.Ma., Gianni, Franceschi e Bargellini.

Una tragedia che fece il giro del mondo. Ma Quaglia non si da per vinto ed acquista una nuova nave, la Mauretanie, che viene rinominata Artiglio II in memoria dei predecessori.

L’Artiglio II torna in zona e termina il lavoro iniziato dall’Artiglio. E’ il 6 giugno del 1931 quando il relitto viene ritrovato grazie alle boe che erano state posate proprio da Gianni. Dopo un lavoro di demolizione di quasi sei mesi, ultimato a dicembre, il recupero viene nuovamente sospeso per le condizioni meteo invernali e ha di nuovo inizio a maggio del 1932 quando viene scoperchiata con una benna la bullion room portando in superficie …  inutili pacchi di rupie indiane. Ma gli uomini della So.Ri.Ma. non si danno per vinti e finalmente, il 22 giugno, recuperano i primi lingotti. Le operazioni vanno avanti per quasi due anni e, nel 1934, l’oro recuperato ammonta a circa 7 tonnellate. Si stimò che era stato recuperato il 98% del carico, un successo senza precedenti ed erano passati quattro anni dall’affondamento del primo Artiglio.

il relitto dell’Egypt, 2002

Il ritrovamento del relitto dell’Artiglio
L’emozione di ritrovare i resti dello scafo dell’Artiglio non ha prezzo. Non mi riferisco a materie o metalli pregiati ma a quelle povere cose, oggetti della vita di tutti i giorni che ci parlano di Uomini che in passato hanno tracciato una rotta, un solco entro cui ripassare e ritrovarsi per dare un senso all’esistenza umana, cosa non semplice e probabilmente ancora irrisolta.

Nella storia di quella sfortunata nave, che ho voluto raccontare nel mio ultimo libro,  “Artiglio, il relitto ritrovato”, un saggio sulla storia di questa famosa nave recuperi subacquei italiana, raccontato con documenti storici ma anche con i reperti riemersi dopo oltre mezzo secolo dal suo naufragio, troviamo tutti gli elementi della vita umana.   Coraggio, paura, sacrificio, gioia, successo e errore, quel tragico maledetto errore umano che portò a sottovalutare il rischio causando quel drammatico esito. Un errore quasi dovuto perché “figlio” di quella confidenza con il rischio cui quei straordinari palombari erano abituati sfidando gli abissi.

 

Fabio Vitale
storico della subacquea e scrittore

Il libro “Artiglio, il relitto ritrovato” è edito dalla casa editrice La Mandragora  e può essere acquistato richiedendolo alla Historical Diving Society Italia o alla Fondazione Artiglio o, direttamente su Amazon tramite il link sottostante. Un libro di cui consiglio la lettura per qualità di contenuti e ricerca storica.

 

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