livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVIII SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: Nelson, Santa Cruz
Il secondo attacco
Il mattino del 24 luglio 1797 i tre vascelli inglesi, che erano rimasti a veleggiare al largo accostarono in prossimità di Barranco Hondo e Candelaria cioè a sud della città, poi risalirono a Nord e si ancorarono nella stessa zona in cui erano le fregate e dove furono raggiunti dal quarto vascello da 50 cannoni il “Leander” mandato a rinforzare la spedizione. Nelson, ritenendo che gli spagnoli avessero poche e male addestrate forze composte da soli 300 soldati regolari e da un certo numero di civili armati, decise di fare un nuovo tentativo attaccando direttamente le difese di Santa Cruz; convocò i comandanti delle navi a una riunione in cui tratteggiò il nuovo piano: far pensare che avrebbero ripetuto l’assalto da Nord bombardando Paso Alto, compiere un’azione diversiva contro il molo e il Castello di San Cristóbal, sbarcare a Sud della città, oltre il termine del muro a mare, entrare e impadronirsene. Come in un abbordaggio a una nave nemica, dove si gioca il tutto per tutto, i comandanti Troubridge, Miller, Hood, Waller e Thompson sarebbero stati a capo dei gruppi destinati all’assalto principale mentre Bowen e Fremantle e lui stesso avrebbero compiuto l’azione diversiva contro il centro della difesa nemica. Nelson preparò una lettera per informare l’ammiraglio Jervis, scrivendo: “Non starò a spiegare perché non siamo ancora in possesso di Santa Cruz; la sua esperienza le farà immaginare che è stato fatto tutto il possibile, ma senza risultato. Stasera io, nella mia pochezza, assumerò il comando di tutte le forze destinate a sbarcare sotto le batterie del paese, e domani sarà possibile che la mia testa sia incoronata o con l’alloro o con il cipresso”. Il generale spagnolo Gutiérrez, già la stessa notte del re-imbarco inglese aveva ordinato che le forze dalle Alture del Risco si riportassero a Santa Cruz.
A Paso Alto lasciò solo 30 uomini; rinforzò il Castello di San Cristóbal, nel centro della città, con le truppe delle Canarie meglio addestrate e fece aprire una feritoia nella Batteria di Santo Domingo, una di quelle del Castello di San Cristóbal, per installare un cannone da 16 libbre e battere la spiaggia di Alameda, alla radice del molo e che separava il Castello Principale dalla batteria di San Pedro. La tradizione vuole che questo pezzo fosse il cannone “Tigre”, che avrebbe causato enormi danni al nemico e ferito il contrammiraglio a capo del corpo di spedizione inglese.
Il comandante generale spagnolo, basando la strategia per la difesa di Santa Cruz, sull’efficienza del fuoco delle batterie costiere, schierò i reggimenti della milizia e i coscritti di Cuba e dell’Avana a difesa dei luoghi di possibile sbarco; le batterie, armate con l’artiglieria, furono rinforzate anche dai marinai francesi di “La Mutine”, la corvetta depredata poche settimane prima, dagli inglesi nella baia di Santa Cruz (la ritroveremo nell’agosto dell’anno successivo, sempre contro Nelson con anche il “Culloden” e il “Theseus”, ma con minor fortuna, ad Abukir).
La stima del numero dei difensori conta 747 fanti dell’esercito e delle milizie, più 387 artiglieri tra militari e miliziani, 110 marinai della Marina militare francese dell’equipaggio della corvetta “La Mutine”, 180 piloti, capisquadra e ausiliari e 180 contadini della Laguna armati di roncole, per un totale di 1669 uomini, tutti distribuiti, inizialmente, nei castelli e nelle batterie, poi impiegati nei punti degli sbarchi.
Alle sette del pomeriggio del giorno 24, la bombarda britannica “Ray” iniziò a bombardare la fortezza di Paso Alto come se l’area del Bufadero, a nord di Paso Alto, fosse ancora la zona dello sbarco, la stessa dove si era verificato il fallito tentativo del giorno 22. Ottenne scarsi risultati con i suoi 40 colpi e le fu risposto al fuoco sia da Paso Alto sia dalla batteria di San Miguel. Alle 10 di sera, un migliaio tra fucilieri di marina e marinai britannici s’imbarcarono sulle sedici lance delle navi divise in sei squadre. Il cutter “Fox”, imbarcò 180 marinai e le munizioni di rispetto, le provviste e le scale d’assalto; altri 60 marinai s’imbarcarono su uno sloop delle Canarie catturato il giorno precedente; i fanti di marina e parte degli equipaggi erano armati di fucili gli altri marinai avevano picche e asce d’abbordaggio. In piena notte, mentre la bombarda “Ray” sparava contro Paso Alto e le Alture del Risco, le barche inglesi, precedute dallo sloop “Fox”, si diressero verso il molo dove era previsto lo sbarco. Alle 2 del mattino del 25 luglio 1797, quando le barche inglesi, che vogavano con i remi fasciati, si trovarono a circa 350 metri dall’obiettivo, furono scoperte dal bastimento armato spagnolo “San José” ormeggiato al molo ed anche dal castello di San Pedro, all’estremità nord-est della città ed entrambi aprirono il fuoco. L’allarme si estese immediatamente all’intera linea spagnola sulla sinistra della città, da Paso Alto fino a San Telmo, che aprì il fuoco, ma i colpi di cannone, poiché l’oscurità era assoluta, furono sparati alla cieca sulle ombre dei gruppi di barche che dirigevano verso terra.
Uno dei primi colpi raggiunse il cutter “Fox” e lo colpì sotto la linea di galleggiamento; la barca affondò rapidamente causando la morte del suo comandante, il tenente Gibson e 97 altri tra fucilieri e marinai; le barche inglesi, dirette più a sud, proseguirono oltre il molo. La battaglia iniziò su cinque fronti, con azioni sul molo, nella vicina spiaggia di Alameda, nella Piazza de la Pila, nella scarpata di Santos e nella spiaggia della Carnicerias. Tre imbarcazioni raggiunsero il molo, la prima delle quali fece sbarcare quaranta marinai che attaccarono la batteria all’estremità del molo, la presero e si precipitarono a inchiodare i suoi sei cannoni da 24 libbre, abbandonati dai serventi all’inizio dello sbarco. Gli stretti gradoni del molo crearono contrattempi nella fase di sbarco e i circa 90 metri di terreno scoperto, tra la punta del molo e le prime costruzioni, erano battuti da diversi cannoni e dalla fucileria così quando le truppe inglesi cercarono di avanzare verso la piazza, di fronte al Castello di San Cristóbal, un gruppo di miliziani li neutralizzò completamente, causando molte vittime e prendendo gli altri prigionieri.
Nella foga di sparare due cannoni spagnoli esplosero e causarono la morte dei due piloti che dirigevano il tiro. Altre tre barche, con circa 120 soldati, raggiunsero la spiaggia di Alameda, alla radice del molo, ma non ebbero miglior sorte di quelle sbarcate al molo. La forte resistenza causò molti morti e feriti; nel preciso momento in cui Nelson stava per sbarcare, un frammento di granata o una scheggia di pietra scagliata da una palla di cannone lo ferì al gomito destro; il suo figliastro, il tenente Nisbet lo prese mentre cadeva, lo depose a bordo della barca e legò l’arto con un fazzoletto salvandogli la vita. Nelson fu evacuato con la stessa barca con cui era arrivato e riportato a bordo della nave ammiraglia.
Il chirurgo di bordo del “Theseus”, Eshelby, in considerazione della gravità della ferita, decise di amputare il braccio destro dell’ammiraglio sopra il gomito. Si racconta che il braccio sia stato messo in un sacco insieme al corpo di un caduto e sia stato gettato nelle acque della rada di Santa Cruz. Il resto delle truppe fu sconfitto quando provarono ad attaccare la fortezza di San Cristóbal e morirono il capitano di vascello Bowen, comandante della fregata “Terpsicore” i cui uomini avevano catturato il bastimento armato della Compagnia delle Filippine, il suo secondo e altri due ufficiali. Furono feriti, oltre a Nelson, l’altro comandante dell’altra fregata inglese, un ufficiale e un guardiamarina, oltre a molti morti e feriti tra marinai e fucilieri. I pochi sopravvissuti si difesero come potevano, ma finirono per alzare bandiera bianca e arrendersi.
Gli altri quattro gruppi inglesi, presero terra, a circa 500 metri a sud del molo, sulla spiaggia della Carnicería in due diversi approdi ma il mare che la mattina era sembrato maneggevole durante la ricognizione dei vascelli; ora, nella notte, era molto mosso e la maggior parte delle barche si traversò sui frangenti e molti inglesi annegarono. Le batterie spagnole aumentarono il cannoneggiamento quando si accorsero che oltre la metà dei mille assalitori britannici era riuscita a prendere terra sulla spiaggia di Carnicerías e sulla scogliera di Santos e avrebbero cercato di entrare in città. Quelli che avevano preso terra furono bersagliati dai micidiali colpi di cannone diretti da due piloti spagnoli e contrattaccati dai difensori; questi, comandati da un primo capo della milizia, fecero diciassette prigionieri e catturarono una cassa di munizioni e un cannone da campagna.
I comandanti Troubridge e Hood, guidando 350 uomini, con un assalto disperato, riuscirono a entrare in città, dove riuscirono a riunirsi ma, bersagliati dai difensori, dovettero entrare e occupare il convento di Santo Domingo (ora demolito, che si trovava in quella che ora è la piazza del Teatro) dove fecero i preparativi per incendiare la città. Troubridge, che aveva il comando della forza da sbarco, aveva ancora qualche speranza di successo perché, nel chiarire dell’alba, erano state avvistate una quindicina d’imbarcazioni con le rimanenti forze che tentavano di sbarcare. Nelson, infatti, sebbene ferito, aveva ordinato l’invio dei rinforzi utilizzando le ultime imbarcazioni disponibili, ma l’artiglieria spagnola dalla punta del molo, riconquistato dagli spagnoli, aprì il fuoco contro di loro e le cannonate spagnole spazzarono la piccola squadra, affondarono tre barche e causarono la morte per affogamento di oltre trenta uomini; i superstiti solo in parte riuscirono a tornare alle navi. Troubridge, sebbene consapevole della situazione disperata senza il supporto dell’artiglieria delle navi e di altri rinforzi che potessero venire in suo aiuto, fece portare un messaggio a Gutierrez in cui chiedeva la consegna del “San José” sotto la minaccia di incendiare la città. Gutiérrez respinse l’ultimatum e ordinò di intensificare il fuoco contro gli inglesi arroccati facendo arrivare altri cannonieri alle batterie più vicine a La Consolación; schierando il battaglione delle Canarie a bloccare il molo per impedire che ricevessero aiuto da quel lato e facendo avanzare due colonne di miliziani verso il porto, una da dietro Piazza Santo Domingo per ostacolare l’avanzata britannica all’interno della città e l’altra lungo la costa.
25 luglio 1797
Dopo che Gutiérrez ebbe respinto sdegnosamente l’ultimatum, Troubridge inviò il CV Hood a capitolare. Concordata la resa, l’attacco terminò e agli inglesi fu concesso di reimbarcarsi, operazione per la quale il porto dovette fornire delle proprie barche, perché gli assalitori avevano perso molte delle loro e quelle sopravvissute ai frangenti erano state demolite per ordine del capitano del porto. Dopo i combattimenti, i tinerfegni 1, adeguatamente ricompensati, consegnarono ai magazzini reali un glorioso trofeo di guerra composto da due bandiere, una delle quali appartenente alla fregata “Emerald”, un cannone da sbarco, 80 fucili, 77 baionette, nove pistole, due tamburi di guerra e due scale d’assalto.
Epilogo
Questo scontro fu l’unica sconfitta di Nelson che finì con l’impegno a non attaccare più le Canarie e con scambi di doni e di lettere, secondo gli usi cavallereschi dell’epoca (da parte di Nelson fu inviato del formaggio e un barile di birra oltre all’impegno di inviare Cadice una barca per comunicare la notizia della vittoria spagnola, ricambiato da Gutiérrez con del vino aromatizzato). La squadra navale rimase davanti a Tenerife per i successivi tre giorni ad eccezione della fregata “Emerald” che partì subito per riferire della vittoria di Gutiérrez, poi salpò e, solo il 16 Agosto, si ricongiunse con la flotta di Jervis davanti a Cadice. Le condizioni della resa imposte agli inglesi (lasciati andare senza tenerli prigionieri come si sarebbe fatto dopo uno scontro in terraferma) furono valutate, nei successivi cent’anni dagli spagnoli, come un eccesso di liberalità da parte di Gutiérrez; questa valutazione, fatta col senno del poi, non tenne sufficientemente conto della situazione dell’isola in cui c’era penuria di rifornimenti e di difesa.
Considerazioni
La storia spesso dimentica gli episodi minori ma questi, spesso, permettono di vedere quegli avvenimenti che sono trascurati o celati da una grande vittoria. L’azione di Nelson a Santa Cruz dimostra il coraggio, la determinazione, lo sprezzo del pericolo e l’ambizione del condottiero, ma evidenzia anche i suoi limiti: è lo stesso modus operandi, da lui tenuto a capo San Vincenzo, che gli varrà il successo nelle future battaglie di Abukir, Trafalgar e Copenaghen; qui non ha “interpretato” gli ordini o i regolamenti, non ha sfruttato la maggior qualità e quantità della sua artiglieria e, fidandosi solo del coraggio e della determinazione dei suoi uomini e sottovalutando le caratteristiche dell’avversario, ha subito la sconfitta. L’azione aggressiva e le minacce di strage non sono bastate piegare un nemico che ha sfruttato al meglio le proprie risorse, non si è lasciato impressionare dall’avversario ed ha lottato con la stessa determinazione.
L’ambizione e il coraggio hanno fruttato a Nelson grandi vittorie che ha pagato prima con un occhio poi con un braccio e infine con la vita. L’importanza della vicenda non è tanto nell’accaduto, gli storici lo ricordano di sfuggita solo per segnalare la perdita del braccio dell’ammiraglio inglese, ma perché offre lo spunto per esaminare quali siano i fattori che determinano la vittoria o la sconfitta in uno scontro navale. Il successo in una battaglia è prodotto da numerosi e diversi fattori, ognuno con un proprio specifico valore: le informazioni sul nemico, le condizioni del teatro dello scontro, le qualità delle armi e le loro eventuali novità sconosciute all’avversario, l’addestramento degli uomini e la loro determinazione a conseguire la vittoria, la coesione e la consistenza delle forze.
Anche l’imprevedibile, o se preferite il fato o la fortuna, gioca la sua parte ma ha un valore pressoché unitario e gli si attribuisce importanza solo perché non si è considerato correttamente il peso di uno o più dei fattori sopra citati. Poiché è un prodotto, cioè il risultato della moltiplicazione di vari fattori, basta che uno di questi abbia un basso valore (al limite nessun valore) per compromettere il risultato finale. In quest’azione Nelson contava sull’addestramento e la determinazione dei suoi uomini ma gli altri fattori hanno influito pesantemente: pensava di avere contro solo una guarnigione a metà dell’organico e qualche contadino armato ma si era scontrato si contro 300 militari ma anche contro oltre un migliaio di uomini risoluti a non farsi sopraffare e comandati in maniera egregia, il mare mosso e l’urgenza di ottenere la vittoria non gli hanno consentito di utilizzare l’artiglieria di cui disponeva in maniera preponderante.
Nelle altre azioni in cui ha avuto successo, ha ben sfruttato i punti deboli del nemico e i propri punti di forza: in Corsica è stata la scarsa determinazione a difendersi contro gli stessi indipendentisti corsi, alleati degli inglesi, a capo San Vincenzo e ad Abukir sono state l’immobilità delle navi nemiche, il migliore addestramento dei suoi uomini e la concentrazione delle proprie forze in successione sulle navi avversarie all’ancora, a Trafalgar la scarsa coesione della flotta franco-spagnola e il miglior addestramento nell’impiego dell’artiglieria, a Copenaghen la minor determinazione a combattere dell’avversario che temeva per la città minacciata di bombardamento.
Piero Carpani
1 tinerfegni, abitanti delle Canarie
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L’ammiraglio Genio Navale Piero Carpani, nato a Roma nel 1945, ha frequentato l’Accademia Navale di Livorno e si è laureato in Ingegneria Navale e Meccanica presso l’Università di Trieste. Tra i suoi numerosi incarichi professionali è stato capo servizio Genio Navale a bordo dell’Amerigo Vespucci e su Nave Sagittario, oltre a essere stato imbarcato sull’Incrociatore Andrea Doria e sul Cacciatorpediniere Audace. La passione per la vela lo ha portato a partecipare alle attività della Sezione Velica di La Spezia di cui è stato vice presidente. Gli è stata affidata Artica II, l’imbarcazione storica della Marina Militare, che ha curato e portato in regata per dodici anni partecipando a numerose edizioni dei raduni di Porto Cervo, Imperia, Porto Santo Stefano, Napoli e alle regate delle Tall Ships del 1996 e 2000. Partecipa alle attività di avvicinamento dei giovani alla vela collaborando con la STA Italia (Sail Training Association) come skipper di un’imbarcazione privata. Ha pubblicato numerosi saggi tra cui “Giornale di bordo” (Istituto Idrografico della Marina – 2006 Genova) e “La più bella del Mondo – Nave Scuola Amerigo Vespucci” (Grafiche Amadeo – C.S.O. 2008 Imperia).
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