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Ucraina, una situazione esplosiva che trova le sue radici nella storia e … nella geografia

tempo di lettura: 12 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: UCRAINA – MAR NERO
parole chiave: Russia, Ucraina, NATO, Europa

 

In questi ultimi giorni di gennaio, venti gelidi soffiano sul mar Nero, venti di guerra, come sempre fallimenti della politica internazionale. A complicare la situazione le caparbie posizioni russe che fanno tristemente ricordare i tempi della guerra fredda, quando nell’interesse comune della madre patria Russia, i Paesi satelliti venivano invasi dai carri armati sovietici per ristabilire l’ordine di Mosca.

Durante la mia carriera ho visitato molto Paesi ex appartenenti al Patto di Varsavia, dal Baltico al Mar Nero, ed ho sentito le loro storie, memorie di una guerra fredda ormai lontana. Eppure, leggendo la situazione attuale in Ucraina, sembra che il fuoco sotto la cenere non si sia mai spento.

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l’Europa durante la guerra fredda

Ed ecco che dopo tanti anni, la frizione tra mondo occidentale e la Russia si sta complicando nuovamente. Avviene nei punti di confine, quelle nazioni da sempre considerate dai Russi come Paesi cuscinetto, ormai irrimediabilmente perduti nella frantumazione della cortina di ferro. Perdere il controllo diretto di 14 repubbliche, tra cui gli stati Baltici, la Polonia, la Romania e la Bulgaria, nel tempo divenuti membri della NATO, sono tutt’ora un vulnus nell’orgoglio di Mosca. Ora si presenta all’attenzione di tutti l’Ucraina, un grande Stato, prezioso per la Russia sin dai tempi degli Zar, per la sua ricchezza (è un Paese importante per il mercato globale ed è il terzo esportatore a livello mondiale di grano) ma anche perché unico accesso costante al mare per la sua flotta nel mar Nero che ha sede nella penisola di Crimea, a Sebastopoli.  

La presenza navale russa nel Mar Nero
La flotta russa del Mar Nero, sebbene numericamente consistente impiega poche navi allo stato dell’arte. Tra questi le tre fregate della “serie Admiral” armate con i potenti missili Kalibr, visti all’opera in Siria, sottomarini convenzionali Progetto 636.3 (tra i sommergibili non nucleari russi più all’avanguardia, equipaggiati con il sistema missilistico Kalibr), interessanti navi missilistiche minori (progetti 21631 Buyan-M e 22800 Karakurt, sempre dotate del sistema missilistico Kalibr) e dragamine classe Ivan Antonov.
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Le restanti navi hanno un’età considerevole, in genere diversi decenni. Tra di essi la nave ammiraglia, l’incrociatore missilistico Moskva*, un’unità equipaggiata con sedici lanciatori per i missili antinave P-1000 Vulkan, nonché un sistema di difesa contraerea S-300F. 
* aggiornamento: affondata a seguito di un attacco missilistico ucraino 

Per comprendere la situazione bisogna conoscere la storia dell’Ucraina
Prima del IX secolo, le foreste dell’Ucraina settentrionale, un territorio che si spingeva a nord fino al Baltico, erano abitate principalmente da popoli slavi. Verso la metà del IX secolo si insediarono, di fatto sovrapponendosi agli Slavi, i Rus’, un grande gruppo etnico appartenente ai Variaghi, di origine norrena come i vichinghi. Oleg, nell’882, unificò tutte le terre rus’ e pose la capitale del suo regno a Kiev, creando lo Stato chiamato Rus’ di Kiev.

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Nel 988 il Gran Principe Vladimir adottò il cristianesimo ortodosso, unificando le tante credenze pagane del suo popolo in un’unica religione. In realtà non fu una conversione “sulla via di Damasco” ma squisitamente politica. Forse la scelta del principe fu dettata da ragioni politiche, giustificate dai legami con l’impero bizantino (non a caso sposò Anna, sorella dell’imperatore bizantino Basilio II), ma di fatto Vladimir si fece battezzare secondo il rito ortodosso, imponendo a tutti i sudditi della Rus’ di abbandonare le loro credenze pagane. L’unificazione religiosa non fu semplice a causa delle continue scorrerie dei popoli confinanti ad Oriente.

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La Rus’ di Kiev MEDIOEVO | Sutori

Questo comportò che dal 1054 la Rus’ di Kiev si disgregò in principati indipendenti ed apparve, per la prima volta, il nome Ucraina, usato per indicare il territorio soggetto al principato meridionale di Perejaslav. Nel XIII secolo le steppe eurasiatiche subirono l’invasione dei Mongoli e nel 1240 Kiev fu devastata. La parte europea divenne indipendente con il nome di khanato dell’Orda d’Oro. L’ultimo colpo ai Principati eredi della Rus’ di Kiev avvenne nel XIV secolo quando i Lituani conquistarono buona parte dell’odierna Ucraina, fino alle coste del Mar Nero.

Alla fine del XV secolo vi fu un’imponente ondata immigratoria da parte di esuli e rifugiati ortodossi, i Cosacchi (da Kozak, parola turca che significava nomade) che si riunirono in un gruppo di tribù lungo i fiumi Don e Dnepr. Di fatto la maggior parte del territorio dell’attuale Ucraina era ripartito fra il Granducato di Lituania (che confluirà nella Confederazione polacco-lituana), la Moscovia (dal 1547 Regno russo e, in seguito, dal 1721 Impero Russo) e il khanato di Crimea, vassallo dell’Impero Ottomano. Tralasciando alcune porzioni dell’odierna Ucraina, che divennero parti di altri stati minori come la Rutenia transcarpatica (facente parte dei domini asburgici) ed Odessa che apparteneva al principato di Moldavia, la situazione era decisamente complessa.

Tra il XVI e XVIII secolo si assistette a diverse ribellioni e nuove alleanze contro i Russi di mosca, che culminarono con la rivolta di Mazeppa del 1708 che fu però ferocemente repressa da Pietro il Grande. Di fatto nel 1764 lo stato cosacco in Ucraina fu soppresso da Caterina II di Russia ed annesso al territorio russo. In quel secolo, Mosca assoggettò il khanato di Crimea ed i territori di Volinia e Podolia.

In altre parole, la Russia inglobò tutti i territori dell’antica Rus’ di Kiev e li divise fra la Piccola Russia, la Russia Meridionale e la Russia Occidentale. Nonostante le promesse di autonomia contenute nel Trattato di Perejaslav, il popolo ucraino non ricevette mai le libertà promesse dall’Impero Russo, anzi venne operata una politica di russificazione delle terre ucraine, sopprimendo l’uso della lingua ucraina nella stampa e in pubblico. Fu in quel periodo che l’Ucraina divenne il “granaio d’Europa” e Odessa, il porto d’imbarco del grano diretto in tutto il Mediterraneo, diventando la più grande città ucraina. Dopo la rivoluzione russa, nel 1922, l’Ucraina entrò ufficialmente a far parte dell’URSS come Repubblica socialista sovietica ucraina. Gli anni seguenti la collettivizzazione forzata della terra, imposta dal regime comunista fra il 1929 ed il 1933, provocò una terribile carestia (l’holodomor). Nel marzo 2008, il Parlamento ucraino riconobbe le azioni del governo sovietico dei primi anni trenta come atti di genocidio, un fatto confermato dall’ONU nel 2003, come risultato di politiche e azioni “crudeli” dell’Unione Sovietica che avevano provocato la morte di milioni di persone.

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L’Holomodor del 1932-33, la carestia fu orchestrata da Stalin per distruggere gli Ucraini, attraverso la collettivizzazione forzata della terra, uccise milioni di Ucraini – ragazza di Kharkiv – Fonte Diocesan Archive of Vienna (Diözesanarchiv Wien)/BA Innitzer – Autore Alexander Wienerberger 

Durante la seconda guerra mondiale l’Ucraina fu occupata dalle forze dell’Asse nell’ambito della campagna di Russia ed oltre 30.000 ucraini si arruolarono con i Tedeschi combattendo insieme all’Esercito Insurrezionale Ucraino contro l’Armata Rossa. Alla fine della guerra tutto tornò come prima, con epurazioni dei nazionalisti da parte di Mosca.

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La prima pagina americana di Chicago che descrive la morte per fame di sei milioni di ucraini da parte dell’Holodomor – Fonte Chicago American Holodomor-Chicago.jpg – Wikimedia Commons

In piena guerra fredda, nel 1954, per celebrare “i 300 anni di amicizia tra Ucraina e Russia”, durante la presidenza di Nikita Sergeevič Chruščëv, l’U.R.S.S. decise di annettere la Crimea all’Ucraina, togliendola alla Federazione Russa. Nel periodo sovietico fu sviluppato il bacino carbonifero del Donbass, di fatto spostando l’economia ucraina a favore delle aree più orientali russofone. Nonostante i tentativi di russificazione dell’Ucraina, il 16 luglio 1990, a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, il nuovo Parlamento ucraino adottò la Dichiarazione di sovranità dell’Ucraina e, dopo il fallito golpe del 24 agosto 1991, il Parlamento ucraino dichiarò l’Ucraina “Stato indipendente e democratico”.

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Un carro armato russo T-72B3. Il fallimento degli incontri diplomatici della scorsa settimana per risolvere le crescenti tensioni sull’Ucraina ha messo la Russia, gli Stati Uniti e i loro Alleati europei in una situazione da Guerra Fredda – Autore Ministry of Defence of the Russian Federation – Fonte
http://мультимедиа.минобороны.рф/multimedia/photo/gallery.htm?id=59469@cmsPhotoGallery TankBiathlon2018-72.jpg – Wikimedia Commons

Questa decisione non poté essere facilmente digerita da Mosca e Putin, il 30 giugno 2021, nel periodico incontro con i suoi cittadini russi, in risposta a una domanda sulle relazioni russo-ucraine in merito, affermò che erano un popolo che condivideva un “unico spazio storico e spirituale” e che l’emergere di un “muro” tra di loro, negli ultimi anni, era stato tragico. Il suo pensiero in merito fu poi espresso in un articolo in cui affermò che “ la moderna Ucraina è interamente e completamente un frutto dell’era sovietica. Sappiamo e ricordiamo che in larga misura è stata creata a spese della Russia storica. Basti confrontare quali terre entrarono a far parte dello stato russo nel XVII secolo e con quali territori la Repubblica Socialista Sovietica ucraina ha lasciato l’Unione Sovietica“. Kiev ovviamente respinse la sua tesi, affermando che la versione storica presentata da Putin era “troppo semplificata e politicamente motivata”.

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reparti speciali navali russi durante una dimostrazione in Crimea – Fonte http://en.kremlin.ru/events/president/news/18963 – Autore Presidential Press and Information Office Celebrations of Russian Navy Day and Ukrainian Navy Day 08.jpg – Wikimedia Commons

Perché Mosca vuole l’Ucraina?
Al di là delle presunte motivazioni storiche, c’è ovviamente molto di più. Secondo Mosca, lo spostamento dei confini dell’area di influenza della NATO verso Oriente riduce la cortina di sicurezza russa. Questo comporta che la politica atlantica di apertura politico militare ai paesi ex sovietici è ancora vista da Mosca con forte sospetto. Avendo vissuto quegli anni alla NATO, e occupandomi anche dei rapporti con quei Paesi ex sovietici che avevano mostrato il desiderio ad entrare nell’Alleanza, ricordo che i rappresentanti ucraini si dimostrarono da subito molto aperti verso la NATO, al punto che, il 2 aprile 2008, al Vertice di Bucarest, la NATO annunciò l’avvio della politica della “porta aperta” per la Georgia e l’Ucraina, promettendo una loro integrazione nell’organizzazione militare occidentale. La situazione degenerò nel 2014 con la caduta del governo ucraino retto dal Presidente filorusso Viktor Janukovič, sostituito da un governo più aperto alla politica occidentale. A seguito di questo cambio politico, iniziarono numerose esercitazioni congiunte con le Forze NATO e di cooperazione militare, in particolare con gli Stati Uniti che fornirono anche armamenti per potenziare la difesa dell’Ucraina, in particolare dopo la grave crisi in Crimea e alle violente azioni dei separatisti nel Donbass.

Le motivazioni russe
Come premesso, la posizione russa è di viva preoccupazione che l’Ucraina possa accordare alla NATO lo schieramento di sistemi missilistici sul suo territorio. Ma potrebbe esserci anche altro. Se Mosca tralasciasse la questione ucraina, Putin si sentirebbe indebolito verso le proteste interne, un segno di debolezza che, a suo avviso, potrebbe far scoppiare rivolte nel suo enorme territorio che rischierebbero di far nascere nel popolo sentimenti filoccidentali.

Una conferma si potrebbe leggere fra le righe nella questione bielorussa, in cui Mosca ha sostenuto in solido il regime di Alexander Lukashenko, dopo le manifestazioni di massa per presunti brogli elettorali, scoppiate nell’agosto 2020. Non sorprende quindi questa manifestazione di forza intorno ai confini ucraini richiami tristi eventi della Russia sovietica, quando le divisioni dell’Armata Rossa oltrepassavano i confini dei paesi alleati per “ristabilire l’ordine”. In un’intervista trasmessa il 12 dicembre, intrisa di rimpianti per crollo dell’Unione Sovietica, Putin paragonò la situazione alla scomparsa della “Russia storica”, in cui “ciò che era stato costruito in 1.000 anni è in gran parte andato perduto”.

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Jens Stoltenberg, Segretario Generale della NATO e Dmytro Kuleba, Vice primo ministro per l’integrazione europea ed euroatlantica dell’Ucraina (a sinistra) nella conferenza stampa congiunta ad Odessa credit NATO

Il rapporto Ucraina e NATO
Il dialogo e la cooperazione tra l’Alleanza Atlantica e l’Ucraina iniziarono quando quest’ultima aderì al Consiglio di Cooperazione del Nord Atlantico nel 1991 e, successivamente nel 1994, al programma Partenship for Peace (PfP). Nel 1997, fu firmato un partenariato speciale con l’istituzione della Commissione NATO-Ucraina (NUC), inteso a sostenere gli sforzi dell’Ucraina per eliminare le oligarchie ancora presenti al suo interno (retaggio dell’epoca sovietica) con un processo di democratizzazione necessario per le aspirazioni euro-atlantiche dell’Ucraina, un processo delineato e deciso nel Vertice NATO di Bucarest del 2008. Questo ha portato, al vertice della NATO a Varsavia del luglio 2016, alla definizione di un Pacchetto di assistenza globale (PAC) per l’Ucraina che, nel giugno 2017, fece adottare al parlamento ucraino una legge che identificò l’adesione alla NATO come obiettivo strategico di politica estera e di sicurezza, approvato, nel settembre 2020, dal presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy.

Voglio sottolineare che, fin dall’inizio della crisi Russia-Ucraina del 2014, la NATO ha adottato una ferma posizione a pieno sostegno della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, condannando fermamente qualsiasi azione militare a favore dell’annessione illegale e illegittima della Crimea da parte della Russia e di altri territori ucraini. 

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Istruttori britannici e soldati ucraini che imparano ad impiegare  il carro armato Challenger 2 del Regno Unito nel sud-ovest dell’Inghilterra – Autore Ministry of Defence – Fonte https://www.defenceimagery.mod.uk/Ukrainian personnel standing atop a Challenger 2 tank.jpg – Wikimedia Commons

Cosa avverrà in Ucraina?
Le ipotesi sono tante. Purtroppo i precedenti non sono confortanti. A seguito dell’occupazione russa della Crimea, secondo Mosca sollecitata dai locali, fu tenuto un referendum sull’autodeterminazione della penisola, il 16 marzo 2014, che risultò a favore del distacco dall’Ucraina con il 95,32% dei voti, con la firma, il 18 marzo, dell’adesione formale alla Russia. Nella regione del Donbass, seguì una rivolta  che portò ad un conflitto ancora in corso.

I separatisti, supportati da Mosca, chiesero un referendum a similitudine di quanto avvenuto in Crimea, che effettivamente si tenne l’11 maggio 2014. Curioso il fatto che sebbene anche i cittadini ex-sovietici del Donbass espressero sostegno per l’indipendenza e la permanenza in Ucraina, fu dichiarato che tra i votanti l’80.16% votarono “Sì”. Pochi mesi dopo, tra il 22 e il 25 agosto, forze militari russe attraversarono il confine in territorio ucraino, senza il permesso del governo locale (Mosca parlò di un convoglio umanitario). Il conflitto che ne derivò purtroppo è ancora in corso, con scontri a fuoco che sono aumentati nella primavera del 2021, ed è proprio ai confini tra il Donbass e la Russia che sono ora ammassate le truppe russe.

Le truppe di Mosca ai confini con l’Ucraina
Arriviamo ora a questo nuovo atto di forza che preoccupa non poco chi riesce a vedere oltre la quotidianità dei nostri telegiornali. Dall’ottobre scorso, Mosca ha potenziato la sua presenza ai confini con l’Ucraina, ammassando forze militari che hanno acceso le preoccupazioni di una possibile invasione. A dicembre si parlava di circa 100.000 uomini, un numero decisamente alto per giustificare una semplice esercitazione.

Con un certo tempismo, il ministero degli Esteri russo ha emesso una serie di richieste alla NATO perentorie che includono il divieto all’Ucraina di entrare nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) ed una riduzione delle truppe e dell’equipaggiamento militare NATO nell’Europa orientale come conditio sine qua non per il ritiro delle proprie forze. La risposta della NATO è stata categorica, avvertendo la Russia che, in caso di invasione, ci sarebbero state ritorsioni sia economiche che miliari, che potrebbero includere un’assistenza militare.

La domanda che ci possiamo porre è quali potrebbero essere le risposte nel mondo occidentale, al di là delle ovvie proteste politiche

Di fatto l’Europa sta condannando la situazione ma si trova visibilmente ad un empasse: seguire gli Alleati coinvolgendosi in un complesso conflitto, freddo o caldo che sia,  creando le condizioni di un ricatto energetico che potrebbe mettere molti Paesi europei in ginocchio, o mettere in discussione il rapporto di cooperazione con la NATO, che nel tempo si è allargato su tanti altri temi di sicurezza come la lotta al terrorismo ed il controllo globale degli armamenti? Per ora le Forze armate americane sono in allerta e Biden ha annunciato lo spostamento in Europa di 8500 soldati. La NATO, secondo quanto dichiarato dal suo Segretario Generale, Jens Stoltenberg, “continuerà ad adottare tutte le misure necessarie per proteggere e difendere tutti gli alleati, anche rafforzando la parte orientale dell’Alleanza“. Cosa che potrebbe consistere con lo schieramento di ulteriori navi e aerei nella regione, per rafforzare i Paesi membri nel caso di escalation della situazione (azione prevista in caso di attivazione dell’articolo 5 della NATO). Secondo le ultime dichiarazioni di Mosca, il presidente Vladimir Putin sta prendendo misure per garantire che la sicurezza e gli interessi nazionali siano adeguatamente protetti. Di fatto truppe russe sono state ammassate anche al confine bielorusso-ucraino.

Una exit strategy per risolvere la situazione
Quello che potrebbe essere ragionevolmente perseguito potrebbe essere di rallentare le tensioni, ad esempio non forzando le tempistiche di ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza, cosa che ridurrebbe i timori che l’Ucraina diventi un grande Stato cuscinetto sotto controllo della NATO sulla frontiera meridionale della Russia. Si potrebbe cercare di risolvere politicamente la situazione del Donbass, attuando gli accordi di Minsk per porre fine all’intervento della Russia in quella travagliata area, arrivando a concedere una qualche misura di autonomia regionale inn quelle aree sotto il controllo dai separatisti filorussi, in cambio del ritiro delle forze russe di supporto e ponendo fine ad un conflitto che ha causato oltre 10.000 vittime. Inoltre, si potrebbe effettuare un ridimensionamento delle sanzioni economiche contro la Russia imposte dal 2014. I vantaggi potrebbero essere molteplici: oltre all’uscire da questa situazione si potrebbe coinvolgere la Russia in questioni di sicurezza europea, ricucendo la separazione politica che ha portato Mosca ad avvicinarsi alla Cina, in una strana vicinanza di obiettivi che, da un punto di vista strategico, sembrano essere però molto diversi.

Al di là delle eredità post comuniste, la Russia è uno stato in cui da sempre convivono diverse paure: l’isolamento geografico, l’inevitabile multietnicità, la centralità dello Stato per mantenere sotto controllo le diverse e molteplici realtà e, non ultima la sua unicità che da un lato la rende europea e dall’altro da sempre la fa distaccare in un nazionalismo che va oltre le tante etnie, lingue e religioni. Lo sforzo occidentale di voler valutare questo grande Paese con la metrica europea e anglosassone potrebbe solo creare nuove divisioni, un errore strategico in un momento in cui il Dragone ha steso i suoi artigli. 

Questo non vuol dire che l’Occidente deve rinunciare alla propria identità. In questo momento critico la diplomazia deve prendere il sopravvento, dichiarando, in maniera ferma e condivisa, che un intervento russo in Ucraina potrebbe causare un conflitto lungo e sanguinoso, foriero di dure sanzioni economiche. Un costo inaccettabile per Mosca, specialmente in un momento economico globale che non è dei migliori, in cui si generebbe una crisi energetica che farebbe del male a tutti, compreso alla Russia per lo sfruttamento del gasdotto Nord Stream 2. Una situazione non facile che non converrebbe a nessuno, anche se l’irrazionalità spesso prevale sulla saggezza.

Andrea Mucedola

 

 

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