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La US NAVY dell’era Trump – parte II

tempo di lettura: 10 minuti

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livello medio
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO

AREA: STATI UNITI
parole chiave: USA, Trump, Obama, US Navy

 

Il passato ci ricorda i rischi che corre una nazione marittima in termini di sicurezza e prosperità se la sua Marina non riesce ad adattarsi alle sfide di un ambiente di sfide mutevoli.
Dall’Europa all’Asia, la storia è piena di nazioni che hanno sfiorato il potere globale per poi soccombere per mancanza di potere navale, sia logorate nel tempo sia in scontri decisivi. L’eclissi navale dell’Unione Sovietica ne è un esempio potente. Gli Stati Uniti, come moderna espressione del potere navale, non possono permettersi di perdere il primato, anche se i risultati di alcuni dei più recenti programmi della US Navy, affidati a poderose lobbies (spesso inadeguate ed improvvisate sui programmi navali, per quanto blasonate) non sono stati soddisfacenti, e le feroci critiche del Congresso hanno messo da tempo sotto scacco anche i vertici della US Navy.

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SAN DIEGO (4 giugno 2015) USS Gridley (DDG 101) ritorna in patria dopo quasi 10 mesi di dislocamento nell’Info Pacifico – autore U.S. Navy photo Mass Communication Specialist 2nd Class Karolina A. Oseguera/Released File:USS Gridley homecoming ceremony 150604-N-JN664-157.jpg – Wikimedia Commons

La US Navy si è trovata costretta ad inventarsi e prospettare una nuova strategia identificando e contrastando la strategia di espansione e proiezione dei potenziali avversari. Il confronto con la Russia è stato gonfiato ed esacerbato, dai politici e per problemi di politica interna statunitense, al di là della reale minaccia che oggi rappresenta la Russia sulla scena mondiale: le valutazioni sul potenziale navale russo, e più in generale sulle reali capacità russe, sono l’esempio patente dell’arroganza, della miopia e dell’incapacità della politica (non solo estera) che ha attraversato negli ultimi anni l’amministrazione americana.

Non serve una sofisticata rete di intelligence per seguire l’involuzione della Russia come potenza militare, e meno navale, e valutarne oggi la timida ripresa, e le limitate aspirazioni. Dopo la fine della Guerra Fredda, i cantieri russi hanno accusato il colpo della dissoluzione delle industrie statali e del calo di stanziamenti militari, diminuendo decisamente in capacità produttiva e qualità, tanto che ci sono voluti sette anni per ultimare il primo esemplare di fregata della classe Goshkov [5]. Per decenni, sino al 2008 la Voenno-Morskoj Flot, VMF era in pratica una entità nominale, con unità “operative” che mai lasciavano il posto di ormeggio. Grazie al buon andamento dell’economia nazionale che, trainata dall’aumento del prezzo delle materie prime (petrolio in particolare), stava registrando buoni tassi di crescita, da tale anno è stato possibile un aumento degli stanziamenti per le forze armate federali, rendendo così possibile il perseguimento di una “politica di potenza” da parte della Russia.

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Fonti DOD, International Institute for strategic studies  2015 military balance report, Arms Control Association

Dal 2010 la situazione delle FF.AA. della Federazione Russa entrò in una fase di generale miglioramento ed ovviamente, anche la VMF ha beneficiato dell’aumento degli stanziamenti. In particolare si è data importanza all’operatività dei mezzi, “riesumando” navi in riserva più che nuove costruzioni, e le esercitazioni navali fuori area sono riprese coinvolgendo un numero di navi sempre crescente. sono stati Inoltre avviati (o ripresi, dopo anni di sospensione) numerosi programmi navali riguardanti la costruzione di nuove e moderne unità, mentre le attività riguardanti la revisione/riparazione dei mezzi fuori servizio è ripresa o è stata accelerata. Questa fase di ripresa ha però subito una battuta di arresto con la crisi della Crimea del 2014 e i successivi movimenti separatisti del Donetsk.

Alla VMF sono venute a mancare le principali forniture industriali. l’Ucraina ha bloccato la fornitura di materiale militare alla Russia, così come hanno fatto i paesi NATO con un embargo, con una valutazione complessiva di 186 componenti critici che sono venuti a mancare, i più evidenti motori e Turbine a gas. Questo ha influenzato in particolare tutti i programmi di costruzione di superficie mentre i programmi di costruzione di sottomarini sono proseguiti e proseguono senza problemi di capacità produttiva e tecnici, salvo la carenza di fondi. Le turbine a gas che dovevano provenire dall’Ucraina hanno condizionato, dal giugno 2015, la costruzione delle nuove grosse fregate Classe Admiral Gorškov e delle più piccole della classe Admiral Grigorovich, con solo una fregata per classe già varata e in servizio grazie a turbine a gas consegnate prima dell’embargo [5] e cinque unità la cui costruzione ha dovuto essere ritardata.

I russi stanno ancora cercando di rimpiazzare il fornitore originale di turbine navali (ucraino) con analoghe unità prodotte dalla società russa Saturn, specialista di motori a reazione aeronautici, ma non è chiaro quanto questo porterà a risultati a breve termine vista le difficoltà produttive delle turbine navali [5]. La separazione dall’ Ucraina e l’embargo hanno riguardato anche la fornitura di motori marini convenzionali (i migliori dei quali erano frutto di licenze), che ha condizionato le nuove costruzioni navali, i tempi di approntamento, le prestazioni, come nel caso della nuova classe di corvette, la classe Gremyashchy, della quale solo due su otto sono state a completate ripiegando su motori russi di diversa origine [5]. Per raggiungere e mantenere una certa credibilità nella sua politica di proiezione, per la prima  volta dopo oltre un secolo la Russia era ricorsa all’ estero perle costruzioni navali, ma questa soluzione (che comportava anche un trasferimento di tecnologie fondamentali per la cantieristica russa) si è arenata con il blocco della fornitura di due grandi unità anfibie della classe Mistral sempre per l’embargo legato alle vicende ucraine. La minaccia russa, per le valutazioni di cui sopra, è ridotta, mentre va riconosciuto che l’intervenzionismo geopolitico russo è cresciuto a livello regionale e solo in questo contesto preoccupa direttamente sia gli Stati Uniti che la NATO, ma a livello navale non è la principale minaccia alla supremazia della US Navy. Per quanto apparentemente considerevole dal punto di vista numerico, la vita media delle unità è molto levata e le unità di recente costruzione solo un’aliquota minore del complesso.

La Russia non è più (e non ancora) una potenza navale globale ma “solo” una (grande) potenza regionale, complicata dall’accesso e dalle operazioni su quattro mari, distanti, che per il momento tende ad aumentare e consolidare il suo perimetro di sicurezza.
Una potenza con più affinità (e rischi comuni) con la UE ed in parte con gli Sati Uniti di quanto possa sembrare; una (relativamente grande) potenza regionale ma non la minaccia che era l’URSS della Guerra Fredda, e meno la minaccia della Voenno-Morskoj Flot. Una potenza regionale che deve guardarsi da conflitti etnici e religiosi ai propri confini (e spesso all’interno), e molto dall’ espansionismo di un confinante troppo grande (mentre gli USA stanno dall’ altra parte del globo). La VMF, Voenno-Morskoj Flot, numericamente contratta a minimi storici, seppur impegnata nello sviluppo di nuove unità e nuove armi navali e nel ricambio qualitativo e non numerico delle principali linee, mantiene ancora come principale missione quello della deterrenza strategica grazie ai sottomarini nucleari equipaggiati con missili balistici.

La priorità (a cui corrispondono sufficienti capacità industriali e cantieristiche) è e rimane quella sottomarina, anche se la più recente classe di unità (Lada) non sembra aver dato buoni risultati, mentre quella della ricostruzione e spiegamento operativo della flotta di superficie rimane una sfida, per la stessa amministrazione Putin, difficile e condizionata dalla perdita delle tradizionali fonti e capacità cantieristiche ed industriali. La Russia di Putin è abile nell’ esibizione della muscolatura, e la mobilitazione di unità per la rivista di San Pietroburgo del 30 luglio, per il centenario della VMF, ne è la prova, pur in certi suoi aspetti tecnici non ottimali, e la vena un po’ melanconica e decadente. Com’è noto, la marina russa ha rinunciato a costruire altre portaerei (e si accontenterà di ristrutturare la vecchia Kuznetov) cosi come ha deciso di puntare su unità di medio dislocamento capaci di una certa polivalenza, con spiccate caratteristiche di attacco.

Un obbiettivo lontano da una competenza a livello globale con l’US Navy, che non va sottovalutato, tenendo presente due aspetti:

– la priorità va sempre agli SSBN, agli SSN e ai battelli convenzionali, anche se i ritardi realizzativi rimangono biblici; tra l’altro, i Lada sono un fallimento e comincia la costruzione del secondo sestetto di Kilo Improved con capacità di lancio di SLCM;

– la flotta di superficie si sta lentamente consolidando attorno a un nucleo di fregate e corvette, tutte con capacità missilistiche; quando e se si risolverà il problema delle TAG (quantità ed affidabilità) certamente si passerà a unità maggiori, ma senza pensare che si sviluppino nuove classi di unità maggiori; se si consoliderà la presenza stabile in Mediterraneo occorrerà pensare forse a unità tipo assalto anfibio, anche come stazionarie.

Malgrado recenti esibizioni in Mediterraneo, la Russia non ha però la stessa incompatibilità di sistema che nei decenni della guerra fredda aveva l’URSS con l’intero mondo occidentale, né gode del patrimonio di logistica e basi, vere o potenziali, che era a disposizione dell’URSS in tutto il mondo.
La Russia dopo anni di crisi, disfacimenti anche territoriali, ha riscoperto l’orgoglio ed il potere militare per raggiungere non solo la propria sicurezza ma anche fini geopolitici, che vanno dalla sua guerra con la Georgia nel 2008, fino all’annessione del Crimea del 2014 e successivo consolidamento militare nella regione del Mar Nero, di cui è parte il suo sostegno militare per il movimento separatista ucraino. Successi geopolitici a metà, a prezzo, come prima descritto, della perdita di notevoli capacità logistiche ed industriali che erano fondamentali per l’efficienza e la credibilità del potenziale militare.

È intervenuta in Siria durante la guerra civile, usando il proprio (ancora limitato) potere di proiezione in numerose occasioni per appoggiare il regime di Assad: è apparsa nuovamente sulla ribalta dei conflitti come interlocutore forse inopportuno ma si è poi trasformata in attore interessato e di successo, assicurandosi per la prima volta una posizione stabile nel Mediterraneo, un Mediterraneo che oggi è nuovamente area di crisi mondiale.

La Russia è in Mediterraneo, attraverso la Siria, per restarci.
Questo il significato della legge di ratifica dell’accordo con la Siria approvata dal presidente russo Vladimir Putin sulla concessione cinquantennale della base area di Hmeimim a Latakia. Non è un caso che la ratifica dell’accordo, firmato a gennaio a Damasco, giunga mentre proseguono le trattative tra il Cremlino e la Casa Bianca sulla de facto spartizione della Siria, enorme dividendo per la Russia a fronte di un investimento relativamente limitato, altro riflesso della ripresa economica della Russia che le permette aspirazioni di proiezione regionale. Dopo aver esibito la vecchia portaerei Kuznetsov, con il successo in Siria punta a un maggior dividendo ed a consolidare un ruolo nel Mediterraneo, tentando di stabilire un collegamento con il generale Haftar (che noi italiani continuiamo a snobbare per ragioni incomprensibili, o fin troppo comprensibili, quali l’improvvida ritirata americana voluta da Obama e alle sue difficoltà di rapporti con Siria ed Egitto). Una presenza che non sarà certamente con unità navali maggiori ma richiederà lo sviluppo di nuove classi. 

Certamente la distrazione strategica americana ha riaperto i giochi per il controllo del Mediterraneo, favorendo Il ritorno della Russia, ma su questo mare va considerata anche la scommessa commerciale cinese e la nuova partita energetica del Levante. Il Mediterraneo misura ciò che l’Italia potrebbe essere, fu, ma non è, un mare che eufemisticamente non bagna l’Italia, un mare di migrazioni dove l’Italia si sta giocando la sua sovranità.

 

Fine parte II – continua 

 

in anteprima USS KITTY HAWK (CV 63), At Sea (Aug. 13, 2005) USS Chancellorsville (CG 62), USS Fitzgerald (DDG 62) and USS Boxer (LHD 4) pull alongside USS Kitty Hawk (CV 63) during a photo exercise with Destroyer Squadron 15. The Navy’s USS Kitty Hawk Carrier Strike Group, including the embarked air wing, and USS Boxer (LHD 4) are participating in the third annual Joint Air and Sea Exercise (JASEX) 2005 with the U.S. Air Force, and U.S. Marine Corps in the western Pacific. JASEX focuses on integrated joint training proficiency in detecting, locating, tracking and engaging units at sea, in the air, and on land, in response to a range of mission areas. U.S. Navy photo by Photographer’s Mate 3rd Class Jonathan B. Foutz – released File:US Navy 050813-N-4321F-093 Navy ships underway during a formation exercise with Destroyer Squadron Fifteen.jpg – Wikimedia Commons

 

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Riferimenti
(1) Laura Canali “http://www.limesonline.com – contenimento Cina
(2) Giorgio Cuscito, L’Attivismo navale della Cina, China Geopolitics
(3) Mediterranei – Editoriale del numero di Limes 6/17
(4) Laura Canali – cartina da Limes – ://www.limesonline.com
(5) United States Department of Defense. Annual Report To Congress: Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2010 (PDF) (Report). pp. 3 (pp12 of PDF).
(6) Fisher, Richard D, Jr. (19 April 2015). “US upgrades assessment of China’s Type 094 SSBN fleet”. IHS Jane’s 360.
(7) United States Office of Naval Intelligence. The PLA Navy: New Capabilities and Missions for the 21st Century (PDF) (Report). p. 20.
(8) news.usni.org/2014/06/09/chinese-weapons-worry-pentagon
(9) Kristensen, Hans M. (5 July 2007). “New Chinese Ballistic Missile Submarine Spotted”. fas.org. Federation of American Scientists.
(10) Kristensen, Hans M. (4 October 2007). “Two More Chinese SSBNs Spotted”. fas.org. Federation of American Scientists.
(11) United States Department of Defense (May 2013). Annual Report To Congress: Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2013 (PDF) (Report). pp. 6 (pp14 of PDF).
(12) “Does China have an effective sea-based nuclear deterrent?” China PowerCSIS.
(13) Fisher, Richard D., Jr. (16 December 2015). “China advances sea- and land-based nuclear deterrent capabilities”. Jane’s Defence Weekly. Surrey, UK: Jane’s Information Group. 53 (6). ISSN 0265-3818.
(14) National Air and Space Intelligence Center (2016). Ballistic & Cruise Missile Threat (PDF)
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(19) www,globalsecurity.org
(20) Thomas, Brendan; Medcalf, Rory (September 2015). Nuclear-armed submarines in Indo-Pacific Asia: Stabiliser or menace? (PDF) (Report). Lowy Institute for International Policy.
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(22) ONI report on a Modern Navy with Chinese Characteristics (PDF)
(23) Novichkov, Nikolai “Russia’s new maritime doctrine”. IHS Jane’s.
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(27) United States Department of Defense (May 2013). Annual Report To Congress: Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2013 (PDF) (Report). pp. 6 (pp14 of PDF).
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(31) www.globalsecurity.org/wmd/world/china/jl-2.htm
(32) Military Power of the People’s Republic of China ” (PDF). Office of the Secretary of Defense (PDF)
(33) Pike, John, ed. (20 January 2015). “Type 094 Jin-class Ballistic Missile Submarine”. globalsecurity.org.
(34) Pike, John, ed. (20 March 2014). “JL-2 (CSS-NX-14)”.
(35) www,globalsecurity.org
(36) Thomas, Brendan; Medcalf, Rory (September 2015). Nuclear-armed submarines in Indo-Pacific Asia: Stabiliser or  menace? (PDF) (Report). Lowy Institute for International Policy.
(37) Office of Naval Intelligence (2009 to 2016). The People’s Liberation Army Navy
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(40) Pike, John, ed. (20 March 2014). “JL-2 (CSS-NX-14)”

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