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livello medio
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: NA
parole chiave: USA, Russia, USN, VMF
Il confronto reale
Tralasciando i potenziali conflitti asimmetrici, e aree di crisi in espansione, dal punto di vista della strategia per la supremazia marittima e navale, diverso è il confronto con la Cina.
La Cina è ormai una vera potenza globale, con velleità di espansione non solo regionali ma globali (e predominanza già in alcune regioni), con logistica e basi navali in ogni mare, anche dove – per opportunità – non mostra ancora la bandiera navale. Una potenza globale che potrebbe diventare ancora più credibile e minacciosa una volta che i suoi interessi e soprattutto le sue capacità si saldassero con quelle di uno dei tanti movimenti e conflitti locali in corso (come era per l’URSS ai tempi della Guerra Fredda); politiche e strategie dalle quali, per il momento, la Cina si tiene a distanza, conscia delle proprie forze e capacità intrinseche.
Il dragone cinese non ha però ancora tirato fuori le unghie …. né ruggito o eruttato fuoco. In campo navale la Cina ha raggiunto una potenziale rete logistica che supera ancora la reale capacità delle sue forze navali di operare a lungo raggio e con continuità; debolezza momentanea di una Marina in crescita, che comunque sta affrontando. Iniziato come confronto economico, quello tra Cina e Stati Uniti sta diventando anche militare e in particolare navale, portando con ogni probabilità a un riarmo senza precedenti da dopo la fine della Guerra Fredda tra Washington e Mosca.
La Cina rappresenta la sfida più grave a lungo termine per gli Stati Uniti (ma, non va dimenticato, anche per la Russia), soprattutto quando secondo alcune valutazioni la Marina cinese potrebbe diventare nel 2020 la più grande del mondo per numero di navi (numero di navi che non sempre corrisponde alla capacità di far operare con continuità gruppi di combattimento a grande distanza dalle proprie basi). La crescente dislocazione di unità cinesi in tutti i mari del mondo (dalla partecipazione a esercitazioni multilaterali con la stessa US Navy, come la RIMPAC, sino ad esercitazioni combinate con i russi nel Baltico), le rivendicazioni territoriali e di sovranità nei Mari della Cina meridionale e meridionale, la continua minaccia a Taiwan e gli stanziamenti in ascesa per la modernizzazione delle FFAA evidenziano non solo un prevedibile calcolo, e rischio calcolato, di sfruttare la crescente potenza militare per l’egemonia regionale, ma anche di estendere la sua influenza, anche militare, al di là delle sue tradizionali linee di difesa.
Le azioni rispondono ad una strategia tradizionale, soft, che per il momento evita una sfida diretta al primato militare statunitense nel Pacifico, ma la proiezione è diversa. Piuttosto che imbarcarsi apertamente in un programma di riarmo navale che sfidasse il primato globale degli Stati Uniti, la PLAN ha cominciato con il mutuare i concetti della Royal Navy degli anni 70/80 del secolo scorso, la cui massima espressione fu la guerra delle Falkland, partendo da una forza regionale in grado di proiettare e concentrare il proprio potenziale bellico nei mari circostanti e, al massimo, nell’area del Pacifico per condurre operazioni di combattimento ad alta intensità.
Da alcuni anni, almeno dal 2014, la strategia navale cinese ha subito un’evoluzione in senso globale, compresa una maggiore attenzione all’ acquisizione di basi all’ estero. In assenza di un’esperienza bellica recente, le missioni antipirateria nel golfo di Aden e il numero crescente di esercitazioni navali condotte ben oltre la prima catena di isole (nel 2012, ne sono state condotte almeno sette) hanno un ruolo centrale nell’affinare le capacità degli equipaggi cinesi in fatto di operazioni complesse in alto mare. La crescita economica della Cina ha permesso negli ultimi anni di dedicare ingenti risorse alla modernizzazione dell’apparato militare, e per la prima volta consistentemente alle forze navali.
Se negli anni acuti della Guerra Fredda, per la Marina sovietica di Gorshov fu coniato il termine “l’orso russo ha imparato a nuotare”, oggi bisognerebbe dire che il “il dragone sta nuotando liberamente”. La spesa militare cinese ha superato i 180 miliardi di dollari nel 2015 e basandosi su un tasso di crescita nominale di cinque per cento, la Cina potrebbe avvicinarsi a 400 miliardi di dollari di stanziamenti militari nel 2030. Cifre supportate da previsioni del FMI che indicano come la Cina potrebbe raggiungere un PIL di 17,8 trilioni di dollari entro il 2021.
Al contrario della Russia, la Cina avrebbe evidentemente una capacità economica sufficiente a sostenere una lunga corsa agli armamenti con gli Stati Uniti. In appoggio alla propria strategia geopolitica di espansione in tutta la regione Asia-Pacifico (senza dimenticare l’Africa dove la Cina è onnipresente e quasi onnipotente, e poi l’America Latina dove ha raggiunto e consolidato posizioni fondamentali, basti pensare Panama, il Brasile ed il Venezuela).
Secondo alcuni analisti la minaccia cinese potrebbe essere stata in realtà un po’ “gonfiata”, come accadde per quella sovietica negli anni ’80, presentata da Casa Bianca e Pentagono come formidabile leva per ottenere il via libera a nuovi fondi per la corsa al riarmo, ma ricorrere a tale similitudine potrebbe essere molto pericoloso. Un rapporto reso pubblico a fine 2016 dal Center for Naval Analyses, centro di ricerche finanziato dalla Marina Usa e altre agenzia militari (e pertanto non del tutto imparziale), rileva che nel 2020 la Marina Cinese sarà quella più potente sul piano numerico superando le 270 unità di prima linea, di cui un centinaio idonee per operazioni oceaniche.
Una capacità di operazioni di altura che si coniuga con la ricerca di basi di appoggio a livello globale e insediamenti tesi ad ampliare la cintura di influenza e protezione, come negli arcipelaghi contesi con gli Stati vicini nel Mar Cinese Meridionale e Orientale. Un’area sensibile, dove recentemente abbiamo assistito ad un’ inedita esibizione di muscoli e minacce, quando il Comandante della Flotta del Pacifico Usa , Scott Swift ha affermato che, qualora ricevesse l’ordine dalla Casa Bianca, sarebbe pronto a colpire la Cina con armi nucleari, mentre dal canto suo Pechino ha fatto sapere che nonostante le interferenze continuerà le operazioni nella regione, dopo i recenti incontri ravvicinati tra le proprie Forze e quelle di Giappone e Taiwan rispettivamente sullo Stretto di Miyako e il Canale di Bashi, e quello con la Marina di Australia e Usa impegnate nelle esercitazioni congiunte Talisman.
La ricerca di basi di appoggio a livello globale e insediamenti tesi ad ampliare la cintura di influenza e protezione, marcia in parallelo con quell’ iniziativa, forse accettata con troppoentusiasmo in Europa, della Belt and Road Initiative, la nuova via della seta lanciata da Pechino per supportare l’interscambio con l’Europa. A limitare le possibilità d’intervento al di fuori delle acque dell’Asia orientale, e in particolar modo verso l’Oceano Indiano, è una capacità di supporto logistico nel complesso ancora inadeguata.
Persino in pieno svolgimento della RIMPAC (l’esercitazione congiunta delle Marine che si affacciano sul Pacifico alla quale la Marina cinese partecipava per la prima volta in forze), la PLAN ha dovuto cancellare per problemi logistici la propria partecipazione alle esercitazioni in assistenza umanitaria e salvataggio in caso di catastrofe. Pechino è stata pertanto costretta a puntare, almeno nell’ immediato, a proprie basi navali all’estero, e sta pertanto ricorrendo a una serie di accordi internazionali, che riguardano in primis l’Oceano Indiano, per la protezione delle proprie linee di comunicazione e di rifornimento attraverso le quali importa via mare circa il 60% del proprio fabbisogno di greggio e attraverso le quali la US Navy stima che nel 2030 riguarderanno i tre quarti degli scambi cinesi.
Gli insediamenti navali cinesi nel quadro delle azioni di supporto e consolidamento della parte sud della Belt and Road Initiative (17)
Gli accordi internazionali citati riguardano una rete di punti d’appoggio logistico fra lo Stretto di Malacca, lo Stretto di Lombok e lo Stretto della Sonda, assieme allo sviluppo del porto di Gwadar in Pakistan. Le conseguenze del potenziamento della Marina militare cinese nei mari d’Asia sono già evidenti, e riguardano anche il potenziamento delle forze anfibie e del corpo dei Marines, che aumenteranno da 20 mila a 100 mila; una parte di questa forza dovrebbe essere posizionata presso la base di Gibuti e il porto di Gwadar in Pakistan (uniche strutture militari cinesi all’estero, dichiarate come tali). Gibuti e Gwadar sono due snodi fondamentali della Belt and Road Initiative, e formalmente la necessità della base africana è per il supporto delle operazioni antipirateria nel Golfo di Aden, senza occuparsi delle operazioni di combattimento; va ricordato che a Gibuti sono presenti anche le basi di Usa, Giappone, Francia, Italia e Spagna.
Il porto di Gwadar è il punto d’approdo del Corridoio economico sino-pakistano e serve ai cinesi per aggirare lo Stretto di Malacca, accorciare le rotte marittime ed evitare potenziali futuri interferenze da parte sia della Indian Navy che della US Navy. Per inciso va segnalato il notevole impegno militare cinese a supporto dell’accordo raggiunto con il Pakistan: la presenza di ribelli baluci che propugnano la separazione da Islamabad ha già costretto Pechino a schierare circa 13 mila soldati nei pressi di Gwadar.
La Repubblica Popolare sta anche ipotizzando lo sviluppo di altre strutture militari oltre confine, per esempio a Salalah nel Sud dell’Oman e a Karachi (Pakistan), dove già fanno scalo frequente le navi della PLAN. Il notevole impegno cinese in Africa ed in America Latina, con grandi investimenti in strutture portuali (soprattutto porti containers), assicura d’ altra parte una potenziale rete logistica a favore della PLAN. La Cina sta compiendo notevoli sforzi per diventare una potenza marittima, cercando di ridurre i tempi di superamento del gap esistente con gli USA in termini di budget, tecnologia ed esperienza.
Tra tre anni Pechino potrà schierare sette sottomarini lanciamissili balistici, altrettanti sottomarini da attacco sempre a propulsione nucleare e due nuove portaerei annunciate per affiancare all’unica oggi in servizio (Liaoning) sviluppata sullo scafo di una vecchia unità sovietica acquistata nei cantieri ucraini e originariamente gemella della portaerei russa Kuznetsov, quindi molto più piccola delle portaerei USA, sulla cui efficienza operativa si può discutere, mentre è certamente l’ indispensabile anello di sviluppo e preparazione di una forza aeronavale.
Siamo di fronte alla riedizione di quello che a suo tempo Ruyard Kipling chiamava Il grande gioco, che oggi però riguarda l’Asia orientale: un ambizioso programma di modernizzazione navale cinese che ha già trasformato quella che un tempo era una semplice forza litoranea prima in una marina per la deterrenza regionale ed oggi in una forza strategica, moderna, tecnologicamente avanzata e flessibile, capace di condurre missioni a lungo raggio oltre le acque dell’Asia in un’ esercizio della diplomazia marittima globale, mai tralasciando l’interdizione dell’accesso alle coste cinesi a forze armate straniere nel caso di un conflitto per il controllo dell’isola di Taiwan o delle risorse del Mar Cinese meridionale.
I cinesi disporranno anche di 20 moderni cacciatorpediniere lanciamissili, oltre 30 fregate e una flotta di navi da sbarco inferiore solo a quella statunitense. I caccia della classe-Luyang III potrebbero essere presto in grado di assolvere a compiti di attacco su bersagli terrestri oltre che a quelli classici di tipo Asuw, Asw e di difesa aerea, mentre la futura classe di portaelicotteri d’assalto anfibio Type 081, supporterebbero la creazione della rete di basi all’ estero, oltre ad assolvere i compiti “tradizionali nelle cinture di difesa e protezione vicine.
Un potenziamento credibile che però non scalfirà nel medio termine il primato statunitense, che non solo può contare su 10 gruppi navali incentrati su grandi portaerei, e altrettanti con capacità limitate basati sulle portaerei da assalto anfibio, ma soprattutto può contare sulla consolidata capacità di operarli con continuità. Si tratta però già solo di un vantaggio, e non della supremazia su cui contavano gli Stati Uniti alla fine della guerra fredda.
Fine parte IV – continua
Giancarlo Poddighe
Riferimenti
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(2) Giorgio Cuscito, L’Attivismo navale della Cina, China Geopolitics
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(4) Laura Canali – cartina da Limes – ://www.limesonline.com
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Ufficiale del Genio Navale della Marina Militare Italiana in congedo, nei suoi anni di servizio è stato destinato a bordo di unità di superficie, con diversi tipi di apparato motore, Diesel, Vapore, TAG. Transitato all’industria nazionale ha svolto incarichi di responsabilità per le costruzioni della prima legge navale diventando promotore delle Mostre Navali Italiane. Ha occupato posizioni dirigenziali sia nel settore impiantistico che delle grandi opere e dell’industria automobilistica, occupandosi della diversificazione produttiva e dei progetti di decarbonizzazione, con il passaggio alle motorizzazioni GNV.
E’ stato membro dei CdA di alcune importanti JV internazionali nei settori metallurgico, infrastrutturale ed automotive ed è stato chiamato a far parte di commissioni specialistiche da parte di organismi internazionali, tra cui rilevanti quelle in materia di disaster management. Giornalista iscritto all’OdG nazionale dal 1982, ha collaborato con periodici e quotidiani, ed è stato direttore responsabile di quotidiani ricoprendo incarichi di vertice in società editoriali. Membro di alcuni Think Tank geopolitici, collabora con quotidiani soprattutto per corrispondenze all’estero, pubblica on line su testate del settore marittimo e navale italiane ed internazionali. Non ultimo ha pubblicato una serie di pregevoli saggi sull’evoluzione tecnologica e militare sino alla 2^ Guerra Mondiale, in particolare della Regia Marina, pubblicati da Academia.edu.
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