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livello elementare.
ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: V – XVI SECOLO
AREA: TARANTO
parole chiave: Bizantini
La nuova era cristiana trovò Taranto ridotta ad una provincia dell’Impero romano; poi vennero i Goti, i Longobardi, gli Ungari, i Saraceni. Né la città venne risparmiata dal ferro di Odoacre e di Teodorico. I Bizantini, con Giustiniano Belisario, la rioccuparono e la ripopolarono, ma i Goti di Totila la conquistarono, creandovi addirittura un forte presidio. Il generale greco Narsete, successo a Belisario, sconfisse Totila e la rifece bizantina. Poi, nel 568 calarono i Longobardi di Alboino e la conquistarono. L’inizio del IX secolo fu caratterizzato dalle lotte intestine che indebolirono il potere longobardo. Nel 840 un principe longobardo di Benevento fu tenuto prigioniero a Taranto, ma alcuni suoi sostenitori lo liberarono, portandolo a Benevento e proclamandolo principe.
Il regno dei Longobardi al tempo di Alboino. Il 22 aprile 568 d.C. Alboino e tutto il suo popolo lasciarono la Pannonia per dirigersi alla volta dell’Italia, iniziò così la discesa dei Longobardi nella penisola italicaAlboin’s Italy-it.png – Wikimedia Commons
Nel frattempo i Berberi occuparono la città, e Taranto diventò un’importante base navale e militare araba, dalla quale partirono navi cariche di prigionieri destinati al mercato degli schiavi. Una flotta araba sconfisse davanti a Taranto nell’840 una flotta veneziana di 60 navi, organizzata dall’imperatore Teofilo II, e risalì l’Adriatico saccheggiando le città costiere. Nell’850 quattro colonne saracene partirono da Taranto e Bari per saccheggiare Campania, Puglia, Calabria, Abruzzo e Molise. Ancora, nell’854, da Taranto partì una spedizione guidata da Abbas-Ibn-Faid che saccheggiò la provincia di Salerno. Nell’871, e poi nell’875, Taranto accolse le truppe saracene destinate al saccheggio della Campania e della Puglia. Nell’880 l’imperatore Basilio I il Macedone decise di sottrarre agli arabi le terre pugliesi, e inviò due eserciti guidati dai generali Procopio e Leone Apostyppes, e una flotta al comando dell’ammiraglio Nasar. Bloccata la via del mare dalla flotta bizantina, gli arabi al comando di Othman vennero sconfitti, e dopo quaranta anni Taranto fu sottratta al dominio saraceno. Tra i primi atti del governo bizantino del generale Apostyppes vi fu la riduzione in schiavitù degli abitanti di origine latino-longobarda, ormai convertiti ai costumi islamici, e l’arrivo di coloni greci per ripopolare la città. Nel 922 la città continuò a subire le incursioni saracene.
Il 15 agosto 927, i Saraceni guidati dallo slavo Sabir, distrussero definitivamente la città greco-romana, infierendo contro i cittadini e massacrandoli senza pietà, deportando come schiavi in Africa tutti i superstiti. Pochi scamparono alla morte cercando rifugio nelle Murge. Solo dopo quarant’anni, nel 967, l’Imperatore bizantino Niceforo Foca, che è giustamente considerato il secondo fondatore di Taranto, cedendo alle reiterate pressioni dei superstiti, s’interessò alla città decidendo di ricostruirla. Ne nacque quella che noi oggi chiamiamo ‘città vecchia’, che conserva ancora l’originaria struttura urbanistica. Niceforo Foca ne intuì la posizione di notevole importanza militare e realizzò un ponte su sette arcate (Ponte di porta Napoli) minato dall’incuria e distrutto definitivamente dall’alluvione del 1883, ed un castello sull’attuale canale navigabile. Spazzò le rovine della città vecchia e dell’acropoli, ottenendo una spianata ad un lato del Mar Piccolo, su cui dovevano sorgere i quartieri della Marina la via di mezzo, l’odierna Piazza Fontana. Per facilitare il lavoro dei pescatori, abbassò il livello della città lungo il Mar Piccolo, unì la città vecchia alla terra ferma costruendo il ponte di pietra, e ricostruì l’antico acquedotto romano del Triglio, che, proprio attraverso il ponte di pietra, convogliava nella città le acque delle vicine Murge. Questo è l’acquedotto di cui si scriveva precedentemente, i cui ruderi sono ben visibili sulla strada Taranto-Statte, nell’odierno rione Tamburi, quartiere che peraltro prende il nome dal suono prodotto dalle acque che precipitosamente vi scendono verso la città vecchia.
L’Impero bizantino alla morte di Basilio II (1025) – Source Image: Map Byzantine Empire 1025-en.svg Map Byzantine Empire 1025-it.svg – Wikimedia Commons
Il porto fu spostato in Mar Grande, dove è l’odierno porto mercantile. I pescatori che erano emigrati verso il promontorio di Punta Penne, portando con sé il bagaglio di paura e di dolore, fiduciosi cominciarono a rientrare ed a popolare la zona dell’attuale Via Garibaldi. “Sulla morte la vita iniziò a rinnovellarsi, traendo il canto di resurrezione quasi simbolicamente dai colori dell’Arcobaleno, posto dalla Maestà di Dio ad indicare la fine della tempesta. Se la spada dei barbari s’era levata omicida sull’uomo e sulle sue opere di civiltà, non prevalse sulle forze della Natura, ché anzi la frantumarono ristabilendo pace e giustizia per i caduti e gli oppressi“.
Successivamente la città fu conquistata dai Normanni e, all’epoca di Roberto di Guiscardo, nel 1085, viene fatto risalire l’inizio della storia del fiorente e bellicoso Principato di Taranto, “signore da per se in lo Reame de più de quattrocento castelle”. Ai Normanni succedettero gli Svevi con Federico II che conquistandola, così la salutò:« TU NOSTER HOSTIS MUNITUS IPSE FUISTI SINT TIBI REMISSA PECCATA QUAECUMQUE FECISTI ». La sua indulgenza venne alimentata dalla sua acutezza ed il suo senno politico, con il quale aveva già incluso Taranto nel suo vasto disegno militare. In tempi di crociate e di guerre in Oriente, Federico II aveva già fatto i suoi calcoli e previsto i vantaggi che si potevano trarre da quell’osservatorio sul Mediterraneo. Egli arricchì Taranto della “Rocca Imperiale”, magnifico palazzo con funzione di roccaforte, ubicato dove oggi sorge la chiesa di S. Domenico Maggiore. Lo stesso imperatore investì suo figlio Manfredi del titolo di principe di Taranto. Nel 1266, con la sconfitta di Manfredi a Benevento, da parte di Carlo d’Angiò, Taranto passò ai Francesi. Il titolo di principe su assegnato a Filippo d’Angiò. Ancora una volta il nome di Benevento risulta infausto alle orecchie dei Tarentini, che già vi erano stati sconfitti in epoca romana quando ancora si chiamava Maleventum, nome forse più appropriato dal loro punto di vista.
Nel complicato sistema protettivo della vecchia Acropoli, nel 1404 Raimondello Orsini del Balzo (immagine a lato) fece costruire una massiccia torre quadrata, che vigilava l’ingresso in città dalla Porta Napoli, e dominava quella che ancora attualmente si chiama Piazza Fontana; fu fatta demolire nel 1884, per deplorevole incomprensione degli amministratori dell’epoca. A questo proposito si noti quanto poco sia rimasto della Taranto antica, non tanto per colpa delle distruzioni o dei saccheggi operati in ogni tempo (da Fabio Massimo il Temporeggiatore a Sabir il Saraceno, per citare solo i nemici più efferati) ma spesso per mano degli stessi rappresentanti dei cittadini. Un odio così viscerale per le proprie vestigia antiche si spiega, ma solo in parte, con la prepotenza e l’ottusità con cui le autorità hanno difeso gli interessi delle servitù militari, sin dai tempi della dominazione borbonica. Solo ad avvenuta unificazione al Regno d’Italia, l’amministrazione comunale riuscì ad ottenere che Taranto fosse dichiarata città aperta e libera, con l’abolizione delle porte e delle stesse servitù militari, chiedendo anche il nulla osta per la costruzione dei borghi fuori dalle mura, di fronte alla città. Al lungo e prosperoso periodo dei quattro secoli del Principato, si fanno risalire la costruzione della Cattedrale di San Cataldo, l’intensificazione del culto per il Patrono e la costruzione della monumentale chiesa dedicata a San Domenico Maggiore.
la meravigliosa cattedrale di San Cataldo sita nella Taranto vecchia – autore Giacomo Resta Taranto – Cattedrale di San Cataldo – 2023-09-29 15-19-48 001.jpg – Wikimedia Commons
Altro avvenimento di rilievo per Taranto fu la trasformazione in isola dell’antica Acropoli, mediante il taglio della penisoletta, con la creazione del famoso “fosso”, con funzione protettiva della città, che poi fu allargato ed approfondito divenendo, nel 1886, l’odierno Canale navigabile. Infine, da citare a proposito di questo periodo, è il famoso Libro Rosso dei Principi di Taranto in cui erano contenuti tutti i regolamenti della pesca relativi ai diritti della Regia Dogana. Questa raccolta di leggi e decreti regolavano l’attività della pesca del XV secolo, cioè dal Principato di Antonio del Balzo Orsini, fino al 18 febbraio 1668. Era prevista una gabella per ogni specie di pesce pescato o venduto nei luoghi prescritti. Molto interessanti le date rigorosamente stabilite per la pesca d’ogni pesce, crostaceo o mitile e le proibizioni di pesca in alcuni luoghi ed in determinati periodi dell’anno. Nel 1793 furono aggiunti al Libro Rosso, 19 articoli (compilatori N. Codronchi, F. Corradini, V. Reggi) con ulteriori regolamenti di pesca e compiti dei guardiani del mare. Era quindi indispensabile conoscere l’ubicazione, il nome delle numerose peschiere, le leggi che regolavano tempi e modi dell’attività di pesca, persino la misura dei pali di recinzione; le infrazioni venivano infatti punite con multe severe e, talvolta con l’arresto.
Francesco Scarpetta
in anteprima stampa del 1761 di Taranto vecchia – incisore Giambattista Albrizzi
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L’ammiraglio Francesco Scarpetta è nato a Taranto nel 1959; entrato in Accademia Navale nel 1978 ha completato la sua formazione professionale nel 1982, conseguendo la qualifica accademica di Dottore Magistrale in Scienze Marittime e Navali nel 2006. Dal 1983 al 1990 ha svolto vari incarichi a bordo delle Unità della Squadra Navale nell’ambito del Componente Telecomunicazioni. Nel 1995 ha conseguito la Specializzazione TLC nel primo Corso di Specializzazione interforze presso la Scuola di Trasmissioni della Cecchignola. Dopo i comando di Nave Urania ha svolto vari incarichi nell’ambito dello Stato maggiore e della NATO. Nel biennio 2009/2011 ha comandato la Scuola Telecomunicazioni delle FF.AA. a Chiavari e successivamente, fino al 2013, ricoperto l’incarico di Capo Divisione Telecomunicazioni della Squadra Navale. Promosso Contrammiraglio nel 2015, è attualmente nella Riserva e vive a Roma.
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