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La conquista delle profondità – parte III

tempo di lettura: 7 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA DELLA SUBACQUEA
PERIODO: XX SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: subacquea

 

Immersioni a secco
Nel 1924 cominciò la sperimentazione con immersioni “a secco”, ovvero in camera iperbarica, ad elio-ossigeno, arrivando a profondità intorno ai 50 metri. I primi risultati confermarono che il palombaro poteva raggiungere profondità elevate senza manifestare fenomeni di alterazione psicofisica. Dopo le sperimentazioni delle prime miscele sintetiche, negli anni Trenta, le loro applicazioni avvennero soprattutto in campo militare principalmente negli Stati Uniti, in Gran Bretagna ed in Russia. In campo civile si segnò invece il passo. Furono le necessità dell’industria dell’off-shore, che cercava di portare uomini ad operare a quote sempre maggiori per posizionare le attrezzature necessarie per l’estrazione del petrolio dai giacimenti sottomarini, a costringere i militari a condividere i progressi in questo campo.

maxeugenenohl-mechanicalengineerdiverIl 22 dicembre 1938, Edgar End e Max Nohl effettuarono la prima immersione ad aria in saturazione in camera (27 ore) a 101 piedi (30,8 metri) al County Hospital a Milwaukee, Wisconsin. La loro decompressione durò  ben cinque ore lasciando Nohl solo con una lieve patologia da decompressione che fu tra l’altro risolta con una ricompressione successiva. Nel 1939, i subacquei della US Navy utilizzarono apparati con miscele elio ed ossigeno (heliox) per il salvataggio dell’equipaggio del USS Squalus, affondato su un fondale di 74 metri durante una immersione di prova. Il salvataggio del personale dello Squalus coincise con la ricerca  di Albert Behnke e Oscar Yarbrough del Navy Experimental Diving Unit sull’uso dell’heliox in profondità. Una delle loro prime immersioni sperimentali, sempre in camera iperbarica, fu effettuata alla quota di 152 metri.

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Albert Abraham Benkhe

Nel 1942, fu lo stesso Behnke a proporre l’idea di esporre gli esseri umani ad un aumento delle pressioni ambientali abbastanza a lungo per far diventare saturi di gas inerti il sangue ed i tessuti. Benkhe comprese anche la differenza dei sintomi dell’EGA da quelli della malattia da decompressione, suggerendo l’uso di ossigeno nella terapia iperbarica. Nel 1950, George F. Bond della US Navy iniziò i primi esperimenti di  immersioni in saturazione e, nel 1957, iniziò il progetto Genesis al Naval Submarine Medical Research Laboratory con lo scopo di dimostrare che gli esseri umani avrebbero potuto sopportare un’esposizione prolungata a diversi gas di respirazione con un aumento delle pressioni ambientali.

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Bond e Tuckfield

Bond intuì che, a saturazione raggiunta, la quantità di tempo necessario per la decompressione dipendeva dalla profondità e dal gas respirato. Questo fu l’inizio delle immersioni in  saturazione e del programma Man in the Sea della US Navy. Nello stesso anno (1950) la FOXBORO negli Stati Uniti e la SOS (Bend-O-Matic), in Italia, incominciarono a  commercializzare i primi strumenti analogici per il calcolo dei tempi di decompressione (decometers). I primi computer digitali, progettati per il Defense and Civil Institute of Environmental Medicine (DCIEM) canadese apparvero a metà degli anni ’50 ed impiegavano un modello matematico di Kidd-Stubbs modificato che utilizzava quattro compartimenti in serie.

I primi habitat subacquei
Negli anni sessanta furono diverse le sperimentazioni in cerca di sviluppare nuove metodologie per l’alta profondità. Tra queste anche quelle che prevedevano la posa in fondo al mare di speciali habitat in cui l’uomo potesse vivere.  I primi esperimenti di “vita subacquea” in habitat posti oltre i 50 metri di profondità  avvennero nel 1961 con il “men in the sea I” alla quota di 61 metri e, nel 1964, “men in the sea II” alla quota di 131 metri.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Museum-of-Man-in-the-Sea-sealab-1.jpg

Nel 1964, il SEALAB I, un habitat composto da due moduli fu posato sul fondo. A capo della missione fu destinato George F. Bond. I risultati ottenuti furono fondamentali per lo sviluppo delle teorie sulla saturazione. Il SEALAB I, posizionato alla profondità di cinquantotto metri, dimostrò che le immersioni di saturazione in mare aperto erano fattibili per lunghi periodi e fornì numerose informazioni sul posizionamento degli habitat, sull’uso pratico degli ombelicali, sul controllo dell’umidità, e la decodifica delle voci deformate dall’elio per ridurre l’effetto “paperino”.

.Gli esperimenti continuarono nel 1965 con il SEALAB II alla  quota di –62 m e “precontinente III” di Cousteau alla quota di 100 m di profondità. Quattro anni più tardi il SEALAB III utilizzò un habitat SEALAB II rinnovato, posto a 185 metri di profondità con cinque squadre di nove subacquei che trascorsero ognuno dodici giorni al suo interno, sperimentando nuove tecniche di salvataggio e la conduzione di studi oceanografici profondi.

La sfida di Keller
Arriviamo a Hannes Keller, un matematico e fisico teorico, che cominciò ad interessarsi delle problematiche delle immersioni profonde. Keller sviluppò in seguito nuove tabelle di decompressione per le miscele di gas con il supporto di Albert A. Bühlmann che gli suggerì i gas più adatti.

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Tabelle che testò personalmente e con successo sia al Lago di Zurich, dove raggiunse una profondità di 400 piedi (120 metri), sia in Italia, al lago Maggiore, dove scese a 728 piedi (222 metri). A queste sperimentazioni ne seguirono altre che purtroppo richiesero un doloroso pegno in vite umane. Fu il caso della celebre immersione di Hannes Keller e Peter Small al largo di Santa Catalina island, California. Keller, una volta arrivati a 305 metri, uscì dalla campana per primo indossando uno speciale autorespiratore. Al rientro dei due operatori, durante la fase di risalita, avvennero un certo numero di incidenti sia a Keller che Small e, dei due, solo Keller riuscì a sopravvivere all’immersione.

Dagli anni settanta del XX secolo le sperimentazioni delle immersioni commerciali presero il sopravvento rispetto a quelle in ambiente militare. Potremmo dire che le due strade incominciarono a viaggiare parallele e qualche volta la sperimentazione in ambito militare si avvalse delle esperienze maturate nelle immersioni commerciali. Le prime immersioni di saturazione commerciali furono eseguite nel 1965 da Westinghouse per sostituire dei rack difettosi a 200 piedi (61 metri) sulla Mountain Dam Smith. Dagli apparati di immersione che abbiamo preso in esame nelle precedenti parti nacquero una serie di apparecchiature per alti fondali, in concomitanza allo sviluppo delle tecniche “in saturazione”. Potremmo quindi dire che il vecchio scafandro elastico, che utilizzava le miscele di elio e ossigeno (HELIOX) a circuito chiuso, si trasformò in uno scafandro leggero, dotato sia di un apparato di ricircolo sia di rifornimento di miscela dalla superficie attraverso un cavo ombelicale. L’apparato venne poi perfezionato con un solo ombelicale dalla superficie per la respirazione in circuito aperto, sicuramente meno complicata e pericolosa per il palombaro ma anche bisognevole di maggiori quantitativi di gas.

I primi rebreather di Draeger

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il rebreather della DRAEGER FGG III con le calandre aperte per mostrare i componenti interni

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DRAEGER
Nel campo dei rebreather voglio solo accennare, da un punto di vista storico, all’evoluzione maturata in casa DRAEGER. La Ditta tedesca, sulla base delle sue esperienze, costruì sin dalla fine degli anni sessanta una serie di apparati rebreather a circuito semichiuso per il reimpiego di miscele elio-ossigeno, destinati inizialmente al settore militare ma poi impiegati anche in campo amatoriale/commerciale. Mi riferisco ai rebreather FGG III (F.G.G. era l’acronimo di fertiggas gemisch gerät cioè “apparato autonomo a miscela di gas”) e al SMS-I (S.M.S. per schlauchabhängige mi­schgas schwimmtauchgerät cioè “apparato per uso subacqueo per miscele fornite da ma­nichetta”). Entrambi erano concepiti per im­mersioni con campana subacquea e, come dice l’estensione dell’acronimo SMS, quest’ul­timo doveva essere collegato con un ombelicale. Per entrambi la profondità massima di impie­go era fissata a 200 metri: una quota, per l’epoca, di tutto riguardo.

La Marina Militare Italiana li adottò tra il 1969 e il 1972 per una fase di sperimentazione sulle immersioni profonde con miscele elio-ossigeno. Posso anche citare l’apparato da immersione profonda della GENERAL AQUADINE GS 2 e l’ADVANCED SERIES 3000 ideato da George Swindell. Entrambi erano progettati per l’impiego di miscele elio-ossigeno con ricircolo dei gas e depurazione della CO2 per mezzo di un filtro di assorbente chimico. Erano collegati a una manichetta che dalla superficie riforniva il sommozzatore di miscela ed erano equipaggiati con bombole di emergenza nel caso si fosse interrotto il flusso dalla superficie.

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apparati sviluppati negli anni settanta: sopra l’apparato da immersione profonda general AQUADINE GS 2 e sotto l’ADVANCED SERIES 3000 ideato da George Swindell. Entrambi erano progettati per l’impiego di miscele elio-ossigeno con ricircolo dei gas e depurazione della CO2 per mezzo di un filtro di assorbente chimico (da skin diver magazine).

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fine III parte  – continua

Fabio Vitale

 

photo credit Fabio Vitale HDS

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1 commento

  1. BERUTTI STEFANO BERUTTI STEFANO
    11/01/2018    

    La storia degli esperimenti di vita subacquea , a mio parere, estremamente affascinante e meriterebbe una trattazione a sé. Il programma della Marina americana, Sea Lab III prevedeva per la prima volta la partecipazione alla missione delle Marine militari australiana, britannica e canadese.
    La partecipazione di altre Marine al programma scaturiva dalla volontà da parte degli americani di dare maggior impulso al programma di ricerca mediante la collaborazione internazionale.
    Sea Lab III prevedeva, come noto, la permanenza nell’habitat collocato a circa 183 metri di profondità di 6 squadre composte da otto subacquei ciascuna per un periodo di 72 giorni complessivi.
    La temperatura all’interno dell’habitat venne regolata sui 49° c. allo scopo di bilanciare la consistente perdita di calore corporeo della miscela respiratoria composta da 92% elio; 6% azoto; 2% ossigeno.
    Ma purtroppo le cose non andarono come previsto. Dopo che SEa Lab III venne sistemato sul fondo il 17 febbraio 1969 si verificarono alcuni problemi, particolarmente venne individuata una perdita di gas dall’habitat.
    Venne così stabilito che due operatori si sarebbero immersi per verificare l’origine della perdita. Trasferiti sul fondo tramite una torretta i subacquei riscontrarono che il gas filtrava dagli orifizi di uscita dei cavi, non sufficientemente stagni. Tutte le operazioni venivano costantemente monitorate dalla superficie tramite video.
    Improvvisamente uno dei due operatori subacquei, l’ingegnere elettronico Barry Louis Cannon perse conoscenza e cadde inerme verso il fondo.
    Il secondo operatore riuscì ad afferrare Cannon e riportarlo all’interno della torretta. Una volta in superficie il medico non potè far altro che constatare la morte del povero Cannon.
    La Marina sospese immediatamente il programma Sea Lab e qualsiasi altro programma di vita sottomarina fino a quando non si fossero state accertate le cause dell’incidente.
    Per quanto è dato sapere la morte di Cannon sarebbe verosimilmente riconducibile ad un problema del respiratore a circuito semichiuso Mark VIII utilizzato. Da allora la Marina americana non intraprese più altri programmi di vita subacquea.

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