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livello elementare.
ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA SUBACQUEA
PERIODO: XIV – XIII SECOLO AVANTI CRISTO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Ulu Burun
La nave di Ulu Burun affondò durante la tarda età del bronzo, oltre tre mila anni fa, un’epoca in cui le civiltà effettuarono le più grandi scoperte, dalla ruota fino al commercio.
Sebbene l’età del bronzo, succeduta all’età della pietra e precedente a quella del ferro, durò circa dal 2.200 all’800 a.C., in realtà non si verificò ovunque contemporaneamente, perché le diverse culture sperimentarono fasi di sviluppo diversificate legate ai contatti reciproci. Va compreso che la scoperta del bronzo, una lega metallica composta dal 90% di rame e il 10% di stagno, fu un passo avanti tecnologico importante in quanto i nostri antenati, fino ad allora, avevano lavorato solo con metalli puri come il rame, l’argento o l’oro.
Di fatto quest’invenzione, innescò un cambiamento del mondo di allora con conseguenze durature. Il bronzo era più resistente e duro del rame e tecnologicamente più idoneo in tante funzioni. Questo innescò in Europa ed in Medio Oriente la necessità di organizzare una vera e propria “catena metallurgica”. La produzione aveva bisogno di stagno, che era raro e non disponibile ovunque, per cui il suo approvvigionamento divenne essenziale per i centri di produzione quanto il petrolio ed il gas nei tempi odierni. Con il bronzo divenne possibile accumulare ricchezze facilmente trasportabili: i lingotti divennero di fatto una moneta di pagamento comune dell’epoca e, naturalmente, portarono prosperità. Di contro si crearono le motivazioni dei conflitti tra chi era più ricco e quelli che ne volevano acquisire senza sforzo tali ricchezze. L’accesso ed il controllo delle risorse (come metalli, metallurgia, comunicazioni e rotte commerciali) portò all’emergere di una classe sociale superiore, inducendo una differenziazione tra le varie classi le cui conseguenze si sentono ancora oggi.
il viaggio della nave Simplified reconstruction of the Uluburun ship showing loaded goods and… | Download Scientific Diagram (researchgate.net)
Non a caso in quel periodo si assistette all’emergere simultaneo di insediamenti fortemente fortificati e lo sviluppo di nuove armi sempre più sofisticate come la spada. La distribuzione geograficamente diseguale dei giacimenti di metalli (in particolare di stagno) portò a una rete commerciale di vasta portata che contribuì anche alla diffusione delle idee culturali.
ipotesi del disegno della nave di Ulu Burun Simplified reconstruction of the Uluburun ship showing loaded goods and… | Download Scientific Diagram (researchgate.net)
La nave
Per inquadrare quei tempi lontani, mentre la nave di Capo Ulu Burun solcava i mari orientali, in Egitto fu realizzato il busto di Nefertiti, Odisseo/Ulisse affrontava il suo lungo viaggio nel Mediterraneo reso famoso da Omero ed il faraone egiziano Echnaton fondava la prima religione monoteista. In quei tempi turbolenti in cui avvenne la guerra di Troia, a Capo Ulu Burun, sulla costa meridionale della Turchia, una nave mercantile con un carico di merci dal valore inestimabile affondò a seguito di una tempesta. La nave era costruita in cedro utilizzando la cosiddetta “tecnica dello spigot”, che prevedeva la costruzione prima dello scafo esterno e in seguito dello “scheletro” sottostante in seguito consolidati da un tipo di giunzione ad incastro composta da un elemento maschio, detto “tenone“, e dall’alloggio femmina corrispondente detto “mortasa“. La giunzione veniva fissata con cavicchi (paletti passanti) o chiodi per bloccarla in posizione. Una tecnica che sopravvisse per oltre un millennio venendo utilizzata per costruire molte navi romane e greche. La nave di Ulu burun, costruita con la tecnica in seguito chiamata dai Romani “a mortasa fenicia”, era stata studiata per l’uso in mare aperto, il che smentisce la tesi che la navigazione nell’età del bronzo fosse esclusivamente in vista della costa. Gli archeologi ritengono che l’archetipo di questa nave provenisse probabilmente dall’antico Egitto, nel periodo in cui il faraone Echnaton favorì lo sviluppo di navi di altura più resilienti per far avanzare il commercio e i trasporti dell’epoca. Poiché solo il 3% circa dello scafo originale della nave è stato recuperato, i disegni dell’antico Egitto, in particolare la rappresentazione pittorica della “flotta della regina Hatshepsut nella terra di Punt” (1.500 a.C.), fornirono agli archeologi un riferimento visivo significativo per la ricostruzione della nave.
Una nave di dimensioni considerevoli per l’epoca
La nave era lunga circa 15 metri, larga cinque e aveva un pescaggio di 1,4 metri, cosa che le avrebbe permesso il trasporto di un carico di ben 20 tonnellate di merci. Poteva utilizzare una vela triangolare che forniva una velocità massima di due nodi, ed aveva due timoni per manovrare. Si ipotizza che la nave, costruita con quercia libanese e legno di cedro, avrebbe potuto provenire dalla Turchia, da Cipro o dal Libano, luoghi in cui questi alberi crescono in maniera naturale. Dal suo porto di origine sulla costa levantina, la nave salpò a pieno carico verso la sua destinazione forse un porto miceneo, ipotizzato grazie ad alcune ceramiche micenee ritrovate sul relitto. Nei pressi di Capo Ulu burun avvenne il naufragio, forse un ‘improvvisa tempesta non rara nell’Egeo e la nave andò perduta.
Il ritrovamento
Nell’estate del 1982 da Mehmed Çakir, un pescatore di spugne locale di Yalikavak, un villaggio vicino a Bodrum, rinvenne il relitto nelle acque presso la città di Kaş, Turchia. I pescatori di spugne erano spesso consultati dall’Istituto di Archeologia Nautica (INA) per identificare luoghi di probabili naufragi antichi. Le scoperte di Çakir incuriosirono Oğuz Alpözen, allora Direttore del Museo di Archeologia Subacquea di Bodrum, che inviò un team ispettivo degli archeologi di INA e del Museo per localizzare il sito di naufragio. Il team ispettivo localizzò numerosi lingotti di rame su un banco di sabbia non lontano dalla costa. Recuperare il carico dalla nave fu per gli archeologi una vera sfida. Sebbene il relitto fosse a soli 60 metri dalla costa, si trovava ad una profondità tra i 44 e i 52 metri di profondità, su un piano roccioso in pendenza pieno di banchi di sabbia. Due anni dopo la scoperta, nel 1984, iniziarono i lavori per recuperare il carico. Le operazioni di recupero furono affidate all’archeologo americano George Bass, dell’Istituto di archeologia navale dell’Università A&M del Texas, e all’archeologo Cemal Pulak, del Museo di Bodrum.
Per dieci anni, subacquei nordamericani e turchi si immersero sul relitto effettuando oltre 6.600 ore e 22.000 immersioni, fino a quando il carico non fu completamente recuperato. Attualmente il Museo Archeologico Subacqueo di Bodrum espone il maggior numero di questi oggetti, molti dei quali sono ancora in fase di analisi. Il ritrovamento di un carico di oltre tre millenni orsono è di sé straordinario, mostrandoci diverse merci conosciute solo attraverso antichi manoscritti ed illustrazioni trovate nelle tombe dei faraoni. Furono recuperate dieci tonnellate di rame grezzo distribuite in 354 lingotti rettangolari, 121 lingotti di rame e pergamene ovali e 40 barrette la cui origine potrebbe essere le mitiche miniere di Tartesso. Inoltre, la nave trasportava, tra i tanti oggetti, 24 ancore litiche (di un pietra tipica di Cipro), 149 giare di origine cananea, tutte molto simili a quella trovata a Tell El Amarna in Egitto, zanne di ippopotami ed elefanti, legno di ebano, ceramiche di Cipro, uova di struzzo, gusci di tartaruga, vasi di rame e bronzo, lucerne, 175 barrette di vetro turchese, le prime del suo genere intatte, strumenti da falegname in bronzo, due scatole per cosmetici a forma di anatra, in avorio, oltre a vari orecchini in oro, ambra e argento, ornamenti di quarzo, agate, anelli di conchiglia. Tra i gioielli uno splendido scarabeo in oro dedicato a Nefertiti, corrispondente al 1360-1335 a.C. Inoltre, tavolette di legno incernierate, che servivano da quaderni, le stesse menzionate anche nell’Iliade di Omero.
Ancora un mistero è l’origine della nave e del suo equipaggio della nave anche se gli scienziati sono orientati a pensare potesse venire dalla costa egea cipriota. L’abbondanza dei reperti ritrovati, occuperà gli archeologi per decenni. Di certo il relitto di capo Ulu Burun resta una testimonianza straordinaria delle navigazioni arcaiche, di quei primi anni quando l’Uomo iniziò ad affrontare il mare, ma è anche una finestra su quell’epoca di grande cambiamento.
Andrea Mucedola
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maggiori informazioni sul sito dell’Institute of Nautical Archaeology
e-mail: info@nauticalarch.org | phone: 979.845.6694 |
Bibliografia
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Payton, Robert. “La serie di asse per la scrittura di Ulu Burun”. Studi anatolici, Vol.41 (1991): 99–106.
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