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livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO INDIANO
parole chiave: Kharg, Iran, Israele, Stati Uniti, Yemen
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In questi giorni la stampa internazionale ha segnalato un grave incidente marittimo avvenuto in acque iraniane. Una rifornitrice della marina iraniana è affondata, nelle prime ore del 2 giugno 2021, dopo aver preso fuoco per cause ancora sconosciute durante una presunta missione di addestramento vicino al porto iraniano di Jask. La marina iraniana ha comunicato che i tentativi di domare le fiamme sono durati per più di 20 ore nel tentativo di salvare la nave prima che affondasse. Per precauzione, l’equipaggio della nave è stato evacuato in sicurezza e non sono state segnalate vittime. Purtroppo gli sforzi sono stati inutili e la nave è affondata.
Secondo Combat Fleets of the World, la nave è stata “fortemente modificata” rispetto alle sue navi gemelle di classe Ol in servizio della British Royal Fleet Auxiliary; il progetto è descritto da Jane’s Fighting Ships come “incorporante alcune delle caratteristiche” della classe e predisposti per il trasporto di scorte e munizioni oltre al carburante”. La nave fu costruita nel 1977 in Inghilterra e fu consegnata all’Iran nel 1984. Con una stazza lorda di 18.880 tonnellate, secondo il Jane la nave era lunga 207,2 metri ed aveva una larghezza di 26,5 metri e un pescaggio di 9,2 m. Originariamente i suoi macchinari includevano una coppia di caldaie Babcock & Wilcox, con due gruppi turbine Westinghouse. Il sistema è stato progettato per generare 7.000 kW di elettricità e fornire 26.870 CV per singolo asse accoppiato all’elica. La nave era in grado di raggiungere una discreta velocità massima di 21,5 nodi. Il suo radar di navigazione originale era un Decca 1229, mentre il sistema di navigazione aerea tattico installato era un URN 20 fabbricato negli Stati Uniti. Era anche dotato di sistemi per le comunicazioni Inmarsat. Pur essendo una nave ausiliaria, era dotato di un armamento costituito da un cannone compatto OTO Melara 76 millimetri/62 sul suo castello di prua, come è stato progettato. Era anche equipaggiato con quattro cannoni automatici antiaerei da 23 mm /80 disposti in due supporti gemelli, oltre a due mitragliatrici pesanti da 12,7 mm. L’equipaggio dichiarato era composto da 248 tra ufficiali e marinai. L’IRIS Kharg aveva due hangar che le davano una capacità di imbarco per tre elicotteri Foto IRIS Kharg (431) rear by Hossein Zohrevand.jpg – Wikimedia Commons |
Quali sono state le cause?
Ancora una volta questi eventi scompaiono tra i fumi, questa volta dell’incendio. La marina iraniana ha affermato che l’evento è iniziato in uno dei sistemi della nave, senza fornire ulteriori dettagli. Una dichiarazione dell’agenzia di stampa iraniana Tasnim ha affermato che la nave era partita giorni fa per una “missione di addestramento” in acque internazionali, dopo di che era avvenuto il gravissimo incidente, mostrato in televisione dalla TV di stato iraniana in tutta la sua drammaticità. I media iraniani hanno poi riferito che l’incendio era divampato nel locale caldaia della nave e si era propagato internamente. Le immagini mostravano la nave completamente in fiamme ed i sopravvissuti con ancora addosso i giubbotti di salvataggio messisi in salvo a bordo delle navi di soccorso che erano accorse nelle vicinanze.
Quali siano le cause, vetustà della nave (44 anni sono tanti) o per un sabotaggio, forse non si scoprirà mai ma qualche dubbio appare. Innanzitutto, il Kharg è la seconda unità iraniana, negli ultimi tre mesi, a subire gravi danni in mare. La prima, la MV Saviz, fu coinvolta in “incidente” alquanto misterioso all’inizio di aprile. La nave iraniana si trovava, da mesi, dislocata tra il mar Rosso ed il golfo di Aden, al largo dello Yemen in supporto alla guerra tra gli Houti filo iraniani ed una coalizione yemenita sostenuta dai Sauditi.
La causa dell’evento, dichiarata sui media iraniani, fu di un sabotaggio, effettuato da un comando israeliano. Un’accusa ben precisa. Sebbene tale affermazione possa apparire piuttosto forte, in realtà anche il Wall Street Journal aveva rivelato che Israele era stato responsabile di almeno “una dozzina di attacchi” a mercantili e petroliere iraniane che, nel corso degli ultimi anni, avevano trasportato materiale e petrolio illegalmente in Siria e in Libano. Citando funzionari statunitensi, il Wall Street Journal affermava che alcuni degli attacchi navali avevano di fatto bloccato gli sforzi iraniani di trasportare armi nella tormentata regione.
Secondo David Elber, in un articolo pubblicato su l’Informale, la nave iraniana forniva informazioni intelligence alle forze navali delle guardie rivoluzionarie iraniane ed ai suoi alleati Houti in merito al passaggio di mercantili e di petroliere saudite nel Golfo di Aden, per affinare possibili attacchi. Secondo il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Saeed Khatibzadeh, l’esplosione sul MV Saviz, avvenne nei pressi della costa di Gibuti, causando danni minori e per fortuna senza vittime. Ovviamente la versione iraniana è che la MV Saviz era un semplice mercantile inviato per sostenere gli sforzi antipirateria nel Mar Rosso e nello stretto di Bab el-Mandeb.
Al di là delle possibili verità, quello che appare interessante è la fuga di notizie da parte dell’intelligence statunitense ai danni di Israele, che fa pensare un possibile ripensamento americano nei rapporti con questo suo tradizionale alleato. Non a caso sta avvenendo in un momento storico particolare che vede il leader israeliano Netanyhau, attaccato dalle forze politiche interne nonostante alcuni importanti successi interni, come la gestione della pandemia COVID 19 e la firma dei cosiddetti “Accordi di Abramo” che hanno portato, con la mediazione degli Stati Uniti di Trump, alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Di fatto il leader ha restituito il 4 maggio il suo mandato, impossibilitato a trovare un accordo con Naftali Bennett, leader del partito di estrema destra Yamina. Il Presidente israeliano Rivlin ha ora affidato il mandato di formare un nuovo governo a Yair Lapid, ma questa è un’altra storia. Una cosa interessante è che sembrerebbe che alcuni giorni dopo l’azione di sabotaggio sul Saviz, l’Arabia Saudita avesse incontrato degli esponenti iraniani in un colloquio segreto, senza però informare Israele. Quale machiavellico gioco si sta giocando? Fantasticando si potrebbe vedere una relazione tra la presenza intelligence iraniana e quella cinese nella zona di Gibuti, visti i recenti accordi cino-iraniani per una collaborazione e supporto che hanno visto un forte e consistente riavvicinamento tra i due Paesi. L’ultimo passo di consolidamento cinese che sta già portando a termine la costruzione di un importante hub cinese-omanita a Duqm e sta rinforzando la base di Gibuti per ospitare una portaerei ed unità portaelicotteri da assalto anfibio “Classe Yushen” (Type 075) in sostegno alla via della seta marittima.
Tornando al Kharg, non è ancora chiaro se si tratti di un atto di sabotaggio o di un incidente di una nave che, comunque, aveva già 44 anni di vita. Certamente l’area dell’incidente, lo stretto di Hormuz ed il vicino Golfo di Oman, è stata, dal 2019, oggetto di numerosi strani incidenti, documentati dall’intelligence americano che accusano l’Iran di aver utilizzato mine (o ordigni) per causare danni alle navi mercantili in transito. Una “guerra fredda” che negli ultimi mesi ha registrato anche numerosi eventi di attacchi effettuati, anche con droni, contro le navi iraniane al largo delle coste siriane. Ricorderete il caso del mercantile iraniano che trasportava petrolio al porto siriano di Latakia, colpito sul ponte da un razzo che uccise tre membri dell’equipaggio. Ciò nonostante le dichiarazioni ufficiali iraniane in merito all’affondamento del Kharg negano al momento una azione intenzionale, sottolineando che al momento si ritiene solo che sia scoppiato un incendio all’interno della nave.
foto mosaico del IRIS Kharg prima e dopo l’incendio del 1 giugno con immagini fornite da Maxar – da articolo pubblicato su USNI daH.I.SuttonLoss of Iranian Navy Ship Mutes Tehran’s Global Ambitions, 3rd Warship Lost Since 2018 – USNI News
Cosa sta succedendo?
Siamo di fronte ad un’interessante escalation di questa strana “guerra fredda a 45 gradi di temperatura esterna”, in cui gli interessi non possono essere più visti solo regionalmente ma coinvolgono tutti. A voler guardare un pò più lontano, ci si può domandare se queste azioni di disturbo reciproco siano solo l’inizio di uno scontro marittimo per acquisire il dominio dei mari orientali da parte di altre superpotenze, concorrenti degli Stati Uniti, che stanno allungando la loro attenzione sulle rotte e, in particolare, sugli stretti marittimi che collegano il mar Mediterraneo e gli oceani dell’Indo Pacifico. I rapporti di questi ultimi anni, sempre più tesi, tra gli Stati Uniti e l’Iran, e l’avvicinamento di quest’ultimo alla Cina (con la firma di un programma di cooperazione strategica globale di 25 anni che potrebbe valere 400 miliardi di dollari di investimenti cinesi in Iran) non possono essere visti come episodi isolati. Non ultime le soste di unità navali cinesi al porto militare iraniano di Bandar Abbas, incominciate il 21 settembre 2014, con la presenza di due cacciatorpediniere cinesi, in una visita senza precedenti attestano un nuovo riavvicinamento tra i due Paesi. Un interesse regionale cinese che trova un importante complemento nella Zona Economica Speciale della città portuale di Duqm, dove il consorzio cinese Oman Wanfang sta lavorando dal 2016 alla costruzione del China-Oman Industrial Park con investimenti pari a 10,7 miliardi di dollari. Duqm, a sud di Mascate, Oman, è di fatto un progetto chiave per assicurare alla via della seta (MSRI) un hub marittimo. Un investimento strategico che svincolerebbe la flotta mercantile cinese dalla necessità di transitare a Hormuz per entrare a rifornirsi nel golfo Persico, sfruttando ad esempio oleodotti interni.
In sintesi, stiamo assistendo a giochi di potere sempre più intricati che porteranno ad un innalzamento delle tensioni sulle rotte marittime medio orientali e vedranno le flotte navali delle superpotenze incrociare sempre più spesso nei pressi degli stretti per poter assicurare il libero transito. Cui prodest? Vedremo, nel frattempo aspettiamoci un’estate molto calda e non solo per le temperature esterne.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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