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Roma sul mare: metodo ed organizzazione, la chiave del successo

tempo di lettura: 5 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: VIII SECOLO a.C. – V SECOLO d.C.  
AREA: MARE MEDITERRANEO 
parole chiave: Roma, potere marittimo romano, architettura navale
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La chiave vincente ed innovativa della civiltà romana fu il pragmatismo. I Romani seppero costruire, con metodo ed organizzazione, un vasto Impero ed il mare fu artefice della loro fortuna. 

Abilità marinaresca
I marinai dell’epoca erano già dei discreti navigatori, conoscevano i venti e li sapevano usare per le loro navigazioni. Dalle fonti sembra emergere che i Romani, almeno nei primi anni non fossero de grandi naviganti e i loro navigatori erano per lo più greci. Ciò nonostante, con l’Impero, queste differenze si assottigliarono ed i comandanti romani raggiungevano le aree più lontane spingendosi fino alle coste dell’India. La pax augusta, che durò per molti anni, consentì a quegli indomiti navigatori di prosperare con i loro commerci riportando a Roma merci pregiate, animali esotici e schiavi.

Esperti navigatori
Con un vento favorevole, una nave poteva raggiungere una velocità compresa tra i quattro ed i sei nodi ma se il vento soffiava nella direzione sbagliata, le navi erano costrette a virare di bordo e, solo i migliori, riuscivano a mantenere una rotta controvento con un angolo non superiore a sessanta o settanta gradi. La navigazione nel mondo antico era quindi affidata ai piloti che conoscevano le stelle e i venti nonché le coste lungo il Mediterraneo. La conoscenza dei movimenti delle costellazioni consentiva di potersi orientare di notte fuori dalla vista della linea di costa, quindi senza aver necessità di orientarsi con i primi fari che venivano accesi sulle alture. Arrivati a destinazione, non esistendo ancora carte dettagliate, si affidavano all’esperienza e alle nozioni contenute in libercoli o carte chiamati portolani.

Uno strumento nautico interessante era lo scandaglio, in genere di forma troncoconica con un anello alla sommità per assicurarlo ad una cima. La sua base era invece cava per inserivi del grasso utilizzato per prelevare un campione del fondale. La conoscenza del tipo di sedimento dava un’importante indicazione per l’ormeggio con l’ancora. In pratica, tramite sondaggi ripetuti i marinai riuscivano a valutare come la profondità del fondale diminuiva avvicinandosi alle coste, evitando così pericolose secche, ed il punto migliore per dare fondo all’ancora.

L’occhio vigile della flotta
Grazie alla protezione della flotta militare, queste imbarcazioni navigavano con continuità lungo le rotte mediterranee ed esterne al Mediterraneo come testimoniano alcuni scritti che descrivevano viaggi da Alessandria a Marsiglia fino all’India, raggiunta direttamente dall’Africa attraverso l’oceano.

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disegno di bireme: autore Rama – Own work, CC BY-SA 2.0 fr, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=64322

Ad esempio, il commercio dal porto di Myos Hormos si spingeva fino alle coste dell’Oceano Indiano ed è testimoniato nel libro Periplus maris erythraei, risalente al I secolo che cita: “Prima viene il porto di Myos Hormos, e poco oltre, dopo 1800 stadi, sulla destra, Berenice. Entrambi i porti si trovano sul Mar Rosso, al confine dell’Egitto”.

Secondo lo storico Strabone, all’epoca dell’imperatore Augusto, oltre 120 navi all’anno, partivano dal porto di Myos Hormos per le coste indiane: “Ad ogni modo, quando Gallo era prefetto d’Egitto, lo accompagnavo su per il fiume Nilo fino alla frontiera con il Regno di Axum, a Assuan, e lì venni a sapere che fino a 120 navi partono regolarmente, per fare commercio con l’India mentre ai tempi della Dinastia tolomaica, solo poche imbarcazioni si attentavano a intraprendere il lungo e pericoloso viaggio verso le coste indiane.

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La mappa illustra i porti commerciali per le navi romane, come descritto nel Periplus del Mar Eritreo. Da notare, gli asterischi neri ed i cerchi bianchi indicano i luoghi di cattura di elefanti ad Abu Geili (Sudan) e Rhapta (Tanzania) che veniva descritto come un luogo “in cui c’è avorio in grande quantità”. – autore non noto – estratto da 5,000 Year History – African Blackwood Conservation Project

Di fatto i tre principali porti romani da cui partivano le navi verso l’Oriente erano Arsinoe-Clysma (Suez), Berenice e Myos Hormos. Arsinoe fu uno dei primi centri del commercio, ma venne ben presto eclissato dai più accessibili Myos Hormos e Berenice. Sebbene le distanze fossero importanti, quei navigatori conoscevano i monsoni e li sapevano usare per i loro lunghi trasferimenti. D’altronde, a fronte di vie poco sicure per terra, il mare era quindi la principale via di comunicazione e lo sarebbe stato ancora per molto tempo.

Una semplificazione commerciale che favoriva tutti
In epoca augustea, l’Impero Romano si estendeva dalla Britannia alla Mesopotamia ed il traffico commerciale tra le Province era favorito dall’assenza di frontiere, uno Schengen dell’epoca, dalla presenza di un unico sistema monetario e di una sola lingua comune, il latino, che era compresa dai tanti popoli che vivevano in quelle aree.

L’impero non sarebbe mai potuto sopravvivere senza l’importazione di grano dall’Egitto che arrivavano sulle annonarie nei porti principali per essere trasferito alle città principali e poi a tutto l’impero. Parliamo di migliaia di tonnellate ogni anno di merci preziose che comprendevano metalli preziosi, stoffe e cibarie per le tavole dei Romani. In cambio i Romani portavano vino, olio e ceramiche. Dalla Spagna veniva esportato vino, olio e garum, una colatura di alici di cui i Romani andavano pazzi. Dai lontano nord atlantico arrivava l’ambra usata per i gioielli, mentre dal Golfo Arabico le perle preziose. Come illustrato in una famosa moneta di Nerone, da Ostia le merci venivano trasportate era poi trasportato con le caudicariae, barconi a chiglia piatta trainati dai buoi fino al centro di Roma.

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sesterzio di Nerone sul dritto il porto di ostia con le onerarie da https://www.ngccoin.com/news/article/5895/NGc-Ancients/

Queste navi, ma sarebbe forse più corretto definirle chiatte, avevano una poppa molto rialzata che s’incurvava sopra la postazione del timoniere, che aveva a disposizione ben due timoni a perno. Non doveva essere una manovra facile. Queste navi risalivano il fiume contro corrente ricorrendo all’alaggio per risalire il fiume, impiegando tre gironi per arrivare ai moli in città dove scaricare le merci. Una necessità voluttuaria, nel caso dei generi di prima importanza tutt’altro che trascurabile tenendo conto che Roma, già nel I secolo d.C., annoverava un milione di abitanti. L’organizzazione portuale straordinariamente efficiente che dava lavoro a diverse maestranze specialistiche tra cui gli Urinatores, i primi palombari organizzati in una Corporazione dedicata e protetta da una legge/contratto specifica della storia.

In sintesi, i Romani in epoca imperiale seppero gestire le rotte marittime nel loro insieme con profitto, proteggendo il traffico delle navi commerciali con una flotta addestrata ed efficiente. L’eredità romana non andò perduta e, dopo la caduta dell’impero di Occidente, la marina bizantina seppe sfruttare molte delle lezioni acquisite, ma questa è un’altra storia.

Andrea Mucedola

 

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