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Ireland Wreck Tour HMS Audacious (-65 m) di Andrea Murdock Alpini

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: RELITTI
PERIODO: XX SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: HMS Audacious, corazzata, affondamento

 

Sono 43 i minuti di ritardo con cui il traghetto della Irish Ferries ha lasciato le coste francesi. Domani, se tutto andrà per il verso giusto, nella notte attraccheremo a Dublino verso mezzanotte. Da lì altre cinque ore abbondanti di guida e dovremmo finalmente arrivare a Malin Head. La luce rossa arroccata alla fine della diga foranea è ora alla nostra destra uscendo dal bacino portuale. Voci con accento “Irish English” si mischiano a cadenze gaeliche. La poppa ha appena attraversato la diga per intero, da qui inizia la Manica e il mio viaggio di ritorno verso l’Irlanda. Terra di Smeraldo. 1.748 km percorsi con il Wreck Van di cui 378 in “direzione ostinata e contraria”. Venti ore di nave trascorse a bordo dell’Irish Ferry che ha navigato tra la Manica e il Mare d’Irlanda. E dopo due giorni di viaggio siamo arrivati alla penisola di Rossguill. Alle 1900 circa siamo approdati al Fishermans Lodge, finalmente.
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La luce del sole era ancora molto alta al nostro arrivo. Giusto il tempo di una stretta di mano con il nostro skipper Michael McVeigh e due battute con Jack Ingle, il nostro referente sul luogo, che è ora di scaricare tutta l’attrezzatura. Nel tardo pomeriggio inizieremo a mettere ordine a quanto ci servirà per la prima immersione sulla HMS Audacious, strepitosa corazzata britannica affondata durante la Prima Guerra Mondiale. Il destino di questa nave si compie a Scapa Flow e, nel giorno dell’affondamento, la HMS Olympic (nave gemella di Titanic e Britannic), che si trova nelle vicinanze, può portare in salvo diversi naufraghi, inviando le proprie lance a supporto dell’HMS Audacious.
 

Era il 27 ottobre 1914: HMS Audacious affonda vicino all’Isola Tory, in Irlanda. La corazzata urtò una mina navale posata dal SMS Berlin. L’equipaggio fu messo in salvo dal HMT Olympic e HMS Liverpool. Nonostante l’Olympic cercò di rimorchiare la corazzata il tentativo fallì e l’HMS Audacious affondò il giorno dopo. Il relitto è stato ritrovato nel 1995 – photo credit by Michael W. Pocock and MaritimeQuest.com 


The Pontoon

Quando arrivo al punto di imbarco la baia è punteggiata da piccoli natanti alla fonda e da qualche mezzo relitto semi affondato e dimenticato dal suo legittimo proprietario. L’odore delle alghe è forte, il sentore dell’oceano che si incunea nel fiordo è quasi salmastro. Il vento soffia debole, inusuale a queste latitudini. Piove da ieri notte in modo continuo. A tratti la pioggia è fine e costante, in altri momenti è più grossa e rumorosa. Inizio a scaricare le attrezzature dal Wreck Van. Un pontile in ferro, viscido e sgangherato, lungo circa una dozzina di metri, conduce al molo flottante dove è ormeggiata la nostra barca. Una volta a bordo, inizia l’accurato briefing rivolto al montacarichi subacqueo con cui verremo letteralmente issati a bordo una volta terminata la decompressione. Due ore più tardi finalmente si parte, lasciamo gli ormeggi. L’attesa è stata lunga, ma sarebbe stato inutile uscire prima dalla baia dato che le immersioni sono determinate dalle tabelle di marea e di corrente. L’arrivo sul sito di immersione del relitto HMS Audacious è previsto per le ore 13.45. Dista circa sedici miglia dalla costa in direzione Nord.

La superficie ventriloqua
L’acqua è nera guardando dall’alto verso il basso. La boa segna corrente indica 0.6 nodi, a quanto mi dice lo skipper. Il plancton presente in grandi banchi crea degli strati così densi da non far penetrare la luce al di sotto di una certa quota.

Il suono del corno è il segnale che il comandante ci dà per buttarci in acqua e raggiungere la linea di discesa. Un attimo di pausa e giù. A -36 m parte la diagonale che conduce alla stazione deco. Qui ciascuno di noi lascia il proprio “tag”, ovvero il cartellino con il proprio nome che riprenderà al ritorno. È un buon sistema di verifica e sicurezza simile al cookie che si lascia all’inizio di un’immersione in grotta. In questo caso il significato è monitorare che nessuno resti sul fondo, dato che le correnti oceaniche, quando montano, lo fanno per davvero e lasciano ben poco margine di azione.

Il letto del grande fiume
Il fondale dell’oceano sembra quello di un grande fiume. Poca sabbia, niente fango, tanti piccoli sassi di medie dimensioni, quasi sferici e levigati dalla corrente. La visibilità è buona, molto buona, almeno a 12 metri. Quel che vedo di fronte a me è la torretta da cui spunta il grande cannone binato da 343 mm dell’HMS Audacious. Le bocche di fuoco che compaiono sotto la torretta sono impressionanti e le due barbette laterali appaiono fortemente iconiche. Caroselli di merluzzi vi girano sopra.

Le lamiere frastagliate del centro nave, disintegrata all’impatto con la mina il 27 ottobre 1914, oggi sono tane di molteplici gronghi e astici. La corazzata, appartenente alla classe di navi da battaglia britanniche “King George V”, in forza alla Royal Navy, è stata varata nel 1912 presso i cantieri navali di Cammell Laird, a Birkenhead, e aveva un equipaggio pari a 860 uomini.

Il giorno dell’affondamento, verso le 20.45, l’HMS Audacious si inclinò di colpo su un lato, imbarcando acqua velocemente, infine si capovolse con la prua che garriva al cielo. 15 minuti più tardi il repentino e vigoroso spostamento di parte del carico dei proiettili all’interno provocò un forte boato esplosivo. La violenza fu tale che i frammenti schizzarono impazziti in tutte le direzioni. Uno di questi colpì a notevole distanza un sottufficiale della HMS Liverpool che era giunta in soccorso dei naufraghi. La scheggia causò l’unica vittima di questo tragico affondamento.

Perlustrando il fondale, oggi è possibile scorgere ancora gli armamenti sconquassati sparsi qua e là. Il relitto è sfasciato nella parte del centro nave e della prua: si tratta di compiere un lavoro quasi archeologico durante l’immersione. Pezzi, lamiere, siluri, enormi proiettili a volte luccicanti nel loro profilo color bronzo emergono dal groviglio affascinante di ferro che giace sul fondo. Gli scorci sono tanti.

Gli occhi avidi si spostano frettolosamente nella costante sensazione di non poter cogliere tutto quello che vorrei. Eppure questa corrente, che spinge continuamente da Nord-Ovest, non aiuta. Mi allontana dal relitto. Ogni tanto mi riparo dietro qualche lamiera più alta per avere un attimo di tregua.

Dopo 35 minuti mi sembra di essere qui da almeno il doppio del tempo. Lo sforzo fisico si sente, il relitto mi affatica, complice anche l’atto di filmare. Gli ultimi minuti li passo a cercare elementi e scorci diversi. Ripasso sull’armamento principale, poi, alla mia destra, trovo un cannoncino di calibro inferiore, uno dei sedici da 102 mm che solitario era alloggiato dentro una casamatta sul ponte di coperta. È fantastico. Integro. Un lampo di felicità che arriva allo scadere del quarantesimo minuto. Quando stacco dal fondo la profondità media è di -57 m, la massima è stata di -63 m, di fronte alle due bocche di fuoco dove non ho voluto inginocchiarmi per riprendere fermo immobile il relitto.

La pecora dalla testa nera
Alle 21.30 sono ancora a caricare il bibombola e le stage per il giorno dopo. Rompo lo sguardo attonito sul compressore con una pausa uggiosa. Non c’è rete telefonica fuori, per fortuna. Lo sguardo si sposta sulle scogliere antistanti. Mi volto verso destra e compare lei, una candida quanto fradicia pecora bianca che pascola sotto la pioggia. Ha solo la testa nera. Mi fissa per un pò. Io torno al compressore, lei ai fili d’erba.

Andrea Murdock Alpini

Immagini/photo credit: Andrea Murdock Alpini e Nicola Faulks

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