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livello elementare
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ARGOMENTO: RELITTI
PERIODO: XX SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: sottomarino, K 278, Marina sovietica, sottomarini, classe Mike

il relitto del Kosmolets (Institute of Marine Research Norway/Ægir 6000)
Una ricerca congiunta russa e norvegese ha riscontrato delle perdite di radiazioni dal relitto del K-278 Komsomolets nel mare di Norvegia. Il relitto si trova a grande profondità ed è periodicamente controllato a causa della presenza di armi nucleari a bordo. Conosciamolo meglio.
Il K 278 fu l’unico sottomarino di attacco a propulsione nucleare della Marina sovietica appartenente al progetto 685 Plavnik (Плавник,”pinna”), un battello classificato in campo NATO come classe “Mike”.

Il Kosmomolets K 278 progetto 685 fotografato in immersione
Inizialmente il progetto 685 fu sviluppato per testare le nuove tecnologie dei sottomarini nucleari sovietici di quarta generazione ma fu realizzato solo un battello. Il battello K-278 aveva un doppio scafo, con quello interno in titanio, che gli conferiva una profondità operativa di gran lunga superiore a quella dei migliori sottomarini americani. Lo scafo pressurizzato era composto da 7 compartimenti con il secondo e il terzo protetti da robuste paratie di prua e di poppa che creavano una “zona di sicurezza” in caso di emergenza. Una capsula di salvataggio era presente nella vela, al di sopra di questi compartimenti per consentire all’equipaggio di abbandonare la nave in caso di emergenza subacquea.
Il 4 agosto 1984 il Komsomolets raggiunse una profondità record di immersione di 1.020 metri (3.350 piedi) nel Mare di Norvegia. Ma le cose in seguito andarono storte.
Un tragico epilogo
Il Komsomolets affondò a seguito di un incidente di bordo nel 1989. Sebbene fosse un prototipo in fase di continuo sviluppo, il battello era pienamente in grado di combattere, con tutti i suoi armamenti nucleari a bordo.

Un’immagine del Komsomolets, unico sottomarino nucleare sovietico classe Mike
Il 7 aprile 1989, mentre era in pattugliamento nella sua prima missione operativa, alla quota di circa 300 metri, a causa di un cortocircuito, un incendio si propagò nel battello, nonostante le porte stagne fossero chiuse. Di fatto l’incendio si diffuse attraverso i cavi passanti nelle paratie. Il reattore nucleare si bloccò e la propulsione fu persa. Il sottomarino emerse in emergenza, rilasciando la zavorra, undici minuti dopo l’inizio dell’incendio. il Komsomolets rimase a galla per circa cinque ore prima di affondare. Dei circa 70 membri dell’equipaggio che perirono, solo quattro furono uccisi a causa dell’incendio, mentre 34 morirono per ipotermia, annegando nelle acque gelide in attesa di quei soccorsi che non arrivarono in tempo.

il relitto del Komsomolets (Institute of Marine Research Norway/Ægir 6000)
Drammatiche le ultime fasi, riportate in un rapporto della CIA, quando il comandante del sottomarino, Vanin, si rese conto che al suo interno solo sei uomini erano ancora vivi. Il Capitano Vanin li guidò alla loro ultima speranza, la capsula di emergenza. Chiuso il portello Vanin incominciò a fare la conta dei sopravvissuti: Yudin, Slyusarenko, Krasnobayev, Chernikov e scoprì che ne mancava uno, Ispenkov.
Terrorizzati sentirono bussare, cercarono di aprire il boccaporto di collegamento, ma era troppo tardi: le pareti del compartimento esterno crollarono. Il sottomarino Komsomolets incominciò a sprofondare verso il basso a 300, 500, oltre 1,000 piedi. A 1.300 piedi la capsula di evacuazione non registrò più la profondità. Gli uomini cercarono disperatamente di sganciarla dal sottomarino senza successo.

siluro sul relitto del Komsomolets (Institute of Marine Research Norway/Ægir 6000)
Avvenne una nuova esplosione ed all’improvviso la capsula si sganciò dallo scafo, dirigendosi come un pallone impazzito verso la superficie. Ma non era finita. Una volta in superficie il portello non si aprì e solo uno degli occupanti, Slyusarenko, sarà poi in grado di uscire. Sbattuta dal mare mosso, la capsula danneggiata inesorabilmente si allagò e incominciò ad affondare. Quattro degli occupanti, il Comandante Vanin, Yudin, Krasnobayev e Chernikov, restarono imprigionati nel suo interno, ritornando negli abissi, quasi a volersi ricongiungere al Komsomolets ad oltre cinquemila piedi di profondità.

Le immagini del relitto del Komsomolets rilasciate dal Institute of Marine Research Norway appaiono alquanto spettrali – photo credit Institute of Marine Research Norway/Ægir 6000
A causa delle numerose perdite fu condotta un’inchiesta pubblica e, di conseguenza, molti dettagli sull’incidente, precedentemente classificati per motivi di sicurezza nazionale, furono poi rivelati dalle fonti giornalistiche sovietiche. Un evento drammatico nei freddi mari del Nord che segnò le coscienze.
Il relitto si trova a sud-ovest dell’isola di Bjørnøya, nel Mare di Norvegia, ad una profondità di 1658 metri. Tra il 1989 e il 1998 furono inviati sul luogo dell’incidente ben sette spedizioni. Con l’aiuto dei sommergibili da ricerca e soccorso Mir-1 e Mir-2, i ricercatori studiarono le condizioni della stiva, dei due reattori nucleari e dei siluri a testata nucleare ed arrivarono alla conclusione che il relitto del sottomarino non costituiva un pericolo imminente per l’ambiente circostante.
Cosa dicono gli scienziati?
Quale è l’impatto sull’ambiente marino e sulle sue risorse? A questa domanda stanno cercando di dare una risposta scienziati russi e norvegesi con una spedizione congiunta partita nel mese di luglio 2019 da Tromsoe, nel nord della Norvegia, per effettuare una valutazione dell’impatto ambientale intorno al sito del relitto.

AEgir 6000
La nave da ricerca norvegese G.O. Sars sta operando sul relitto ed ha inviato l’AEgir 6000, un mezzo subacqueo filoguidato (remotely operated vehicle, ROV), per analizzare le strutture del sottomarino, effettuare misurazioni chimico-fisiche e catturarne nuove immagini e filmati.
L’Istituto norvegese di ricerca marina ha registrato alti livelli di radiazioni provenienti dall’interno del relitto. Nulla di nuovo quindi. Gli scienziati stanno cercando ora di comprenderne l’impatto sull’ambiente circostante, considerando che da trenta anni radiazioni di Cesio 137 (ma non solo) sono emesse in quel sito nel Mare di Norvegia.

un braccio meccanico esegue le misurazioni di radioattività in uno dei condotti del sottomarino (/Ægir 6000)
Dalle prime misurazioni, si è riscontrato che in alcuni punti, l’acqua circostante il relitto ha valori di radioattività centinaia di migliaia di volte più alti del normale. Fatto non sorprendente in quanto nel relitto sono ancora presenti due reattori nucleari e due testate nucleari.
“Numerosi campioni prelevati all’interno e intorno a un condotto di ventilazione sul relitto del sottomarino contenevano livelli molto più elevati di cesio radioattivo di quelli che normalmente si trovano nel Mare di Norvegia“, ha affermato un portavoce dell’Istituto. “Abbiamo prelevato campioni di acqua dall’interno di questo condotto particolare perché i russi avevano documentato perdite qui negli anni ’90 e più recentemente nel 2007“, ha detto il capo della spedizione Hilde Elise Heldal. La buona notizia è che, secondo la stessa ricercatrice, non vi è motivo di preoccupazione per i livelli di radiazione misurati.
Va considerato che dopo l’incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986, le autorità norvegesi hanno fissato questo limite di tolleranza a 600 Bq/kg, un valore medio calcolato sulla contaminazione da Cesio-137 raggiunta all’epoca in alcune Nazioni (in Germania raggiunse valori da 2000 a 4000 Bq/m²).
il Becquerel è l’unità di misura del Sistema internazionale dell’attività di un radionuclide (spesso chiamata in modo non corretto radioattività), definita come l’attività di un radionuclide che ha un decadimento al secondo. |
da non confondere con il Sievert (simbolo Sv), unità di misura della dose equivalente di radiazione nel Sistema Internazionale SI ed è una misura degli effetti e del danno provocato dalla radiazione su un organismo. |
C’è da preoccuparsi?
Gli scienziati sembra non considerino la situazione locale allarmante in quanto non sono stati riscontrati impatti significativi sul pescato e sui frutti di mare norvegesi. In generale, i livelli di Cesio nel Mare di Norvegia sono molto bassi e, essendo il relitto molto profondo, l’inquinamento radioattivo sembrerebbe essere diluito. Anche l’Autorità norvegese di radiologia e sicurezza nucleare (DSA) ha comunicato di non aver trovato livelli significativi di Cesio nelle acque circostanti. Per cui il pericolo di essere contaminati dalla radioattività sempre secondo le autorità norvegesi è circoscritto negli abissi a 5000 piedi di profondità.
C’è da domandarsi se vengono effettuati controlli sui pesci (merluzzi) pescati in quella zona di mare, una risorsa importante se non strategica per l’economia della Norvegia. Senza voler fare degli allarmismi, ricordo che il Cesio 137, un isotopo del Cesio, venne rilasciato nell’ambiente all’epoca delle esplosioni nucleari in atmosfera e da alcuni incidenti nucleari, specialmente nei disastri di Cernobyl e di Fukushima. Ha una emivita di circa 70 giorni ed è uno dei radioisotopi che pone maggiore rischio per la salute. Un controllo sul pescato dovrebbe essere effettuato periodicamente e reso noto visto che gli ottimi merluzzi norvegesi sono esportati in tutto il mondo.
Fonti
– Morskoy Sbornik “The Tragedy of a Ship and the Honor of Her Crew,” di V. Krapivin, No. 4, 1994, pp. 44-56
– Wikipedia
– Sunken Russian submarine has been leaking huge amounts of radiation into the ocean for thirty years off Norway – leaving the water 800,000 times more radioactive than normal Dailymail.co.uk
– Center for the study of intelligence/csi-publications
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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