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livello elementare
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ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA
PERIODO: XVI-XIX SECOLO
AREA: CARAIBI
parole chiave: relitti, Yucatan, Messico
Il mare nasconde ma non ruba, anzi restituisce nel tempo testimonianze delle sue frequentazioni. Questa è la missione degli archeologi dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) messicano, diretto da Helena Barba Meinecke, che da oltre 15 anni stanno esplorando l’insidiosa barriera corallina di Alacranes.
Il reef si estende per circa 17 miglia con una larghezza di 13 miglia. La barriera si trova nei pressi di un piccolo arcipelago di cinque isole, l’isla Perez, abitata solo dal guardiano del faro, da un piccolo plotone della marina messicana e da gruppi di scienziati e pescatori, ed altre quattro disabitate, denominate Pajaros, Blanca o Chica, Muertos o Desertora e Desterrada poste all’estremità settentrionale della barriera corallina. Nei secoli, lungo la barriera, vi naufragarono decine di navi nonostante la pericolosità dei quel braccio di mare fosse nota sin dal XVI secolo e riportata nelle cronache di Gonzalo Fernandez di Oviedo, storico e naturalista spagnolo, il cui prestigio fu tanto notevole da essere nominato “Cronista oficial de las Indias” nel 1532 dal re Carlo V.
Una fascia di mare che possiamo definire uno scrigno di storia dove l’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) messicano guidato dall’archeologa Helena Barba Meinecke conduce da anni ricerche subacquee, basandosi non solo sulle fonti storiche ma anche sulle conoscenze dei pescatori locali.
Nel giugno del 2013, dopo aver seguito diversi indizi subacquei, INAH scoprì i resti di una nave britannica del XIX secolo, la HMS Forth, uno dei battelli della linea Antilles della “Royal Mail Steam Packet Company“. Era la sera del 14 gennaio 1849 e il vapore era in rotta verso le Bermuda.
Per motivi sconosciuti, la nave urtò la barriera ed affondò spezzandosi a metà. Secondo i giornali dell’epoca, i naufraghi riuscirono comunque a raggiungere una piccola isola dell’arcipelago, a circa due miglia dal luogo del naufragio e, pochi giorni dopo, furono salvati dal battello a vapore Dee e trasportati in salvo al porto di La Habana, a Cuba. Seguendo questi seppur vaghi riferimenti storici, gli archeologi condussero delle eseguì ricerche sullo Scorpion reef e, ad una profondità di 18 metri, scoprirono diversi artefatti metallici. Sebbene ormai degradati e corrosi, furono identificati elementi delle caldaie, della sala macchine, assi, eliche e le ancore.
Di particolare interesse i resti del dritto di poppa, un elemento strutturale verticale posto a poppa di una nave e collegato inferiormente alla chiglia, che sostiene l’asse del timone e lo specchio di poppa. Dalle sue dimensioni fu possibile calcolare che il relitto doveva avere un dislocamento di circa 1.900 tonnellate. Dalle fonti risultò che nell’area vi erano stati altri naufragi: quello dell’HMS Tweed della Royal Mail Steam Packet Company, affondata nel 1847 e della nave belga Charlotte che affondò sei anni dopo, nel 1853, circa a 80 miglia a nord del porto di Progreso. Bisognava quindi continuare le ricerche.
Lo Scorpion reef (Arrecife Alacranes) fu sempre considerato una zona pericolosa per la navigazione dove erano avvenuti numerosi naufragi già dal XVI secolo, provocati dalle barriere coralline, dai banchi di sabbia e dai piccoli scogli che emergono dal fondo del mare. A seguito del ripetersi di questi incidenti la nota compagnia assicurativa britannica Lloyd’s aveva anche finanziato la costruzione di un piccolo faro che per decenni guidò i marinai dall’isola Perez verso il largo.
Questo piccolo faro, andato perduto dopo una tempesta tropicale, è stato finalmente ritrovato grazie alla testimonianza di alcuni vecchi pescatori. Di certo un ritrovamento importante che può aiutare a dedurre i corridoi di transito dei mercantili in quella fascia di mare. Durante la ricerca sistematica sulla barriera è stato scoperto anche il relitto di un vascello da guerra olandese del XVIII secolo che, per l’abbondanza dei pezzi di artiglieria ritrovati è stata soprannominato la nave dei “cannoni del Madagascar“.
Il naufragio di questa nave, oggi scoperta sotto uno strato di corallo spesso 15 centimetri circa 40 chilometri a nord-ovest di Sisal, era citato in una lettera scritta da Antonio de Cortaire, governatore dello Yucatán nel 1722. Il governatore, dopo aver appreso che due navi erano affondate nel febbraio di quell’anno, aveva scritto che i naufragi erano stati dovuti ai “venti del nord”. Gli archeologi hanno ritrovato quattro cannoni (da cui il nome del relitto), buttati in mare dopo che la nave si era arenata sulla barriera, forse nel disperato tentativo di alleggerirsi per disincagliarsi da quella morsa mortale.
“Abbiamo registrato in disegno, fotografia e video un totale di 12 cannoni di ferro le cui dimensioni, 2,5 metri di lunghezza per quasi mezzo metro di diametro, hanno una somiglianza con l’artiglieria imbarcata sulle fregate di guerra olandesi che navigavano le Indie Occidentali nel XVIII secolo “, ha detto Barba Meinecke.
A circa 20 metri di profondità a sud-est di questi cannoni, gli archeologi hanno trovato altri otto cannoni e otto palle di cannone, oltre a numerosi frammenti di ceramica. Vista la grande densità di relitti nell’area non è ancora chiara la loro identità. Gli archeologi dell’INAH stanno ora esaminando i contenuti della nave nel tentativo di risolvere questo puzzle, un vero ago nel pagliaio.
Ma non è finita: nei suoi pressi sono stati ritrovati altri resti attribuiti ad un battello a vapore inglese, simile a quelli in servizio lungo il Mississippi. Al suo interno, numerosi oggetti della vita di tutti i giorni, manufatti particolarmente importanti perché parlano della vita quotidiana di bordo durante il diciannovesimo secolo.
Il lavoro sul campo è in corso da quasi 15 anni, e queste nuove scoperte sono solo un assaggio di quanto quella piccola area dei Caraibi contiene.
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