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1965, Il drammatico e misterioso affondamento del minisommergibile “Squalo Tigre” nelle acque del Lago Maggiore

tempo di lettura: 9 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA DELLA SUBACQUEA
PERIODO: XX SECOLO
AREA: LAGO DI LOCARNO
parole chiave: sperimentazioni, mini sommergibili, Saturnia

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Durante gli anni ’60 del secolo scorso, quando gli occhi delle persone era rivolti perlopiù in alto verso le missioni spaziali condotte in quegli anni, parallelamente e con un crescendo incredibile, altri scienziati e tecnici rivolsero le loro attenzioni al mondo subacqueo, verso il cosìdetto “hydrospace“. Le difficoltà che all’epoca si presentavano a tecnici e batinauti non erano minori delle difficoltà che dovettero affrontare i tecnici delle missioni spaziali. Tuttavia le incredibili risorse economiche e materie prime che si celavano sul fondo dei mari spinsero numerosi governi, primi fra tutti Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Giappone, a stanziare somme ingentissime per le ricerche subacquee e la realizzazione di mezzi adatti alla ricerca sottomarina..

Numerosi tecnici lavorarono attorno a progetti di veicoli subacquei di dimensioni “ridotte” ma le cui capacità di impiego risultò assai versatile per le attività di ricerca scientifica e l’esplorazione subacquea. Ecco i nomi di alcuni dei principali mezzi dell’epoca: Two Man Submarine (equipaggio 2 uomini, 30 metri di profondità), American Submarine (2 uomini, 200 metri), Bentos V, Star II, Beaver, Perry Cubmarine (2 uomini, 200 metri), Soucoupe (francese, 2 uomini, 300 metri), Yomuri (giapponese, 6 uomini, 300 metri) e Deep Jeep (due uomini, 600 metri). 

Lo Squalo Tigre

Anche in Germania venne progettato e costruito un mini sommergibile che fu denominato “Squalo Tigre“, benché i suoi compiti fossero assolutamente pacifici. Tecnicamente era definito tipo “chiuso” in quanto i piloti erano completamente isolati dall’ambiente esterno. Venne costruito dalla “Saturnia” di Dusseldorf e realizzato per operazioni di carattere scientifico-esplorativo ed occasionalmente per attività di tipo turistico. La massima profondità operativa dello “Squalo Tigre” era di 40 metri, la lunghezza f.t. 5,40 mt., la larghezza 0,91 e l’altezza 1,35 mt., pesava 1550 Kg ed aveva lo scafo in fiberglass con uno spessore di 3 cm.

Nella fase progettuale i tecnici avevano tenuto conto dell’idrodinamicità del mezzo non solo per evitare l’eccessiva resistenza all’avanzamento ma anche per consentire le più precise manovre in spazi ristretti e garantire la facilità del movimento in ogni direzione. Lo “Squalo Tigre” disponeva di un motore elettrico della potenza di 2 hp alimentato da 4 batterie “a liquido immobilizzato”. La potenza ridotta non era casuale, infatti la velocità del minisommergibile, proporzionale alla potenza del motore, rappresenta un fattore di sicurezza quando si naviga “a vista”. Se il mezzo subacqueo avanzasse a forte velocità correrebbe il grave rischio di urtare contro ostacoli improvvisi, quali pareti di roccia o relitti, perché questi mezzi, a differenza dei grandi sommergibili, si muovono in prossimità della costa e vicini al fondale.

La sicurezza fu il principale requisito considerato nella costruzione dello “Squalo Tigre”: sicurezza contro eventuali infiltrazioni d’acqua, contro eventuali cedimenti dovuti alla pressione esterna, sicurezza di rapida emersione garantita da diversi dispositivi di emergenza differenti e indipendenti tra loro, di cui almeno uno automatico, che potevano alleggerire il minisommergibile garantendogli una adeguata spinta verso la superficie. Lo “Squalo Tigre” disponeva di cinque bombole di aria compressa da 27 litri complessivi caricate a 200 atmosfere per un totale di 5400 litri d’aria e inoltre era dotato di un impianto di respirazione “a circuito chiuso” composto da due bombole di ossigeno con appositi filtri di calce sodata necessari alla rigenerazione dell’aria espirata dai piloti. Il sistema garantiva una autonomia di circa sei ore.

L’immersione di prova e la tragica scomparsa 
A Locarno, località svizzera del Lago Maggiore, verso mezzogiorno di un soleggiato sabato mattina 16 gennaio 1965 due uomini, l’ideatore e progettista del mezzo ingegnere Edoardo De Paoli e l’operatore della televisione svizzera Franco Viganò, si apprestavano ad effettuare l’immersione di prova con il minisommergibile “Squalo Tigre”. Qualche tempo prima dell’immersione erano stati effettuati dei collaudi nella vasca di prova per verificare il perfetto funzionamento del mezzo.

Franco Viganò, operatore TSI, nello squalo tigre (Archivi RSI) che scomparve nel tragico evento

L’immersione di quel 16 gennaio aveva anche uno scopo documentale e l’operatore della TSI Franco Viganò avrebbe dovuto filmare le varie fasi dell’immersione la cui durata; secondo il programma non doveva durare più di mezz’ora. Il minisommergibile avrebbe dovuto seguire una semplice rotta in linea retta per incontrarsi alla profondità di cinque metri, a metà percorso, con un gruppo di operatori subacquei. L’idea era un immersione contemporanea al mezzo subacqueo, da una base galleggiante opposta al punto di partenza dello “Squalo Tigre“, per fungere da soggetti per le riprese televisive. Tutto era stato previsto nei dettagli.
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L’immersione non andò come previsto
Forse a causa di un problema tecnico o forse per un contratempo che disorientò il pilota, lo squalo proseguì lungo la sua rotta oltre il punto di arrivo previsto e si posò sul fondo del lago, in assetto di navigazione  e ad una profondità di 30 metri, come verrà constatato in seguito al momento del suo ritrovamento. 

iniziano le operazioni di ricerca

I subacquei di soccorso presenti nella circostanza si resero conto di quanto stava accadendo e si immersero immediatamente per tentare di localizzare il minisommergibile e trarre in salvo i piloti, ma purtroppo invano. Le ricerche durarono anche nelle ore e nei giorni successivi la scomparsa mentre il dramma cominciava ad evidenziarsi in tutta la sua ampiezza e drammaticità, il lago sembrava essersi richiuso come una terribile tomba sul sommergibile ed i suoi piloti.  Alle ricerche partecipò anche un sommergibile “gemello” che venne impegnato fino alla massima profondità consentita dal mezzo, anche in questo caso l’esplorazione non approdò a nulla..

Le operazioni di ricerca
A Locarno venne costituito un Comitato per le ricerche dello “Squalo Tigre” allo scopo di dare “maggior impulso” alle ricerche e per sciogliere quello che sembrava essere diventato un vero e proprio giallo circa le cause dell’affondamento. Venne anche lanciata una sottoscrizione pubblica per disporre dei fondi necessari all’attuazione di un piano di ricerche organico. Le Autorità elvetiche erano ormai “impotenti” dopo che i dragaggi e i numerosi tentativi dei subacquei non avevano dato alcun esito. Inoltre, i parenti delle vittime insistevano, com’era umanamente comprensibile, per riavere i corpi dei loro congiunti e per sapere la verità sul tragico incidente.

Il Comune di Locarno e il Comitato per le ricerche chiesero alle Autorità italiane di affidare le ricerche al Centro Subacquei dell’Arma dei Carabinieri. All’epoca il Centro Carabinieri Subacquei, la cui specialità era stata istituita nel 1953, era comandato dal maggiore Valerio Moratti. Il Comando Legione Carabinieri di Genova, nella persona del colonnello Giuseppe Vallosio e il Comando del Centro Subacquei, ricevuto il necessario nulla osta ad intervenire da parte delle Autorità Ministeriali, inviarono due tra i migliori operatori subacquei dell’Arma: il brigadiere Paolo Cozzolino e il carabiniere Luciano Bellarmino che, giunti a Locarno il 4 luglio e coadiuvati da Luigi Ferraro (M.O.V.M.) e da Duilio Marcante, incominciarono subito a impostare un paziente lavoro di ambientamento in acqua e ricostruzione degli ultimi momenti in cui lo “Squalo Tigre” era stato visto.
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carabinieri subacquei in addestramento

Vennero sentiti i principali testimoni della tragedia e grazie alle loro importanti dichiarazioni si poté inizialmente individuare una zona del lago da esplorare nella quale, con ragionevole certezza, si pensava potesse essere avvenuto l’affondamento. Si appurò quasi subito che le testimonianze raccolte contrastavano con le ipotesi “ufficiali” ritenute attendibili circa la zona nella quale si riteneva fosse accaduto l’incidente. Venne anche utilizzato un magnetometro per le ricerche, un apparecchio in grado di individuare su un certo raggio, per mezzo di un sistema di campi magnetici, gli oggetti ferrosi sul fondo del lago.

Non appena l’ago dello strumento segnalava una massa ferrosa, il punto veniva subito segnalato con un gavitello e i Carabinieri Subacquei si immergevano per verificare la natura dell’oggetto che, nella maggior parte dei casi, venne accertato trattarsi di bidoni in ferro, ruote d’auto e addirittura bombe d’aereo risalenti all’ultimo conflitto. In realtà l’aiuto offerto dal magnetometro fu modesto in quanto le ricerche vennero effettuate principalmente “a vista” se così può essere definita una ricerca subacquea condotta con visibilità non superiore ai 50 cm.

Nel pomeriggio del 18 luglio il magnetometro, dopo numerosi “falsi allarmi”, individuò un altro oggetto misterioso. I subacquei fissarono una boa nel punto individuato e considerata la poca luce disponibile nell’ormai tardo pomeriggio decisero di rinviare all’indomani l’immersione di controllo. Nelle prime ore del mattino successivo un terribile nubifragio si abbatté sul locarnese, le acque del lago impazzirono e la boa venne spostata dalla corrente di diversi metri.  Tornata la calma i Carabinieri Subacquei ripresero le ricerche. Siccome la boa si era notevolmente spostata dal punto originario si resero necessarie diverse immersioni di controllo nella direzione in cui il magnetometro aveva segnalato l’oggetto. I Carabinieri Subacquei lavorarono ad una profondità di circa 30-35 metri con una visibilità scarsissima, ulteriormente peggiorata dal nubifragio abbattutosi poche ore prima sulla zona.

Le prime ricerche (Archivi RSI)

Durante questa fase di ricerca, precisamente alle 11,04 di lunedì 19 luglio 1965, i Carabinieri Subacquei Paolo Cozzolino e Luciano Bellarmino localizzarono lo “Squalo Tigre”. Il minisommergibile si trovava a circa 250 metri dalla riva di Campofelice, a 30 metri di profondità ed a brevissima distanza dal punto in cui il mezzo si sarebbe dovuto incontrare con il gruppo di operatori subacquei. Lo “Squalo Tigre” giaceva in assetto di navigazione, posato su un fondale sabbioso, leggermente coperto di limo, non presentava alcuna ammaccatura e le due cupole in plexiglass erano perfettamente chiuse.

Il recupero
Subito dopo il ritrovamento un grido di gioia echeggiò nell’aria. Scossi dall’emozione e vinti dalla fatica i carabinieri Bellarmino e Cozzolino raggiunsero l’imbarcazione di appoggio e si lasciarono andare in pianto liberatorio, felici di poter annoverare il 179° ritrovamento della loro carriera. La notizia venne subito comunicata alle Autorità svizzere le quali stabilirono immediatamente alcune disposizioni relative al recupero:

–  nessuna immediata rimozione del relitto fino all’arrivo di un pontone gru da Arona;

– nessuna ricerca all’interno del minisommergibile in attesa degli ordini del Sostituto Procuratore che conduce le indagini Dr. Luciano Giudici;

– nessuna intromissione di terze persone nel corso della perizia tecnica condotta in un cantiere situato a Campofelice, località vicina al luogo dell’affondamento.

 

Le operazioni di recupero iniziarono all’alba del giorno successivo il ritrovamento. In un primo tempo si pensò di effettuare il recupero del minisommergibile agganciandolo ai due anelli posti sullo scafo ma in considerazione del fatto che il mezzo era rimasto diversi mesi sott’acqua si provvide a confezionare una sorta di rete metallica per avvolgerlo e facilitarne il recupero. Il pontone gru venne posizionato sulla verticale del relitto che fu poi imbracato dai Carabinieri Subacquei e lentamente sollevato verso la superficie. Improvvisamente una delle due cupole in plexiglas che chiudevano lo “Squalo Tigre” si ruppe e il sommergibile cominciò ad oscillare a causa dell’acqua che si riversava all’interno. Il brigadiere Cozzolino si avvicinò per verificare la tenuta dei cavi ma fortunatamente la solida imbracatura resistette all’improvvisa ed imprevista sollecitazione. Finalmente dopo lunghi minuti il sommergibile giunse in superficie. Quando apparve lo scafo si intravidero al suo interno i corpi delle due vittime, ancora sedute al posto di guida, vi fu un attimo di commozione tra i presenti. Subito dopo un grosso telo coprì lo “Squalo Tigre” che venne sistemato nel cantiere a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.

Conclusioni
La perizia tecnica effettuata sul minisommergibile fu lunga, minuziosa e complessa ma non venne accertato alcun elemento significativo che potesse comprovare un guasto del mezzo. Anche l’ipotesi del malore del pilota venne scartata in quanto, a seguito dell’esame necroscopico, venne accertato che i due sfortunati piloti non solo tentarono disperatamente di aprire le cupole del sommergibile, come accertato dalle ferite riscontrate sulle loro mani, ma ebbero anche il tempo di togliersi gli indumenti per essere più liberi al momento dello sperato salvataggio.  Le perizie condotte non determinarono con certezza la causa dell’incidente e il mistero dello “Squalo Tigre” probabilmente non verrà mai chiarito. Anche se l’indagine successiva al recupero dello “Squalo Tigre” non ha chiarito i dubbi e non ha svelato le cause dell’affondamento l’operazione di ricerca condotta dai Carabinieri Subacquei è da considerarsi una delle migliori missioni di polizia giudiziaria subacquea che siano mai state effettuate.

La capacità operativa e il valore degli operatori unite alla capacità dimostrata nell’analisi e nella valutazione dei dati disponibili, l’abilità dimostrata nel seguire le indicazioni maggiormente logiche, determinarono il successo di una delle più prestigiose operazioni di ricerca condotte dai Subacquei dell’Arma dei Carabinieri. Era il 1965. 

 

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