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livello elementare
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ARGOMENTO: NAUTICA
PERIODO: DALLE ROMANE AL XIX SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: ancore, ammiragliato
Terminologia nautica
Prima di continuare a raccontare la storia del design delle ancore, voglio ricordare alcuni termini nautici necessari per comprendere la loro struttura. La parte centrale dell’ancora è chiamata fuso o fusto. Le sue estremità sono chiamate diamante (inferiore) e quadrato (o quadro) quella superiore. Nel quadrato è presente un foro, detto occhio della cicala, dove si inserisce la cicala o maniglione necessario per collegare la cima o la catena di ormeggio.
Al di sotto della cicala troviamo il ceppo posizionato perpendicolarmente al fusto composto da due bracci. Nell’estremità inferiore, collegato al diamante, abbiamo le due marre poste spesso perpendicolarmente rispetto al ceppo. Alle estremità di esse abbiamo l’unghia o dente. In alcuni casi si ritrova un’aletta di forma triangolare che prende il nome di orecchio o patta.
Dalle ancore romane al XIX secolo
Eravamo rimasti, nel precedente articolo, all’epoca romana ed allo sviluppo di nuove forme di ancore, sempre più adatte ai nuovi mari ed esigenze delle flotte mercantili e militari.
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, l’Impero Romano d’Oriente continuò a fare affidamento sulla sua potente flotta per la sua sopravvivenza. Di fatto, gran parte dell’Europa occidentale fu saccheggiata dalle flotte dei popoli del Nord che minacciavano città, castelli ed i monasteri senza aver alcun freno. Il controllo delle rotte rimase in mano alle compagnie commerciali ed alle flotte delle varie Repubbliche marinare. Con la conquista islamica di Bisanzio, nel 1453, l’Occidente, in cui erano nati regni sovrani che basavano la loro ricchezza sul mare, incominciò a ricercare ed esplorare nuove rotte marittime per accedere ai mercati orientali. Un anno fondamentale fu il 1492, quando Cristoforo Colombo scoprì il nuovo mondo ed incominciarono le esplorazioni verso quelle terre ignote, in seguito chiamate le Americhe. Durante questo periodo esaltante di nuove scoperte geografiche, la progettazione delle ancore fu ottimizzata, costruendo modelli sempre più grandi.
La Spagna, grazie alle scoperte di Cristoforo Colombo, divenne una potenza marittima dominante nell’era dell’esplorazione. Le sue flotte portarono i conquistadores in Messico e ne centro sud america alla ricerca famelica di oro, argento e smeraldi. Molte navi, pesantemente caricate, incapparono in tempeste e nulla servirono le loro ancore per mantenere in sicurezza i loro ancoraggi. La scarsa efficienza dei sistemi di ancoraggio e la loro difficoltà a salparli causò indirettamente anche la perdita di molti galeoni della Grande y Felicisima Armada spagnola, che attaccò l’Inghilterra nel 1588. Quando la flotta arrivò nel Canale della Manica, l’attacco di piccoli vascelli inglesi e l’avvistamento di imbarcazioni in fiamme scatenò il panico tra gli Spagnoli che non riuscirono a salpare le loro ancore in tempo per prepararsi al combattimento. Con il sopraggiungere di una tempesta, le ancore non riuscirono nemmeno a mantenere in sicurezza i galeoni sottoposti ai forti venti e, spezzatesi le cime di ancoraggio, molti finirono in secca.
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Le dure lezioni apprese furono messe a frutto e la qualità delle cime di ancoraggio e dell’ingranaggio terminale che fissava la catena furono notevolmente migliorate. Le navi crebbero di dimensioni e furono impiegate cime più pesanti e più robuste per evitare la possibilità che le fibre si usurassero e si spezzassero sotto stress. Anelli di ferro e catene corredati di scarica volte furono migliorati per ridurre la torsione e lo sfregamento delle cime di ancoraggio. Nella metà del XIX secolo si notò un crescente uso di ancore che potevano essere rizzate più facilmente sul lato della nave.
Dall’ancora Ammiragliato ai giorni nostri
Le ancore di oggi differiscono molto dalle loro progenitrici e devono un tributo particolare ad un ancora che ha origini molto più antiche: la Ammiragliato, detta anche “del pescatore”. La sua forma ricorda molto quella romana che fu ritrovata nel lago di Nemi ma ne differisce dalla possibilità di sfilare il ceppo, non più di sezione rettangolare ma circolare. Un’altra importante innovazione, rispetto a quelle dl XVII secolo, consisteva nella presenza sul ceppo di un’estremità piegata ad angolo retto, detta croce, che era realizzata al fine di poterlo disporre parallelamente al fusto quando era in condizioni di riposo. Bisogna considerare che fino agli inizi del XIX secolo le ancore erano di fabbricazione imperfetta non essendo ancora disponibili dei sistemi efficienti per effettuare delle buone saldature. Tra le più famose le ancore Hawkins. Questo tipo di ancora (1822) aveva marre di sezione circolare con una forma a U poco profonda. Le marre terminavano in unghie affusolate con palme piatte di forma triangolare.
La sezione centrale delle braccia aveva due alette rettangolari curve ad angolo retto che agivano come meccanismo per limitare il loro movimento di 90 gradi. Possedeva un anello circolare sciolto con un singolo collegamento attaccato che poteva scorrere lungo il fuso, mentre nell’estremità quadrata del gambo, nella parte superiore, era collocato un anello girevole (scaricavolte) tenuto in posizione da un perno. Nello stesso secolo, precisamente nel 1813, un impiegato di Plymouth Yard, chiamato Pering, aveva introdotto un nuovo design anch’esso con marre curve. Tutto derivò dalla necessità dell‘Ammiragliato britannico di sviluppare nuovi modelli di ancore con una forza di tenuta maggiore. Dopo la Great Exibition del 1851 fu creato un Comitato delle Ancore (1852), nominato dall’Ammiragliato britannico per esaminare le varie proposte.
Il Comitato determinò le qualità auspicabili per un ancoraggio ed assegnò ad ogni modello dei valori numerici.
La Anchor Admiralty Pattern (AP) fu approvata dalla Royal Navy e fornita in dotazione a tutte le navi di sua Maestà dopo il 1852. Ne furono ideati diversi modelli ma quella che ottenne il posto più alto fu quella di Trotman, caratterizzata da un ceppo con marre snodate. La sua particolarità era nel fatto che la mobilità avveniva su un piano trasversale, spostato di 90 gradi rispetto al piano delle marre ed i fusti delle altre ancore. Il suo fuso aveva sezione rettangolare, un pò più grande al centro delle estremità.
Le marre, in un unico pezzo, erano collegate al fuso da un perno passante attraverso il loro centro, impedendo che il cavo di ormeggio si impigliasse. Le unghie, rivolte verso l’alto, erano appiattite, di forma triangolare e comprendevano una flangia piatta montata ad angolo retto sull’estremità più ampia. Un vantaggio non trascurabile era che l’ancora poteva essere stivata comodamente a bordo della nave tramite una gruetta.
Un’altra ancora di successo fu quella di Rodger che segnò una grande deviazione dalla forma delle ancore precedenti. Le braccia erano formate in un unico pezzo e fissate sulla corona da un bullone che passava attraverso lo stinco biforcuto. Le unghie delle marre erano appuntite. Quest’ancora, che ricorda il tatuaggio di Popeye, ebbe un’eccellente reputazione tra gli uomini di mare di quel periodo. Di fatto, il Comitato britannico sulle Ancore la reputò qualitativamente seconda solo all’ancora di Trotman. L’aggiunta di un cardine fu una grande innovazione in quanto di fatto rese le ancore capaci di ancorarsi sul fondo in maniera differenziata. Queste ancore divennero in breve la dotazione standard di molte navi mercantili e militari britanniche. Con lo sviluppo tecnologico si fu in grado di realizzare ancore in metallo forgiato e non fuso.
Per facilitare chi volesse approfondire alcune delle caratteristiche delle ancore dell’epoca, purtroppo trovabili solo su testi anglosassoni, voglio richiamare le terminologie in lingua inglese dei vari elementi, non sempre immediatamente comprensibili. Dal disegno potete vedere come la cicala viene chiamata Ring o shackle, il fuso shank, le marre arms, la corona crown, la patta fluke o palm e via di seguito. |
Tra di essi voglio ricordare l’ancora Martin-Adelphi, che fu realizzata per prima in ferro forgiato nel 1894.
Nella Martin-Adelphi il fuso venne spostato indietro rispetto alle marre ottenendo spazio per imbullonare le superfici delle unghie (flukes), rendendole libere di oscillare avanti e indietro. In altre parole, la sporgenza nella corona funzionava come una nicchia fissata da un perno in acciaio forgiato che passava attraverso la corona e il tallone del fuso. Se cadendo sul fondo l’ancora avesse poggiato su una marra o sul fuso, una volta messa in forza la cima di ormeggio (o la catena), sarebbe intervenuto un blocco per portare le marre con un angolo verso il basso rispetto al fondale.
Questo tipo di ancore, definite stockless, furono ampiamente utilizzate nella marina mercantile britannica e in molte altre marine. I loro vantaggi furono la praticità di uso unita ad un risparmio di tempo e lavoro nelle manovre di recupero, l’assenza di gruette e altri attrezzature, con conseguente riduzione del peso totale.
Ancore Hall
Tra le ancore pesanti più longeve e conosciute vi sono le ancore Hall, dotate di fuso e marre piuttosto tozze e molto massicce. La loro compattezza e le marre mobili le resero più facilmente stivabili a bordo delle navi.
L’ancora Hall viene tutt’oggi utilizzata come ancora primaria su molte navi mercantili e militari. Grazie alle sue forme arrotondate ne esistono modelli impiegati per le navi da diporto ovviamente con dimensioni più contenute. I modelli per il diporto sono realizzati in acciaio zincato a fuoco e sono tra le ancore più economiche oltre che versatili. Per poter aumentare la loro efficacia hanno bisogno di molta catena che aggiungerà peso e farà sì che la trazione avvenga ad un angolo corretto. Nonostante le ancore Hall possano essere utilizzate sulla maggior parte dei fondali, tendono ad essere più performanti su fondali fangosi e sabbiosi, mentre incontrano delle difficoltà su fondali nei quali sono presenti alghe oppure sedimenti duri.
Vedremo nel prossimo articolo le ancore del XX secolo … ma non solo.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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