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livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANI
parole chiave: pirateria
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Nell’articolo precedente abbiamo descritto alcune delle cause che comportano fenomeni di instabilità politica e le loro conseguenze sull’ambiente marittimo. Tra le attività illegali in mare, la pirateria è fiorita in aree caratterizzate da mancanza di controllo da parte dello stato, perpetuandosi con azioni non solo contro navi di piccolo tonnellaggio ma estese a petroliere e gasiere, facilmente catturabili da piccoli nuclei armati. Il riscatto degli equipaggi e delle navi ha consentito grandi guadagni ai pirati, sufficienti per far vivere per anni le loro famiglie e per sovvenzionare nuove attività illegali. L’area più colpita fu quella prospiciente le coste somale.
Ma chi sono i pirati?
Nelle regioni in cui si spezzettò la Somalia, dopo il suo crollo politico, si formarono gruppi criminali appartenenti ai signori della guerra, dediti a rapimenti a scopo di riscatto ed al traffico di esseri umani, armi e droga. Lungo la costa, i pescatori locali furono reclutati e sovvenzionati da parte di soggetti esterni non bene identificati con lo scopo di creare dei gruppi dediti alla pirateria. Questi pescatori furono armati con armi provenienti dal mercato nero, per lo più di costruzione sovietica. Fu così che degli umili pescatori divennero in breve tempo una minaccia reale e costante alla sicurezza della libera navigazione, con bottini di milioni di euro per nave.
Un pò troppo per dei semplici pescatori? L’Interpol fu in grado di identificare nel tempo i collegamenti dei clan di pirati con le organizzazioni criminali internazionali. In particolare, seguendo il flusso dei riscatti, scoprirono che solo una minima parte era distribuita al clan mentre il resto prendeva differenti strade, arrivando in paradisi fiscali. In alcuni casi il denaro era utilizzato per ottenere delle “patenti di immunità” da elementi corrotti delle istituzioni somale. Noto il caso di Mohamed Abdi Hassan “Afweyne” che, in cambio di una non ben quantificata somma di denaro, ricevette un passaporto diplomatico per ritirarsi tranquillamente a vita privata. Al di là di queste forme di corruzione interna, l’Interpol scoprì che una percentuale tra il 40 e il 60 percento del riscatto veniva riciclato all’estero, in particolare nel mercato immobiliare del Kenya e degli Emirati Arabi Uniti. Un grande business in ogni senso che fece ipotizzare che dietro queste attività criminali esisteva una regia che andava ben oltre i confini somali.
In uno stato fallito come la Somalia, la connivenza di autorità locali e clan criminali venne inizialmente giustificata con la grave crisi che il Paese stava subendo. I pirati erano considerati in Somaliland dei combattenti per la protezione del loro paese. Nel 2012, in una riunione della Shared Awareness and Deconfliction (SHADE) a Al Manama, Bahrein, fu riferito che secondo un sito web somalo, il “Wardher News“, il 70% della popolazione somala sosteneva la pirateria come forma di difesa delle acque territoriali del paese. Curiosamente, il termine somalo più vicino al significato di “pirata” è badeed burcad (cioè ladro del mare), ma i pirati somali preferiscono essere chiamati badaadinta Badah o “salvatori del mare“, sostenendo che le loro azioni hanno lo scopo di difendere la sovranità somala nelle proprie acque territoriali.
Ma come si arrivò a questa situazione?
Tutto ebbe inizio nel 1990 con il crollo del governo somalo, corrotto ed incapace di reagire alla carestia che attanagliava le province. La deriva totale delle istituzioni, assegnò gradualmente il controllo del paese ai clan locali dei “signori della guerra“.
Questa situazione divenne tragica in seguito al collasso delle economie locali; gli abitanti delle zone costiere, per lo più pescatori, affamati dall’overfishing da parte delle grandi compagnie di pesca internazionali, crearono dei gruppi irregolari di “guardie costiere” per contrastare i pescherecci. Il passo verso un’attività più redditizia, la pirateria, fu breve. I clan criminali arruolarono giovani senza speranza, promettendo grandi guadagni con pochi sacrifici. Tenendo conto del reddito medio somalo (meno di $ 30 al mese) un membro di un gruppo di pirati poteva così ottenere per ogni sequestro di mercantile una ricompensa in denaro sufficiente per più di un anno per tutta la famiglia.
Dopo il primo sequestro di una nave mercantile, la risposta internazionale fu immediata, anche se operativamente poco efficace. Diversi gruppi navali nazionali furono inviati a protezione del proprio traffico mercantile.
Le difficoltà operative nel coordinamento di gruppi navali militari di diversa nazionalità e, soprattutto, i loro costi di gestione portarono a ricercare accordi multilaterali per ottimizzarne l’impiego e ridurre le spese. Un passo importante fu la creazione di una partnership internazionale guidata dagli Stati Uniti, la CMF (Combined Maritime Forces) con sede a Al Manama, Bahrain, per promuovere la sicurezza, stabilità e prosperità nell’area dell’oceano indiano e nel golfo persico (arabico). Il CMF ebbe un successo immediato ed ancora coordina tre gruppi navali composti da due/tre navi militari) con compiti di polizia marittima e protezione del traffico internazionale. Oltre al contrasto della pirateria, essi combattono il traffico illecito in alto mare (contrabbando di armi, droga e esseri umani) con l’ausilio di aerei, droni e navi.
Un’interessante organizzazione multinazionale con connotazioni politico-militari, complessa ed innovativa nel suo genere, dove le forze aeronavali sono condivise per un fine comune senza avere di fatto una ratifica ufficiale. Dal 2012, il CMF controlla l’area marittima del golfo arabico e tra Bab al Mandeb, il Corno d’Africa, le Seychelles e lo Stretto di Hormuz. Il loro concorso unito a quello dei gruppi navali internazionali e nazionali hanno comportato una riduzione sensibile degli attacchi. Il concetto di impiego è quello della protezione dei convogli instradati in corridoi prestabiliti. Anche se il CMF si è dimostrato uno strumento efficace, esistono ancora molti problemi relativi a questioni legali. Le leggi internazionali differiscono in modo significativo tra i vari stati partecipanti e limitano sia l’impiego delle forze sia le successive azioni giudiziarie sui pirati. Ciò ha comportato la necessità di richiedere l’assistenza di paesi terzi come il Kenya e le Seychelles per poter processare i pirati quando catturati. Purtroppo i crimini in mare sono in costante aumento in Sud America, nelle acque dell’Indonesia e della Malesia, e nell’Africa occidentale. Le dimensioni delle aree marittime sono tali che un controllo puntuale è praticamente impossibile con mezzi tradizionali.

I crimini in mare avvengono in tutti i bacini del mondo. Questa foto mostra il sequestro da parte delle motovedette e degli elicotteri della Guardia di finanza al largo di Trapani di 12 tonnellate di hashish
Attività criminali in mare sono state riportate anche nel Mediterraneo, in particolare contro le imbarcazioni da diporto. Dal 2002, oltre mille imbarcazioni sono state rubate nel sud della Francia e in Corsica, compresi 32 yacht di lusso, catturati da gruppi criminali presumibilmente provenienti dall’Europa orientale.
Stabilizzazione delle aree marittime
La prosperità degli Stati non può esistere senza stabilità. Fenomeni come la pirateria e le attività illegali in mare (contrabbando, crimini in mare) non possono essere risolti singolarmente ma richiedono un intervento condiviso. Gli interventi possono essere di due tipi: sociali/economici e di polizia internazionale. Nel primo caso devono essere identificate aree in cui la scarsità di risorse di base, come cibo o acqua, devono essere assicurate con missioni scevre da interessi nazionali, al fine di evitare il proliferare di attività criminose.
Non sto parlando di semplice solidarietà ma di progetti politici coordinati ed armonizzati. Gli interventi devono consolidare i governi, ove esistenti, se necessario anche con l’uso della forza, con operazioni di Force Keeping. Per quanto costose, devono essere considerate un assicurazione per il nostro futuro. Un piano mondiale per stabilire condizioni accettabili di vita per i locali evitando che il loro disagio si trasformi in fenomeni criminali o in migrazioni incontrollabili.
Nel secondo caso, bisogna capire che non potremo mai risolvere il problema con l’invio di navi e mezzi. È un onere troppo costoso che produce effetti sociali di breve durata. Una soluzione potrebbe essere quella stabilire un controllo internazionale delle rotte marittime, potenziando i sistemi di tracking del traffico con satelliti dedicati. Un instradamento del traffico intelligente potrebbe fornire soluzioni concordate con corridoi stabiliti internazionalmente per controllare i convogli con un numero più limitato di risorse.
L’instradamento nelle acque internazionali prossime alla Somalia si è dimostrato vincente e potrebbe essere replicato in tutte le aree sensibili. Facile a dirsi ma difficile da realizzare a causa degli interessi commerciali delle compagnie di navigazione, restie a comunicare i propri movimenti ad altri (per motivi di concorrenza di mercato). Inoltre ci sono gli interessi internazionali che vedono le nuove superpotenze esercitare politiche aggressive al fine di assicurarsi il dominio delle rotte strategiche.

da LIMES
Il numero di risorse disponibili e spendibili è un fattore importante: le navi militari sono strumenti piuttosto costosi. A fronte delle elevate spese di esercizio (un pattugliatore di altura costa oltre 80000 euro al giorno) le aree geografiche pattugliate sono limitate. Le navi necessitano un continuo supporto logistico (per il rifornimento in mare e le manutenzioni) ed hanno una velocità di intervento bassa (velocità ed autonomia sono in antitesi). Si rende quindi necessario adottare mezzi di supporto innovativi che aumentino il range di intervento con bassi costi.
Alcuni moltiplicatori di forza interessanti sono gli AUV/UAS (veicoli autonomi senza pilota, noti anche come droni), che possono essere impiegati sia in ruolo tattico che strategico. Nel tempo i droni potrebbero sostituire i costosi aerei da pattugliamento marittimo e supportare la fase esecutiva di intervento delle forze speciali con immagini dettagliare degli obbiettivi. I sistemi autonomi senza equipaggio hanno costi inferiori, possono controllare vaste aree e richiedono requisiti logistici minori. Non ultimo possono lavorare in sciami e in collaborazione con altri mezzi autonomi di superficie. Un interessante sviluppo è il binomio satelliti e droni che in un prossimo futuro consentirà di ottenere una sinergia sempre maggiore.
Fantascienza?
Non proprio. Dal 18 dicembre 2019 è entrato in orbita il primo satellite della seconda generazione COSMOSKYMED, capace di restituire immagini SAR Scan di aree marittime con una definizione inferiore al metro. Questi nuovi satelliti integreranno l’attuale costellazione omonima, composta da quattro satelliti, con funzioni di monitoraggio della situazione marittima.
In sintesi, grazie al rapido sviluppo tecnologico di questi mezzi, impiegati anche nel campo civile, essi possono essere integrati nei sistemi di sorveglianza marittima, e fornire, grazie alla loro modularità, capacità di sorveglianza e scoperta a minor costo dei dispositivi tradizionali.
Conclusioni
In un mondo in rapida crescita demografica, l’oceano è ancora un attore importante per la sopravvivenza della nostra specie. La prosperità dei popoli, come sempre, dipende dalla sicurezza che sapremo mantenere lungo le rotte commerciali marittime.
A fronte di una crescente instabilità politica ed economica, fenomeni criminali come la pirateria, il contrabbando di droga ed armi e la tratta di esseri umani, aumenteranno nelle aree più depresse. Essi richiederanno il dislocamento, per lungo tempo ed in zone molto lontane, di forze navali con compiti di polizia dell’alto mare, con costi non gestibili da una singola nazione.
Sebbene la cooperazione navale internazionale sia conditio sine qua non per poter sostenere uno sforzo marittimo prolungato, essa non è sufficiente a fronte della vastità degli spazi marittimi. L’uso combinato di forze navali e sistemi di supporto tecnologico, come satelliti e droni, sarà necessario per ottimizzare il controllo delle rotte. Come sempre il mare sarà la chiave delle nostro futuro.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. E’ docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione scientifica.
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