La situazione in estremo Oriente e’ esplosiva. Il braccio di ferro tra Corea del Nord e Stati Uniti preoccupa tutta l’area. Il Segretario di Stato degli USA, Rex Tillerson, ha rivelato che negli ultimi colloqui bilaterali, la Cina, dopo un lungo ed ampio dibattito, ha concordato con l’amministrazione Trump che una azione congiunta debba essere presa per quanto riguarda la Corea del Nord. Questa posizione è stata dichiarata anche dal presidente Xi che ha concordato che la situazione di tensione si è intensificata e ha raggiunto un livello di minaccia che potrebbe richiedere un’azione sensata ed equilibrata ma non unilaterale. Sembrerebbe che i cinesi in relazione alla minaccia regionale rappresentata dai nuovi test missilistici della Corea del Nord e dalle loro ambizioni nucleari, nei colloqui di Miami abbiano asserito che non ci siano le condizioni di impegnarsi oggi in discussioni con il governo di Pyongyang. Questa affermazione politica, qualora confermata, non farebbe che sottolineare la necessità degli americani di cooperare insieme con i cinesi per cambiare l’orientamento pericoloso della Corea del Nord. Dai media USA appare che esista in questo momento una inaspettata visione condivisa sull’argomento e non vi sia alcun disaccordo sul fatto che la situazione sia diventata pericolosa e foriera di minaccia anche per gli interessi regionali della Cina.
La Corea del Nord continua ad essere una minaccia grazie al suo programma militare nucleare considerato dagli USA sconsiderato, irresponsabile e destabilizzante. Venerdì 7 aprile, la NBC aveva riportato che il Consiglio di Sicurezza Nazionale aveva incluso nel rapporto giornaliero un possibile ritorno delle armi nucleari in Corea del Sud per trattare con la Corea del Nord. Ma la polemica interna non è finita. Secondo molti democratici americani, tali movimenti potrebbero causare “un’escalation di tensione che potrebbe portare a una guerra nucleare”. La Casa Bianca ha riferito che il Presidente Trump ha telefonato al presidente della Corea del Sud, Hwang Kyo-Ahn.
Nello stesso tempo il premier nord coreano Kim Jong Un ha fortemente condannato l’attacco missilistico degli Stati Uniti in Siria definendolo “un atto intollerabile di aggressione” che “prova più di un milione di volte” quanto sia giusto che la Corea del nord continui il programma nucleare (fonti adnkronos).
C’è da domandarsi se l’attacco in Siria, lanciato dopo l’uso di armi chimiche da parte del regime di Assad, contenesse un messaggio chiaro anche per il governo nord coreano. In realtà Trump aveva recentemente minacciato azioni unilaterali contro Pyongyang se Pechino non fosse riuscita a contribuire a contenere il programma nucleare del suo alquanto scomodo vicino di casa. Il Nord Corea ha effettuato cinque test nucleari – di cui due l’anno scorso – e l’analisi delle immagini satellitari degli esperti suggerisce che potrebbe essere in preparazione per un sesto lancio. Inutile dire che lo sviluppo da parte della Corea del Nord di un missile intercontinentale con impiego di testate nucleari sarebbe certamente un problema per gli equilibri locali.
La capacità delle forze nord coreane
Prima di fare un punto sulla situazione attuale, vale la pena di ricordare un periodo sanguinoso del passato che tutti vorrebbero non si ripetesse: la guerra di Corea. Nel giugno del 1950, a seguito dell’invasione da parte nord coreana della Corea del Sud, superando il 38° parallelo, il Consiglio di sicurezza dell’ONU decretò che era avvenuto un atto di aggressione da parte della Corea del Nord contro la Corea del Sud. Un’aggressione senza avvertimento e provocazione, a seguito di un piano accuratamente preparato con gli alleati, più o meno occulti cinesi e russi. L’ONU stabilì un’azione militare contro gli aggressori invitando le Nazioni ad inviare contingenti militari nell’area per un’azione di polizia sotto l’egida delle Nazioni Unite. La Corea, a similitudine della Germania, al termine della Seconda Guerra Mondiale aveva subito una suddivisione geografica tra le forze armate dell’Unione Sovietica nel nord del paese e degli Stati Uniti al Sud. L’attacco comunista alla Corea del Sud parve all’opinione pubblica americana come un’ulteriore conferma della teoria dell’espansionismo dell’Unione Sovietica. Nonostante la Corea non rientrasse nell’area di sicurezza esterna degli Stati Uniti, un eventuale abbandono di una nazione considerata alleata fu considerato da Washington inaccettabile e si prospettò la possibilità di un intervento armato. La legittimazione internazionale all’intervento venne sancita da una Dichiarazione delle Nazioni Unite immediatamente dopo l’invasione nord coreana, ottenuta dal Consiglio di Sicurezza senza alcun veto da parte dell’URSS. Militarmente parlando l’attacco era stato pianificato con minuziosa precisione dai nord coreani, supportati dai consiglieri militari russi presenti sul territorio, tenendo conto della debolezza organica e strutturale dell’esercito del sud e della burocrazia della macchina militare americana. Ai primi del mese di agosto, il 90% del territorio sud coreano cadde in mano comunista e solo il grande porto di Pusan, con il suo entroterra, rimase sotto il controllo delle Nazioni Unite.
Rasentando una sconfitta senza precedenti, il Generale McArthur, confidando nella superiorità navale ed aerea garantita delle Forze americane, progettò di sbarcare i propri uomini ad Inchon e Wonsan, per tagliare in due le linee nord coreane e quindi procedere, con una manovra a tenaglia, per annientare le forze nemiche. Dopo il primo sbarco ad Inchon, avvenuto il 15 settembre 1950, fu rapidamente avviata la seconda fase che ne prevedeva un secondo a Wonsan, circa 80 miglia a nord del 38° parallelo. A seguito dell’informazione di un probabile minamento nordcoreano, furono assegnati alla Task Force dieci dragamine con il compito di bonificare le vie di accesso alla spiaggia in tempo utile per permettere il trasferimento delle truppe. Le navi si dimostrarono non adeguate qualitativamente e quantitativamente per operare in un simile scenario e l’imprevista impervietà dei campi minati con oltre 2000 mine di fabbricazione russa (risalenti alla Prima Guerra Mondiale) comportò un ritardo di otto giorni. Strategicamente fu un disastro perché permise la ritirata delle forze nord coreane facendo fallire il piano di accerchiamento del Generale.
L’Ammiraglio Allan E. Smith, Comandante della Forza anfibia a Wonsan, dichiarò che, nonostante la superiorità tecnologica delle forze americane, armi considerate primitive erano state in grado di bloccare le azioni di una moderna Task Force. Il Comandante delle Forze Navali dell’Estremo Oriente, l’ammiraglio Turner C. Joy, dichiarò che la maggiore lezione acquisita durante tale operazione era che la Guerra di Mine, considerata da molti una forma di lotta secondaria, si era rivelata determinante ed in futuro non doveva essere più rilegata ad un ruolo secondario. Ancora una volta, nella storia navale non era stata la qualità a fare la differenza.
Ho volute raccontare questa storia perché la storia spesso non ha memoria e la tecnologia, troppo spesso considerata la panacea di ogni problema, non sempre è vincente sulla quantità.
Una lesson learned che sicuramente l’ammiraglio Nora W. Tyson, la prima donna a comandare una squadra navale d’attacco operativa, ha certamente studiato precedentemente. Il gruppo navale della III flotta, con la portaerei a propulsione nucleare Carl Vinson, sta ora dirigendo verso i mari della penisola coreana, pronti ad intervenire militarmente nell’eventualità giungesse l’ordine dal “commander in chief”, il presidente Donald Trump, per una azione contro il governo di Pyongyang.
Ma quale minaccia la aspetta?
Nella Corea del Nord vige la dottrina del Songun (“Military-first-Policy”) che assegna un ruolo prioritario alle forze armate. È in quest’ottica che si spiega l’elevata spesa militare a fronte di una condizione economica del paese non rosea. Le forze della Difesa sono affidate all’Armata Popolare di Corea che si divide in cinque branche: esercito, marina, aeronautica, forze missilistiche strategiche e forze speciali. Le forze armate contano circa un milione di uomini in servizio attivo e circa 6 milioni tra riservisti (4.700.000) e paramilitari. Consistente è il numero degli uomini delle Forze Speciali (200.000 uomini) addestrati ad operazioni di infiltrazione e sabotaggio in territorio nemico. Secondo alcune fonti il Nord Corea è la nazione più militarizzata al mondo ed è la quinta potenza militare assoluta per disponibilità di uomini dopo gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, e l’India.
La coscrizione maschile è naturalmente obbligatoria e in genere ed ha inizio a 17 anni per una durata di circa dieci anni e prevede periodi di richiamo fino all’età di 60 anni. Anche le donne possono fare parte delle forze armate. Il Budget annuale della difesa sarebbe pari a 1,5 milioni di dollari, ma si stima che la cifra possa avvicinarsi più verosimilmente ai 5 milioni (circa il 25% del PIL). La Corea del Nord possiede una discreta dotazione militare, in cui spicca la potenza e l’ampiezza della sua artiglieria. A partire dagli anni Settanta, inoltre, Pyongyang ha cominciato a investire in modo significativo nell’acquisizione e nel perfezionamento di missili balistici e armi di distruzione di massa (chimiche, biologiche e nucleari). Ciò che impressiona è la quantità degli armamenti, anche se in gran parte risalente agli anni Sessanta. Ricordando l’esperienza di Wonsan è un fattore da non sottovalutare.
La scheda seguente descrive le capacità note delle forze Nord Coreane
Forze missilistiche
- Missili a corto raggio: Missili balistici Scud (gittata tra i 300 e i 500 km): possono raggiungere la Corea del Sud.
- Missili a medio raggio: Nodong (gittata tra i 1.300 km e i 3.000 km): possono raggiungere Tokyo e il Giappone.
- Missili a lungo raggio: Musudan o Taepo Dong (gittata oltre i 3.000 km) in grado di colpire l’isola di Guam, Alaska, Hawaii e alcune zone costiere degli Usa. Su questi missili sarebbe possibile montare testate nucleari.

Gittata massima dei missili nordcoreani e delle potenze regionali – Fonte: South Korea Ministry of National Defense
Armi chimiche
Argomento particolarmente sensibile in questo momento, si stima che i nord coreani siano in possesso di oltre 5.000 tonnellate di armi chimiche da impiegare probabilmente tramite artiglieria e missili. Nonostante i test finora avvenuti non hanno dimostrato l’effettiva minaccia dei missili nordcoreani, è difficile valutare il livello di precisione raggiunto da questi vettori e sul loro effettivo grado di pericolosità in quanto sembrerebbe che alcuni si sono disintegrati in volo o non siano stati in grado di raggiungere l’obiettivo stabilito. Qualora l’arsenale già esistente fosse tecnicamente sviluppato, fornendo una maggiore precisione, essi rappresenterebbero sicuramente una minaccia per la Corea del Sud, la Cina, il Giappone e anche per alcune basi statunitensi nel Pacifico.
Armi nucleari
Tecnicamente la Corea del Nord dispone di bombe atomiche. Di fatto, allo stato attuale a Pyongyang manca la capacità di montare un dispositivo atomico sulla testata di un missile. Il regime nord coreano ha annunciato di aver portato a termine con successo tre test nucleari (2006, 2009 e 2013) eseguiti sotto terra.
Secondo il rapporto ”Military Balance” 2011 dell’Istituto internazionale degli Studi Strategici di Londra (con qualche aggiornamento comunicato dai mass media recentemente) i rapporti di forza potrebbero essere i seguenti:
Corea del nord | Corea del sud | Stati Uniti | |
Forze terrestri | |||
Militari attivi | 1 milione 200 mila | 655 mila | 28 mila |
Riservisti | Circa 5 milioni | ||
Carri armati | 4000 | 2400 | 50 |
Mezzi corazzati | 2500 | 2600 | 110 |
Artiglieria da campo | 8500 | 5200 | 16 |
Lanciatori multipli | 5100 | 200 | 40 |
antiaerea | 11000 | 300 | Sistemi Thaad |
Forze aeree | |||
Aerei da combattimento | 820 | 460 | Forze americane ridislocabili |
elicotteri | 300 | 680 | 120 |
Forze navali | |||
Unità maggiori | 3 | 10 | * |
costiere | 380 | 111 | * |
sommergibili | 70 | 23 | * |
aliscafi | 135 | 5 | * |
Navi da sbarco | 130 | 41 | * |
* USA può contare sulle unità della flotta del Pacifico
Cosa potrebbe accadere?
In caso di escalation del conflitto le opzioni militari nord coreane potrebbero verosimilmente concretizzarsi in due tipologie di attacco:
Attacchi episodici contro le navi da guerra della Corea del Sud, giustificandole come risposte a provocazioni o sconfinamenti. L’ipotesi di attacchi diretti contro le forze americane è poco probabile e comunque con effetti trascurabili. Da non trascurare la possibilità di attacchi di sabotaggio con le forze speciali e l’uso delle mine navali. Un conflitto “regolare” non potrebbe essere condotto in quanto, anche impiegando su tre fronti gli oltre 4000 carri armati, 915 navi della marina e 1700 aeroplani, tali forze non potrebbero competere con le forze americane e sudcoreane.
Attacchi nucleari. Nonostante la bellicosa dichiarazione del portavoce dello Stato Maggiore militare della Corea del nord alla KCNA, l’agenzia di stampa nordcoreana, ovvero che Pyongyang risponderà alla “politica ostile americana” (a seguito dell’attacco in Siria) con mezzi nucleari “più piccoli, più leggeri e diversificati”, Gli Stati Uniti, controllando con i satelliti lo spazio aereo nordcoreano, rileverebbero i lanci in tempo utile e potrebbero intercettare i missili tramite i sistemi imbarcati sulle navi della Flotta nel Pacifico prima del loro rientro in atmosfera.
Tra l’altro il Terminal High Altitude Area Defense (Thaad), un moderno sistema antimissilistico in dotazione alle Forze armate americane, è stato dislocato sull’isola di Guam in Corea del Sud. In pratica una tale ipotesi sarebbe un suicidio per il regime di Pyongyang e certamente non tollerata da tutti i Paesi circostanti, Cina, Giappone e Russia compresi.
In sintesi, i Nord Coreani possono visibilmente contare su una quantità maggiore di uomini e mezzi ma la qualità tecnologica degli armamenti sud coreani e statunitensi è decisamente migliore, in particolare nelle tecnologie di comando e controllo (C4I). Le esperienze passate fanno però meditare. Sarebbe comunque un conflitto sanguinoso che potrebbe coinvolgere i Paesi vicini. Non sarebbe una passeggiata e non si può che sperare che il buon senso e la diplomazia abbiano la prevalenza.

ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.
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