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Motonave Valfiorita, un relitto ricco di storia

tempo di lettura: 8 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: relitto
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foto di GianMichele Iaria

In Sicilia, di fronte alla località Mortelle, frazione di Messina, giace il relitto della motonave italiana Valfiorita,  una testimonianza storica molto importante della Seconda Guerra Mondiale. Il relitto si trova ad una profondità di 55-70 metri e la sua visitazione non è cosa semplice anche a causa delle forti correnti dello stretto di Messina che ne limitano l’accesso in periodi limitati del giorno.

Raccontiamo oggi la sua storia e poi, virtualmente, scenderemo a visitarlo, avvalendoci del racconto di chi ha avuto il coraggio e la tenacia di sfidare gli abissi per visitarlo: Isabelle Mainetti

La Valfiorita in costruzione (g.c. Mauro Millefiorini)

Breve vita di un celebre relitto
La motonave fu impostata nel 1939 nei cantieri Franco Tosi di Taranto e fu varata il 5 luglio 1942. Eravamo in piena guerra per cui l’approvvigionamento di materiali ed attrezzature non era cosa facile. I metalli erano strategici e le priorità verso gli armamenti bellici erano maggiori. Di fatto la data del suo completamento, inizialmente prevista nel mese di luglio 1942 fu slittata, slittò al mese di agosto quando cominciarono le prime prove di macchina e di navigazione. Come tutte le motonavi di nuova costruzione, la Valfiorita venne requisita, specificatamente  17 settembre 1942, dalla Regia Marina, che però non la iscrisse  nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, per essere adibita al trasporto di rifornimenti per le truppe in Africa Settentrionale.

Allo scopo venne armata con un cannone da 120/45 mm e tre mitragliere contraeree Oerlikon da 20 mm, ed un imitato equipaggiamento e munizionamento. Fu dotata anche di un impianto nebbiogeno a cloridrina per ostacolare la localizzazione da parte di unità nemiche. Consideriamo che il radar non esisteva per cui l’occultamento nei fumi  era considerato ancora un’alternativa valida per poter sfuggire al fuoco nemico.

Era il  20 settembre 1942 quando la Valfiorita iniziò a caricare a Taranto rifornimenti per le forze italo-tedesche, che avrebbe dovuto trasportare a Bengasi nel suo primo viaggio. Vennero imbarcate in tutto 4171 tonnellate di carico, comprendente 77 veicoli e 206 motociclette italiane, 95 veicoli tedeschi (moto comprese), 16 cannoni e 14 autovetture. Il 3 ottobre, con i suoi 97 uomini di equipaggio (48 civili, tra cui 3 operai della Franco Tosi di Legnano, azienda produttrice dei motori, e 49 militari della Regia Marina), imbarcò anche 110 militari italiani del Reggimento Cavalleggeri di Lodi e 100 militari tedeschi. Sulla nave erano presenti due comandanti, il capitano di lungo corso Giovanni Salata (comandante civile) ed il capitano di corvetta Giuseppe Folli, comandante militare.

Regio cacciatorpediniere Antonio Pigafetta

La Valfiorita partì da Taranto alle 15.10 scortata dai cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (caposcorta), Camicia Nera e Saetta. Fino alla sera la navigazione procedette senza problemi, ma intorno a mezzanotte venne dato l’allarme aereo, e diversi bengala iniziarono ad accendersi attorno al convoglio. Gli attaccanti erano quattro Vickers Wellington del 69th Squadron della Royal Air Force, due dei quali carichi di bombe mentre gli altri due portavano dei siluri. Il convoglio era stato segnalato da un Supermarine Spitfire, aereo  da ricognizione a lunga autonomia, sulla base delle intercettazioni  delle informazioni fornite da “ULTRA”.

L’attacco fu fulmineo, e nonostante l’uso di un pallone frenato e di una fitta cortina fumogena, raggiunse il suo scopo. I bombardieri Wellington attaccarono a motore spento da 1370 metri di quota, ed una bomba da 1000 libbre cadde a meno di 140 metri a poppavia della Valfiorita. Uno degli aerosiluranti, volando a bassissima quota,  sganciò il suo siluro da 640 metri. Il siluro  colpì la Valfiorita nella stiva numero 5, a poppa, facendo levare una fiammata rossastra ed aprendo una grossa falla attraverso cui l’acqua allagò le stive 5 e 6. La reazione della contraerea riusci a danneggiarlo costringerlo in seguito ad un atterraggio d’emergenza a Luqa. Sul Valfiorita si scatenò il panico. A seguito del siluramento anche l’apparato fumogeno della nave rimase danneggiato ed il cloro venne disperso su ponte ferendo molti marinai. Nonostante gli effetti provocati dalla falla, causassero un rapido allagamento, esteso anche alla galleria dell’asse dell’elica, la motonave  Valfiorita, proseguì il suo moto raggiungendo il mattino del 4 ottobre Corfù. Al fine di effettuare le dovute riparazioni fu quindi fatta incagliare ad una ventina di metri dalla costa. Nel frattempo i  militari del Reggimento Cavalleggeri di Lodi vennero sbarcati e si accamparono presso il vicino villaggio di Potamòs, dove la popolazione soffriva di una gravissima carenza di cibo. Furono i militari italiani a condividere  le loro razioni per permettergli di sopravvivere.

La Valfiorita rimase a Corfù sino al 25 novembre, quando, ultimate delle riparazioni provvisorie, ripartì alla volta di Taranto, dove giunse l’indomani. La nave rimase poi nella rada di Taranto fino al 1° dicembre, quando fu immessa in bacino per lavori di riparazione più estesi, che si protrassero sino alla metà del 1943. Un inizio tragico per la Valfiorita che, a fine giugno del 1943 la, completate le riparazioni, tornò in servizio. Come ricorderete, in quel periodo la campagna d’Africa si avviava  drammaticamente al termine: Con la caduta della Cirenaica e, nel maggio 1943, della Tunisia  in mano alleata un probabile sbarco alleato in Sicilia era considerata l’ipotesi più probabile.

La motonave Valfiorita, si preparò quindi a partire per Messina con destinazione Palermo, dove avrebbe dovuto trasportare rifornimenti per rinforzare le difese dell’isola. Il 27 giugno il comandante civile della motonave, che era ancora il capitano di lungo corso Giovanni Salata, chiese invio urgente del materiale di sicurezza mancante, e, in particolare delle 55 bombole di anidride carbonica dell’impianto antincendio, sbarcate per la ricarica  ma mai  restituite. Ne arrivarono solo dieci. Di fatto quando la nave salpò da Taranto la notte del 7 luglio 1943, la motonave salpò da Taranto per Messina, lo fece “sprovvista di qualsiasi mezzo per domare o contenere un incendio in caso di attacco, nonostante il carico”. La cosa drammatica era che stava trasportando oltre  4000 tonnellate di rifornimenti, comprendenti munizioni e 450 tonnellate di gasolio in fusti, nonché’ oltre all’equipaggio di 45 persone, altri 193 militari. L’8 luglio, dopo una breve sosta a Messina, la Valfiorita salpò per Palermo, scortata dalla moderna torpediniera di scorta Ardimentoso. Dopo aver percorso mezzo miglio, il convoglio, che procedeva a 12 nodi, doppiò Capo Faro ed assunse la rotta diretta verso Palermo.

Alle 22.29, il sommergibile britannico Ultor, al comando del tenente di vascello George Edward Hunt, avvistò la Valfiorita e l’Ardimentoso ed alle 22.44, nel punto 38°18’5″ N e 15°24′ E (al largo di Capo Rasocolmo, sulla costa siciliana), lanciò quattro siluri  mirando alla motonave. La Valfiorita fu colpita ad otto miglia per 240° da Capo Milazzo (al largo di Mortelle), da due dei siluri in rapida successione: il primo centrò la Valfiorita in sala macchine, che fu allagata e distrutta, il secondo nella stiva numero 4 (od a poppavia di essa), sul lato sinistro. Le detonazioni dei siluri scatenarono un furioso incendio, che fece esplodere le riservette di munizioni situate nel cassero centrale, per poi avvolgere la plancia e minacciare di estendersi verso poppa. Mancando totalmente mezzi antincendio, nonostante i disperati sforzi dell’equipaggio non ci fu nulla da fare per contenere le fiamme. Mentre sulla Valfiorita si consumava una tragedia annunciata, l’Ardimentoso, lanciò le cariche di profondità (oltre trenta bombe di profondità) per più di un’ora ma nessuna di esse esplose vicina al sommergibile. Alle 23 circa, il comandante militare Strafforello, dopo essersi consultato con il comandante civile Salata, dovette ordinare l’abbandono nave con i pochi mezzi di salvataggio rimasti (zattere e due lance). Mentre l’Ardimentoso effettuava il salvataggio dei superstiti, la forte corrente incominciò a spingere la nave verso  costa. Quello che restava della motonave affondò rapidamente quando si staccò il troncone di prua intorno a mezzogiorno del 9 luglio 1943, nel punto approssimato 38°18’ N e 15°27’ E, ad otto miglia da Capo Milazzo. Su 45 civili e 22 militari (18 italiani e 4 tedeschi) che componevano l’equipaggio della Valfiorita, 13 civili persero la vita (dodici – soprattutto del personale di macchina – risultarono dispersi ed il direttore di macchina Pegazzano morì in ospedale) e 11 militari (7 italiani e 4 tedeschi) rimasero feriti. Questi ultimi furono ricoverati presso l’Ospedale Militare Marittimo «Regina Margherita» di Messina. Secondo i diari di Supermarina, l’Ardimentoso recuperò 115 sopravvissuti, mentre altri cinque o sei raggiunsero la costa su una scialuppa. Due giorni dopo le forze angloamericane sbarcavano in Sicilia.



Immergersi sulla Valfiorita

La Valfiorita è uno dei più affascinanti relitti storici al largo delle coste italiane e di tutto il Mediterraneo. L’immersione nel blu, adatta a subacquei esperti, è ricca di emozioni. Inizialmente si intravede il castello, situato verso poppa, a circa 45 metri di profondità, poi lentamente si intravedono i resti della importante struttura distribuiti  tra i 60 e i 72 circa.

Località Mortelle, Messina
Tipo di immersione Ricreativa Avanzata – Tecnica
Profondità min 40 m
Profondità max 70 m
Fondale Fondo sabbioso con fango
Grado di difficoltà Medio – Alto
Brevetto Deep Air – Trimix
Interesse Storico, Biologico, fotografico.
Note Può essere presente forte corrente; consigliata vivamentela presenza di guide esperte. Grande presenza di banchi di pesce e cernie. Buona presenza di organismi sessili. Nelle zone più profonde, numerosi esemplari di corallo nero.

Il relitto, spezzato in due, giace sul fondale sabbioso privato della sua grande elica. Nella discesa appare il primo troncone, forse il più interessante, disposto ancora in assetto di navigazione. Scendendo nella stiva ormai a cielo aperto tra il fango appare una mitica Balilla. Di seguito numerosi automezzi ancora perfettamente stivati, uno a fianco dell’altro, come in un garage.

L’altro pezzo della motonave si trova più avanti, a prua, spezzato di netto a circa un quarto della lunghezza della nave, mollemente adagiato sul fianco sinistro. In questo troncone si ritrovano due stive ancora contenenti casse di proiettili e materiali militari.

foto di GianMichele Iaria

Risalendo le strutture contorte o collassate, la plancia, le torrette che ospitavano le armi ormai strappate dalle loro strutture ed affondate negli abissi.

foto di GianMichele Iaria

Questo il racconto di chi ha avuto la fortuna di visitare questo relitto, considerato uno dei migliori del Mediterraneo. Non avendo avuto questa fortuna mi soffermo sulle loro parole, di quei subacquei che hanno sfidato le profondità alla ricerca di qualcosa che va oltre il relitto.

Isabelle Mainetti

Tra di essi, un’esperta subacquea tecnica, Isabelle Mainetti che ha raccontato in un suo articolo, corredato dalle foto di GianMichele Iaria la sua immersione sulla motonave Valfiorita. Non solo lamiere immerse nel buio e nel fango ma ricordi, forti emozioni che fanno rivivere quella terribile notte che abbiamo brevemente raccontato. Viene voglia di ritornarci … chissà.

Andrea Mucedola

foto subacquee di GianMichele Iaria 

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