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Turchia e Siria nuovamente colpite da uno sciame di terremoti, una storia senza fine

tempo di lettura: 4 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: GEOLOGIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: ANATOLIA
parole chiave: terremoto

 

Un violento terremoto ha colpito la Turchia meridionale seminando e vittime e distruzione. Il terremoto, valutato di magnitudo 7.8,  ha ucciso più di 8.000 persone in Turchia e nella vicina Siria, con numeri che purtroppo, secondo le autorità locali, sono destinati ad aumentare. Come ricorderete, avevamo parlato della sismicità dell’area anatolica in un altro articolo, significando la criticità geologica di un’area che si trova attraversata da tre falde principali della regione anatolica.

Una situazione in movimento dal Cenozoico
La Turchia, fatta eccezione per una porzione relativamente piccola del suo territorio lungo il confine siriano, è di fatto una continuazione della placca arabica e, sotto un certo aspetto, fa parte da un punto di vista geologico  della grande fascia alpina che si estende dall’Oceano Atlantico alle montagne dell’Himalaya. Questa cintura si formò durante l’era cenozoica (da circa 66 a 1,6 milioni di anni fa), quando le placche continentali araba, africana e indiana iniziarono a scontrarsi con la placca euroasiatica.

Questo processo è ancora in atto in quanto la placca africana converge con la placca eurasiatica e la placca anatolica sfugge verso ovest e sud-ovest lungo faglie trascorrenti. Questo comporta che la Turchia è una delle regioni sismiche e vulcaniche più attive al mondo.

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Mappa che mostra le principali strutture tettoniche attorno alla placca anatolica su una base presa da un’istantanea del software World Wind della Nasa. Le frecce mostrano i vettori di spostamento delle placche anatoliche e arabe rispetto alla placca euroasiatica – Autore Mikenorton, CC BY-SA 3.0 / Wikimedia Commons File:Anatolian Plate.png – Wikimedia Commons

In parole semplici, la Turchia ha due grandi faglie dove hanno origine i terremoti: la faglia dell’Anatolia settentrionale, lunga 930 miglia, e quella dell’Anatolia orientale lunga più di 300 miglia. Sebbene la maggior parte dei terremoti maggiori si manifestano nella faglia settentrionale, questo terremoto ha interessato la zona dell’Anatolia orientale, che secondo le autorità geologiche locali non aveva registrato terremoti superiori a magnitudo 7, almeno da quando la rete di monitoraggio sismologico era stata istituita. Secondo alcuni geologi americani, la mancanza di grandi terremoti nel secolo scorso lungo quella faglia, combinata con il movimento verso nord della placca araba, fa supporre si sia creata una “tensione” sismica nella regione che si è poi rilasciata in una frattura nella crosta terrestre in cui le rocce sono scivolate l’una sull’altra orizzontalmente, creando tecnicamente una faglia trascorrente.

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Il terribile terremoto ha colpito nei pressi della città di Nurdagi, nella provincia turca di Gaziantep ma le scosse sono state percepite nella vicina Siria e a Cipro.

Si ritiene che l’evento di lunedì sia il più grande terremoto verificatosi in Turchia dal 1939, quando un terremoto di magnitudo 7,8 colpì la parte nord-orientale del paese. Più recentemente, nel marzo 1970, un distruttivo terremoto di magnitudo 7,1 aveva colpito la Turchia occidentale, uccidendo più di 1.000 persone e distruggendo più di 8.000 edifici e, nell’agosto 1999, un devastante terremoto di magnitudo 7,4 aveva scosso la Turchia nord-occidentale, causando più di 17.000 morti e sfollando più di 250.000 persone. Quest’ultimo fu seguito da un altro terremoto, di magnitudo 7.2, pochi mesi dopo che uccise più di 800 persone. Non ultimo da ricordare, quello avvenuto il 24 gennaio 2020, di magnitudo 6,7 , che colpì anche parte della Turchia orientale.

Carlo Doglioni, presidente dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) ha dichiarato ai media che “La placca araba si è mossa di circa tre metri lungo una direzione Nordest-Sudovest rispetto alla placca anatolica”.  La faglia “si è attivata per almeno 150 chilometri con uno spostamento anche superiore ai tre metri“, il tutto “in alcune decine di secondi“.

Ma l’incubo per le popolazioni non  è ancora finito. Dozzine di scosse di assestamento, si stanno ancora susseguendo nell’area colpita dal terremoto principale, ed alcune hanno ancora una magnitudine significativa. Tra di esse, una scossa di assestamento di magnitudo 6,7 si era verificata solo 11 minuti dopo la prima ed un terremoto di magnitudo 7,5 aveva colpito dopo le 13:00 dello stesso giorno.

I terremoti sono misurati dalla loro magnitudo, che è impostata come scala logaritmica. Ciò significa che ogni numero intero rappresenta un aumento di dieci volte della forza. Anche se tecnicamente non esiste un limite superiore, il terremoto più potente mai registrato fu quello di magnitudo 9,5 che colpì il Cile nel maggio 1960

Secondo l’US Geological Survey il triste bilancio delle vittime, purtroppo in crescita, è il risultato di diversi fattori: la vastità dell’area interessata dal terremoto, il fatto che abbia colpito relativamente vicino alla superficie (circa 20 km di profondità) e che sia avvenuto presso zone densamente abitate. In particolare, sempre secondo l’US Geological Survey, la popolazione in questa regione risiede in strutture estremamente vulnerabili alle scosse del terremoto in quanto gli edifici utilizzano muratura in mattoni non rinforzati ed i telai in cemento sono a maggior rischio. Questi materiali sono troppo rigidi per oscillare con lo scuotimento ed hanno maggiori probabilità di piegarsi, portando ai crolli catastrofici che abbiamo osservato nei primi filmati pervenuti dalla aria disastrata. Mentre la macchina dei soccorsi è in moto, sono state acquisite le prime immagini satellitari di 20 aree colpite dal terremoto, ovvero molti dei principali centri abitati colpiti dal sisma. L’Agenzia italiana Egeos, che coordina dal 2012 il servizio europeo Copernicus Rapid Mapping, metterà al più presto a disposizione degli scienziati le immagini satellitari che vengono raccolte in caso di disastri o emergenze,

La Protezione civile italiana, sulla base dei dati elaborati dal Centro Allerta Tsunami (Cat) dell’INGV, aveva immediatamente diramato un’allerta per possibili onde di maremoto in arrivo sulle coste italiane. Secondo Doglioni, “L’allerta tsunami si è chiusa. Questo non vuole dire che non possa essere riproposta da eventi franosi nel mare di Levante“. 

Chiudiamo questa informativa, con una preghiera per le vittime turche e siriane, tra l’altro già provate da tanti anni di guerra. 

 

 

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