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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: V – III SECOLO a.C.
AREA: MEDITERRANEO
parole chiave: organizzazione della flotta romana
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Delle unità navali più capienti e potenti, come le biremi e le triremi, dovrebbero aver fatto parte della flotta romana perlomeno a partire dal 338 a.C. In quell’anno, infatti, i Romani espugnarono Anzio e ne catturarono tutte le navi da guerra, di cui bruciarono quelle più vecchie, mentre mantennero le altre facendole ricoverare nei Navalia di Roma e poi utilizzandole per le proprie esigenze. La disponibilità di navi più ricettive incoraggiò i Romani ad imbarcarvi dei contingenti armati più numerosi, in modo da poter disporre di forze combattenti da utilizzare contro i nemici, sia in mare aperto sia sulle coste, secondo quanto necessario. In effetti, fra le missioni assolte dalla flotta romana fra la cattura delle navi di Anzio e l’inizio della prima guerra contro Cartagine vi fu, nel 311 a.C., un’incursione navale nel golfo di Napoli con sbarco di reparti armati a Pompei per devastare il territorio di Nocera (città alleata dei Sanniti, che erano in guerra contro i Romani) e trarvi delle prede. L’azione colse i nemici di sorpresa e dimostrò che i Romani erano già in grado di proiettare dal mare sulla costa la loro fanteria navale, anche se l’inesperienza indusse alcuni degli assalitori a disperdersi e ad allontanarsi troppo dalle navi nella foga predatoria, suscitando la reazione rabbiosa dei contadini e riuscendo a tornare a bordo appena in tempo prima di essere raggiunti dagli inseguitori armati.
Nel descrivere il predetto episodio, Tito Livio chiama socii navales, i combattenti sbarcati dalle navi della flotta romana. Presa alla lettera, tale espressione si riferisce agli equipaggi resi disponibili dalle città marittime alleate. Tuttavia, la stessa espressione – socii navales – è stata normalmente impiegata dallo stesso Livio per indicare i militari armati imbarcati, sia quelli a bordo delle navi romane, sia quelli delle marine alleate. Dobbiamo pertanto intendere che quell’espressione non indicò più lo status giuridico – cittadini romani o alleati – dei combattenti imbarcati, ma la loro funzione: quella della fanteria navale. Questi socii navales o militi navali vennero anche chiamati classici milites (o anche solo classici), mentre in epoca imperiale oltre a classici è stato impiegato, più diffusamente, il termine classiarii.
Tornando all’espressione socii navales, essa ha indotto molti studiosi ad immaginare che i Romani avessero inizialmente utilizzato solo il naviglio reso disponibile dalle marinerie alleate. In realtà vi è la certezza dell’esistenza di una marina romana vera e propria, con equipaggi romani, prima ancora che si rendesse possibile qualche contributo navale (comunque sempre minoritario) da parte degli alleati. Per l’arruolamento degli equipaggi, i Romani sono ricorsi prevalentemente alle proprie colonie marittime, ovvero agli insediamenti di cittadini romani in località costiere, e successivamente anche alle altre città portuali elevate al rango di municipium e dotate della piena cittadinanza romana. Si trattava di una scelta logica, basata sul criterio che è stato seguito anche dalla nostra Marina fino a pochi decenni fa, quando c’era la leva di mare, poiché è evidente che solo nelle località marittime è possibile che i giovani abbiano maturato quella naturale familiarità con il mare che è un requisito particolarmente utile per poter formare in breve tempo gli equipaggi delle navi da guerra.
Volendo dunque mettere a fuoco lo status giuridico dei primi equipaggi della marina romana, va fatta una distinzione fra il personale di bordo (nocchieri e rematori) e i combattenti imbarcati, ovvero i classici milites della fanteria di marina. Questi ultimi, a bordo delle navi da guerra armate da Roma, dovevano necessariamente essere cittadini romani nati liberi (perciò detti ingenui), così come lo era il comando della nave, mentre il resto dell’equipaggio poteva anche includere dei liberti, che erano pur sempre dei liberi cittadini romani, ma erano nati in schiavitù. Secondo il comune sentire dei Romani in epoca repubblicana, infatti, portare le armi era un onore che non poteva essere conferito a coloro che venivano considerati ancora contaminati dal loro trascorso servile. Delle eccezioni vennero comunque accettate in alcuni periodi di gravissime difficoltà della repubblica, quando la situazione di estrema emergenza richiedeva necessariamente l’impiego di tutte le risorse umane disponibili: in quei rari e particolarissimi casi vennero reclutati in tutta fretta, anche per l’esercito e per il personale combattente delle flotte, non solo dei liberti, ma anche degli schiavi, avendo tuttavia provveduto a liberare anche questi ultimi prima di formalizzare il loro effettivo arruolamento. Non venne comunque mai violato il principio giuridico romano secondo il quale il servizio militare, sulle navi come nelle legioni, dovesse essere assolto esclusivamente da parte di uomini liberi. Questa norma fu talmente vincolante che, qualora uno schiavo avesse voluto trasgredirla arruolandosi fraudolentemente, egli avrebbe rischiato la pena di morte. Va detto, a questo proposito, che le scene cinematografiche di certe produzioni americane, che mostrano i rematori delle navi da guerra romane incatenati ai loro banchi e frustati dagli aguzzini, sono storicamente sbagliate e anacronistiche, poiché trasferiscono arbitrariamente all’epoca antica un modo di fare che venne adottato soltanto sulle galee del Medioevo.
Fine II parte – continua
Domenico Carro
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estratto dal saggio Classiari – Supplemento alla Rivista marittima aprile-maggio 2024 – per gentile concessione della Rivista Marittima dedicato alla memoria del figlio Marzio, corso Indomiti, informatico visionario e socio del Mensa, prematuramente scomparso
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ammiraglio di divisione della Riserva della Marina Militare Italiana, dal momento del suo ritiro dal servizio attivo, assecondando la propria natura di appassionato cultore della Civiltà Romana, ha potuto dedicarsi interamente all’approfondimento dei suoi studi storiografici, nell’ambito dei quali ha pubblicato numerosi libri e saggi, creato l’interessantissimo sito ROMA AETERNA ed il foro di discussione FORVM ROMAETERNA (2001-2013), poi sostituito dall’istituzione di pagine estratte da “Roma Aeterna” nelle maggiori reti sociali, quali Linkedin, Facebook, Twitter, Youtube, Flickr, etc. Non ultimo, l’ammiraglio Carro è relatore in importanti convegni, nazionali ed internazionali sui temi della storiografia romana e della salvaguardia della cultura marittima.
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