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ARGOMENTO: LETTERATURA
PERIODO: XIX – XX SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Mare, oceani, letteratura
Il dilagare di tutte queste suggestioni a tema marino contribuì a ravvivare ulteriormente l’attenzione degli amatori, stimolandoli a cimentarsi con maggiore impegno nel loro smodato collezionismo, ormai specchio di un interesse che stava esordendo anche all’interno della comunità scientifica, dedita a convogliare le proprie energie in operazioni di dragaggio e campionamento pelagico sempre più avanzate, con gli obiettivi di far fronte alla scarsità di conoscenze del mondo sottomarino e condividere pubblicamente i risultati attraverso opere e riviste di divulgazione scientifica.
Così anche i manuali di carattere enciclopedico riguardanti l’identificazione di fauna e flora marina divennero estremamente popolari e tra questi degno di nota risulta essere Glaucus, or The Wonders of the Shore (Glauco, o Le Meraviglie della Riva), pubblicato nel 1859 da Charles Kingsley (Fig. 2.3, 2.4, 2.5), scrittore e abile naturalista amatoriale, esperto nelle questioni scientifiche dell’epoca e sincero fautore dell’educazione: infatti, la sua opera prendeva il nome da Glauco, chiaro riferimento al mito del pescatore che ottenne l’immortalità elevandosi alla sfera divina, e incoraggiava al miglioramento individuale attraverso la conoscenza del mondo naturale, nel caso specifico concentrandosi su quella inerente a coralli, molluschi e anemoni trovati in riva al mare. Nella mitologia greca è Glàukos, il figlio nato mortale di Poseidone e divenuto a sua volta un dio del mare.
questa tavola e le seguenti sono tratte dal Glaucus or the Wonders of Shore consultabile online al sito: https://www.gutenberg.org/files/695/695-h/695-h.htm
Un altro lavoro significativo è quello svolto da Margaret Gatty, scrittrice di libri sulla biologia marina rivolti ad un pubblico giovanile e che nel 1872 pubblicò British Sea Weeds: Drawn from Professor Harvey’s Phycologia Britannica: un manuale contenente, non solo nozioni utili alla catalogazione faunistica e botanica, ma anche le istruzioni per essiccare e assemblare correttamente gli esemplari classificati, così da poterli conservare in appositi album decorativi, un’altra moda vittoriana incentrata sul mare.
Negli stessi anni Matthew Fontaine Maury, sovrintendente dell’Osservatorio navale degli Stati Uniti, si rivolse all’esperienza pratica dei marinai, servendosi dei loro diari di bordo per ricavarne dati critici su correnti oceaniche e venti.
Matthew Fontaine Maury, in divisa da tenente della Marina degli Stati Uniti. Foto scattata poco prima che Matthew Fontaine Maury, U.S.N. si recasse a Bruxelles, Belgio, come rappresentante degli Stati Uniti per la Conferenza internazionale delle nazioni. (Fonte: Matthew Fontaine Maury, scienziato del mare di Frances Leigh Williams (1969), p.290)
Durante la ricerca, Maury si cimentò anche nel mappare il fondo dell’Oceano Atlantico ed il suo fu il primo studio oceanografico completo mai realizzato. Studiare il mare attraverso i registri di pescherecci, baleniere e altre imbarcazioni suscitò l’interesse a livello internazionale e gli valse il soprannome di Pathfinder of the Seas (ossia, Esploratore dei Mari). Successivamente, nel 1872, Maury pubblicò i suoi risultati nell’opera The Physical Geography of the Sea (Geografia fisica del mare), opera che cercava di introdurre al vasto pubblico popolare ciò che era ormai noto sul misterioso mondo sottomarino.
Alcune fonti riportano che Jules Verne ne tenesse sempre una copia a portata di mano durante la scrittura di Vingt Mille Lieues sous les Mers (Ventimila Leghe Sotto i Mari), anche basando interi passaggi sull’influente opera di Maury (vedi https://library.si.edu/exhibition/fantastic-worlds/sea-change). È importante sottolineare che il lavoro di Maury ebbe peso in una delle più grandi imprese ingegneristiche dell’Ottocento: a partire dagli anni Trenta, il finanziere di New York Cyrus Field iniziò a perseguire il piano per collegare il Nord America e l’Europa attraverso un cavo telegrafico che percorresse il fondale dell’Oceano Atlantico. Samuel Morse e altri inventori statunitensi armeggiarono a lungo con un sistema telegrafico e nel 1844 il primo messaggio venne inviato da Washington, DC, a Baltimora, nel Maryland. La comunicazione transatlantica era allora limitata al lento trasporto via nave e il cavo telegrafico fu uno dei più ambiziosi sforzi ingegneristici dell’epoca. Nel 1858, gli ingegneri collegarono per la prima volta un cavo transoceanico. Seguirono celebrazioni su entrambe le sponde dell’Atlantico. La newyorkese Tiffany & Co. acquistò una parte in eccesso del cavo per convertirla in souvenir commemorativi, manici per ombrelli e ciondoli (Fig. 2.9), ma dopo poche settimane il cavo fallì e l’entusiasmo del pubblico si trasformò rapidamente in delusione.
Fig.2.9: La newyorkese Tiffany & Co. acquistò una parte in eccesso del cavo telegrafico subacqueo per convertirla in souvenir commemorativi ma dopo poche settimane il cavo subacqueo fallì il suo scopo, 1858 – fonte: https://antiquesandartireland.com/2015/01/cable-transatlantic-bonhams/
Dunque, non mancarono i fallimenti, tantomeno i problemi tecnici, ma a dodici anni di distanza dall’inizio del progetto e cinque tentativi dopo, nel 1866, il cavo telegrafico venne posato con successo attraverso il fondale oceanico, collegando Stati Uniti e Gran Bretagna. Il cavo transatlantico ridusse il tempo necessario per inviare un messaggio intercontinentale da dieci giorni a pochi minuti, ridestando l’interesse popolare verso l’oceanografia in acque profonde. Il pubblico rimase affascinato dallo storico evento, seguendo le vicende sui giornali o acquistando libri commemorativi che raccontassero la posa dei cavi. Quindi, l’esplorazione immaginaria dei mari profondi nel lavoro di Verne e di altri scrittori corrispondeva agli sforzi lanciati nel mondo scientifico e rifletteva un generale interesse verso il mondo marino destinato a durare negli anni, tanto che all’inizio del 1900, il «Frank Reade Weekly Magazine», muniva regolarmente i protagonisti, l’eroe inventore e i suoi amici, di mute e strumentazioni subacquee per contrapporli a nemici sottomarini, mostrando navi sempre più tecnologicamente avanzate e spaventose creature degli abissi.
Una fantasiosa copertina digitalizzata del Frank Reade Weekly Magazine sulla lotta tra una piovra ed un palombaro, XX secolo – fonte: https://comicbookplus.com/?cid=3428
Al giorno d’oggi è solito far risalire la nascita dell’Oceanografia moderna alla spedizione della Challenger, eseguita tra il 1872 e il 1876; fu la prima indagine di ricognizione organizzata specificamente con il fine di raccogliere i dati su un’ampia gamma di caratteristiche oceaniche, tra cui la temperatura dell’oceano, le correnti, la vita marina e la geologia del fondo marino.
Per l’occasione fu convertita una corvetta della Marina britannica, la HMS Challenger, nella prima nave oceanografica, ossia un’imbarcazione dotata di laboratori, microscopi e altre attrezzature scientifiche. Così, sotto il comando dei già citati Murray e Thomson, poco prima di Natale nel 1872 la Challenger lasciò Portsmouth, Inghilterra, per navigare a sud verso l’Atlantico Meridionale e poi intorno al Capo di Buona Speranza, all’estremità meridionale dell’Africa. Come riportato anche dalla carta della spedizione, la nave percorse le acque molto agitate dell’Oceano Indiano Meridionale, attraversando il Circolo Antartico, e poi in Australia e Nuova Zelanda. Successivamente, si diresse a nord verso le isole Hawaii, e di nuovo a sud intorno verso Capo Horn, all’estremità meridionale del Sud America, dove Oceano Pacifico e Atlantico s’incontrano. Infine, dopo ulteriori esplorazioni nell’Atlantico, Challenger rientrò in Inghilterra nel maggio del 1876.
La rotta della Challenger – Fonte Perry, Steven M.; Fautin, Daphne G. 2003. Challenger Expedition (1872-1876) http://hercules.kgs.ku.edu/hexacoral/expeditions/challenger_1872-1876/challenger.html
La spedizione produsse cinquanta volumi di rapporti scientifici, ricostruendo una mappa dei sedimenti oceanici, registrando oltre quattromila specie di vita marina sconosciute e confutando definitivamente l’Ipotesi Azoica. Le centinaia di casse di esemplari vennero meticolosamente studiate e illustrate da esperti provenienti da ogni parte del tutto mondo, prima di confluire nelle collezioni marine del Natural History Museum di Londra. Nei risultati ottenuti dalla Challenger rientrava la scoperta della cresta dell’Atlantico Centrale e anche quella della depressione oceanica più profonda: l’area definita Challenger Deep (Abisso Challenger), che si trova all’estremità meridionale della Fossa delle Marianne, nell’Oceano Pacifico Occidentale, ed è oggi ricordata con il nome derivato dalla spedizione tardo Ottocentesca, in cui si misurarono vari parametri relativi alla colonna d’acqua fino alla profondità di ottomila e cento ottantatré metri.
Domiziana D’Aniello
in anteprima copertina digitalizzata del Frank Reade Weekly Magazine, XX secolo – fonte: https://comicbookplus.com/?cid=3428
Riferimento
estratto dalla tesi “Oceani, Mari e Abissi tra storia, letteratura e scienza: dall’immaginario antico alle attuali teorie scientifiche” di Domiziana D’Aniello – non tutte le immagini e i disegni contenuti appartengono allo studio
Glaucus, or the Wonders of Shore è consultabile online al sito: https://www.gutenberg.org/files/695/695-h/695-h.htm.
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laureata in Storia e Conservazione del Patrimonio Archeologico all’Università degli Studi di Roma Tre, ha elaborato una tesi di Geografia Fisica riguardante l’evoluzione nel tempo delle conoscenze in ambito talassografico intitolata Oceani, Mari e Abissi tra storia, letteratura e scienza: dall’immaginario antico alle attuali teorie scientifiche. Mossa dall’interesse nel proseguire gli studi secondo un’ottica multidisciplinare sta attualmente frequentando il corso di Ingegneria delle Tecnologie per il Mare
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