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livello elementare.
ARGOMENTO: STORIA ROMANA
PERIODO: REPUBBLICA E IMPERO ROMANO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: storia navale romana, corvi, arrembaggio
Uno degli aspetti più sconcertanti dell’informazione polibiana sui “corvi”, è l’assenza di notizie su ulteriori prodezze compiute dai Romani con l’utilizzo di quei marchingegni dopo la vittoria navale di Milazzo. Questo improvviso silenzio è reso più sorprendente dal confronto con lo straordinario rilievo ad essi attribuito dallo storico greco prima e durante il combattimento in mare svoltosi sotto il comando di Duilio.
In effetti, solo nel lunghissimo e particolareggiato racconto della battaglia navale di Ecnomo, Polibio include due pallidi accenni all’effetto dissuasivo dei corvi, che tuttavia non risultano mai operanti. L’esito del combattimento fu comunque ampiamente favorevole ai Romani, che catturarono sessantaquattro navi puniche e riuscirono anche ad affondarne – ovviamente con il rostro – più di quante affondate dai Cartaginesi (30 contro 24).
La scomparsa di qualsiasi ulteriore traccia dei presunti “corvi” ro-mani dopo Ecnomo è apparsa a prima vista incomprensibile agli occhi degli studiosi, che hanno tuttavia voluto provare ad individuarne una ragione plausibile, orientando le proprie ipotesi in modo alquanto diversificato. Una prima possibile spiegazione deriva dalla già citata sensazione circa l’importanza rivestita dal fattore sorpresa nel successo conseguito dai corvi polibiani alla loro prima apparizione. Trattandosi di un’apparecchiatura che i Cartaginesi non avevano ancora mai visto, essa potrebbe aver avuto l’effetto di una sorta di arma segreta che mette subito in difficoltà il nemico. Quest’ultimo, però, superato il primo trauma, sarebbe stato in condizione di studiare più accuratamente le caratteristiche del nuovo mezzo allo scopo di vanificarne l’utilizzo.
Un’altra ipotesi ha messo in relazione i gravissimi naufragi subiti dalle flotte romane nelle burrasche negli anni 255, 253 e 249 con una presunta decisione romana di rinunciare ai “corvi”, la cui collocazione prodiera potrebbe aver aggravato le perdite. Sotto il profilo tecnico tale possibilità risulta credibile, ma l’ipotesi appare viziata da un’incoerenza nella tempistica, poiché i naufragi furono tutti successivi alla brillante vittoria navale romana dell’Ermeo (Capo Bon) ottenuta in assenza dei corvi polibiani. Va peraltro osservato che nell’antichità i naufragi si verificavano perlopiù per cause naturali, cioè per l’incontenibile forza degli elementi scatenati dalla tempesta, ai quali non potevano in alcun modo resistere gli scafi delle longae naves (incluse le quinqueremi).
Una terza possibile, causa della scomparsa dei corvi polibiani, consiste evidentemente nel rapido esaurimento della loro funzione di iniziale “aiutino” per equipaggi inesperti. Doveva infatti essersi immediatamente palesata la maggior convenienza del normale abbordaggio, che consentiva di arrembare contemporaneamente lungo l’intera fiancata della nave, anziché un pò per volta attraverso un’unica e stretta passerella.
Infine, secondo la quarta, ultima e più credibile delle ipotesi, il misterioso abbandono dei corvi di Polibio va spiegato rigettando risolutamente la loro storicità, a beneficio delle manus ferreae citate dalle altre fonti, concedendo eventualmente allo storico greco l’attenuante di aver tratto l’informazione dalla sua ben nota fonte filocartaginese. La cultura ellenistica, peraltro, non poteva non considerare plausibile la creazione di macchine belliche di una certa complessità, visto che molte di esse erano conosciute o avevano comunque lasciato un ricordo di sé nella storia classica o nelle vicende più recenti.
In particolare, nel campo navale, è stato tramandato il ricordo dei grossi ordigni di piombo a forma di delfino che, nel 413 a.C., nei pressi di Siracusa, gli Ateniesi appesero ai pennoni delle loro navi da carico per lasciarli cadere pesantemente sulle triremi siracusane, affondandone due e catturando una terza. Due secoli dopo, nella difesa di Siracusa assediata dalla flotta di Marcello, Archimede aveva realizzato un sistema per agganciare le prore delle navi romane, sollevarle con una catena azionata da un contrappeso e poi farle bruscamente ricadere in acqua. Come curiosità, nel campo terrestre, fu realizzata una macchina bellica, chiamata proprio “corvo”, che però fu giudicata di scarsa efficacia dall’inventore greco Diade (IV sec. a.C.).
fine II parte – continua
Domenico Carro
in anteprima affresco da Pompei conservato nel Museo di Napoli Pompeii_VI_17_9-11_- Museo-archeologico-di-Napoli_MAN_8603
File:Wall painting – war ships behind arcades – Pompeii (VI 17 9-11) – Napoli MAN 8603.jpg – Wikimedia Commons
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ammiraglio di divisione della Riserva della Marina Militare Italiana, dal momento del suo ritiro dal servizio attivo, assecondando la propria natura di appassionato cultore della Civiltà Romana, ha potuto dedicarsi interamente all’approfondimento dei suoi studi storiografici, nell’ambito dei quali ha pubblicato numerosi libri e saggi, creato l’interessantissimo sito ROMA AETERNA ed il foro di discussione FORVM ROMAETERNA (2001-2013), poi sostituito dall’istituzione di pagine estratte da “Roma Aeterna” nelle maggiori reti sociali, quali Linkedin, Facebook, Twitter, Youtube, Flickr, etc. Non ultimo, l’ammiraglio Carro è relatore in importanti convegni, nazionali ed internazionali sui temi della storiografia romana e della salvaguardia della cultura marittima.
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