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Agnelli in pasto ai lupi: gli errori dell’esercitazione Tiger

tempo di lettura: 7 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: CANALE DELLA MANICA
parole chiave: Esercitazione Tiger,  operazioni anfibie, USN Navy, UK Royal Navy, Kriegsmarine

 

Durante le prime ore del mattino del 28 aprile, un primo convoglio di LST, proveniente da Brixman, che trasportava i soldati della 4a divisione di fanteria e della 1a divisione anfibia, carri armati ed ogni tipo di veicolo ed equipaggiamento della 1a brigata speciale genieri incominciò ad avvicinarsi alla zona di operazioni. Il convoglio da Brixham era composto da solo tre navi: USS LST-499, USS LST -289 e USS LST-507. Similarmente un secondo convoglio, composto da 4 LST (USS LST-515, USS LST-496, USS LST-531) proveniente invece da Plymouth, si avvicinava al primo per formare il convoglio denominato T4.

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HMS Scimitar, il vecchio caccia, a seguito di una collisione con un LST, riparò a Plymouth – Royal Navy official photographer – This image was created and released by the Imperial War Museum on the IWM Non Commercial LicenceHMS Scimitar FL5410.jpg – Wikimedia Commons

Una delle due navi britanniche di scorta assegnate per la protezione della flottiglia di LST, il cacciatorpediniere HMS Scimitar, avendo subito alcuni danni strutturali durante una collisione proprio con un LST, si distaccò per tornare a Plymouth, lasciando di fatto solo un’unica corvetta, l’HMS Azalea, per scortare e proteggere le navi dei mezzi da sbarco.

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HMS Azalea. La corvetta britannica ricevette un messaggio via radio in merito alla presenza di siluranti tedeschi in zona dal quartier generale britannico navale che, a causa di un errore tipografico nel messaggio, non fu indirizzato agli LST – Author Royal Navy official photographerFile:HMS Azalea WWII IWM FL 1300.jpg – Wikimedia Commons

Incredibilmente, ancora una volta, i Comandi britannici e le navi della Royal Navy partecipanti all’esercitazione continuarono a trasmettere con una frequenza radio diversa di quella impiegata dagli americani sugli LST, tra l’altro facendo errori nei codici di trasmissione. In altre parole non si sentivano e non si parlavano. Piuttosto che procedere a zigzag, l’HMS Azalea decise di guidare gli otto LST in linea di fila, rendendo di fatto questi pesanti  e poco manovrieri trasporti facili prede per i veloci E-boat tedeschi che si aggiravano abitualmente nel Canale della Manica. Il fatto di essere stata avvisata della loro presenza avrebbe dovuto quanto meno far ordinare al convoglio una disposizione diversa e più decentrata.

La mattanza
E così fu. Una squadriglia di nove E-Boot tedeschi, che stavano rientrando a Cherbourg, alle prime luci del mattino avvistarono un obiettivo allettante: otte unità pesantemente cariche e vulnerabili, ciascuna ben distanziata, a circa 500 metri da un’unità di scorta minore, che dirigevano lentamente verso la costa inglese.

Pochi istanti dopo, sei E-Boot della 5° S-Boot Flottille comandata da Korvettenkapitän Bernd Klug attaccarono gli LST utilizzando la consueta tattica del “mordi e fuggi” ovvero attaccare l’obiettivo e poi allontanarsi velocemente dalla scena di azione.

Intorno alle 01:30 i sei E-Boot si divisero in tre coppie (denominate Rotte) per attaccare con i loro siluri le grosse e lenti navi seguendo l’ordine di attacco: Rotte 3 (S-136 e S-138), poi Rotte 2 sotto Oberleutnant zur See Goetschke (S-140 e S-142), e infine Rotte 1 (S-100 e S-143). I restanti tre E-Boot (dei nove), comandati dal Korvettenkapitän Götz Freiherr von Mirbach (S-130, S-145 e S-150), che si trovano distanziati dagli altri, probabilmente vedendo i razzi rossi lanciati per l’attacco, si lanciarono come lupi sulle prede.

Nella confusione l’S-100 si scontrò con l’S-143, danneggiando la sua sovrastruttura e dovettero disimpegnarsi, mascherando la loro ritirata con una cortina di fumo. Tra l’1:30 e le 2:04 gli E-Boot tedeschi lanciarono diversi siluri contro l’USS LST-507. Soggetta a fuoco diretto, la nave subì un colpo diretto seguito da un secondo circa cinque minuti dopo. Lo spettacolo fu terribile: i soldati, appesantiti dal loro equipaggiamento, cercarono di arrampicarsi sulla sua fiancata per salvarsi dalle gelide acque del Canale della Manica, nella confusione generale, decimati dal fuoco delle mitragliatrici nemiche. Molti di loro ricaddero in acqua e affogarono. La nave subì la perdita di 202 uomini.

Qualche istante dopo le E-Boot tedesche spararono sulla USS LST-531, che affondò in soli sei minuti con la perdita di 424 membri del personale dell’esercito e della marina. La USS LST-289 cercò disperatamente di sfuggire al fuoco nemico, ma le veloci E-Boot tedesche colpirono la nave a poppa. Alla fine raggiunse il porto riportando la perdita di 13 marinai.

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i danni alla LST 289 dopo l’attacco delle e boot tedesche – Autore foto Navy Medicine – No known copyright restrictions  After being torpedoed by a German E-boat during rehearsal for the D-Day Landings, LST-289, returns to England with its stern blown off.jpg – Wikimedia Commons

Gli LST 496, 515 e 511 risposero al fuoco, ma le E-Boot tedesche, emettendo una cortina di fumo si allontanarono a velocità elevata. L’LST-511 fu colpito dal fuoco amico dell’LST-496 che cercava di colpire una delle E-Boot che passava tra i due LST, e riportò 18 feriti tra i membri dell’equipaggio.

Ironia della sorte, l’USS LST-499 chiese aiuto via radio, ma poiché le stazioni radio non erano a conoscenza dell’esercitazione (top secret), la chiamata rimase senza risposta. Il comando esercitazione ordinò agli LST illesi di proseguire verso la loro destinazione e di non raccogliere i sopravvissuti ma il comandante del USS LST  515, captain USN Doyle, decise che non poteva lasciare che gli uomini morissero di ipotermia in mare. Disobbedendo all’ordine ricevuto, rese partecipe il suo equipaggio che l’alternativa era di andarsene o di combattere per poter salvare i sopravvissuti. Decisero di tornare indietro ma poterono salvare solo pochi soldati. L’attacco terminò intorno alle 03:30. I Tedeschi in realtà non compresero la natura di quelle grosse navi e pensarono fossero dei mercantili con un pescaggio poco profondo visto che i siluri gli erano passati sotto.

Un silenzio prolungato: segretezza o copertura delle responsabilità dei pianificatori?
L’operazione Tiger non fu divulgata per molto tempo. Più che un insabbiamento, la segretezza dell’esercitazione, necessaria per il successivo sbarco portò ad un silenzio prolungato per molto tempo. Nel 1968 un ex poliziotto inglese, Kenneth Small, si trasferì sulla costa del Devon e, durante le sue passeggiate sulla spiaggia iniziò a trovare cimeli di guerra: cartucce inutilizzate, bottoni e frammenti di uniformi. Parlando con persone che avevano vissuto a lungo nella regione, apprese della pesante perdita di vite umane durante l’esercitazione Tiger.

Sulla base delle sue ricerche Small pubblicò nel 1988 il libro The Forgotten Dead: Why 946 American Servicemen Died Off The Coast Of Devon In 1944 – And The Man Who Discovered Their True Story. Nelle sue ricerche oltre a ricordare questo tragico evento, scoprì e riportò in superficie un carro sherman, avvolto nelle reti dei pescatori ad una profondità di circa 20 metri che ora è visibile nel memoriale di Torcross, nei pressi della spiaggia 

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Nelle sue conclusioni Small dichiarò che l’evento non fu mai nascosto ma solo opportunamente dimenticato. Sul numero dei caduti durante l’esercitazione parla di 946, un numero che contrasta con quello (639) dichiarato dal Comando della forza di spedizione alleata (SHAEF) nell’agosto  del 1944, ancora diverso da quello comunicato dall’ammiraglio Don P. Moon che era di 749 (tra l’altro confermato dall’Office of Defense Official Records che riportò 551 US Army e 198 US Navy, per un totale di 749 vittime) a causa del fuoco amico a Slapton Sands o per gli effetti dell’ipotermia. Sebbene il relativo silenzio furono pubblicati riferimenti alla tragedia in almeno tre libri subito dopo la guerra, incluso un resoconto dettagliato del capitano di vascello Harry C. Butcher (l’ex aiutante di marina del generale Eisenhower) nel suo libro I miei tre anni con Eisenhower (1946).

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USS Bayfield (APA-33) a Charleston, South Carolina (USA),  4 gennaio 1950 USS Bayfield (APA-33) at Charleston, South Carolina (USA), on 4 January 1950 (NH 99242).jpg – Wikimedia Commons

Durante l’invasione della Normandia del 6 giugno 1944 l’ammiraglio Moon, a cui ragionevolmente non possono essere attribuite tutte le colpe del drammatico evento, diresse gli sbarchi dell’operazione Overlord a Utah Beach da bordo del trasporto d’attacco USS Bayfield (APA-33). Moon era un ufficiale scrupoloso ma quello che non funzionava era il coordinamento interno, strozzato da mille cavilli burocratici che rendevano più complessa l’esecuzione di ogni attività. Inoltre, mancava la standardizzazione delle comunicazioni, essenziale per operare in campo interforze e multinazionale. Ci sarebbero arrivati, anche se in parte, molti anni dopo sulla base di tante lezioni acquisite e tante vite perse.

Dopo lo sbarco il USS Bayfield fu inviato a Napoli per l’invasione del sud della Francia ma, il 5 agosto 1944, il contrammiraglio Moon si sparò con la sua pistola. Il suo suicidio fu attribuito allo stress del periodo precedente.

Andrea Mucedola

in anteprima e boot tedesco – autore foto Lt. L. Pelman, Royal Navy official photographer – German E-Boat underway to Gosport 1945.jpg – Wikimedia Commons

Riferimenti
MacDonald Charles B., ‘Slapton Sands: The Cover-up That Never Was’, Army 38, No. 6 (June 1988): 64-67
Stokes Paul, ‘Veterans honour 749 who died in D-Day rehearsal, (1994). The Daily Telegraph. London
Small Kenneth, Rogerson Mark, ‘The Forgotten Dead – Why 946 American Servicemen Died Off The Coast Of Devon In 1944 – And The Man Who Discovered Their True Story’, London, Bloomsbury. ISBN 978-0-74750-433-7. (1988).
Butcher, Harry Cecil ‘My Three Years with Eisenhower: The Personal Diary of Captain Harry C. Butcher, USNR, Naval Aide to General Eisenhower, 1942 to 1945’, Simon & Schuster. pp. 528–535. (1946).
Lewis, Nigel ‘Exercise Tiger: The Dramatic True Story of a Hidden Tragedy of World War II’, New York: Prentice Hall. ISBN 978-0-13127-796-0. (1990).

 

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