livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XIX SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Marina Toscana, Risorgimento
Dopo il rifiuto opposto dall’Austria al Granduca Ferdinando III di consegnargli qualcuna delle navi provenienti dal Regno d’Italia napoleonico, nel 1816 la flotta era solo il pallido ricordo di quella che era mezzo secolo prima. Essa comprendeva solo dieci piccole unità; in pratica, un brigantino, una goletta, uno sciabecco (denominati rispettivamente Arciduchessa Maria Teresa, Arciduchessa Luisa e Tisbe), quattro barche cannoniere e tre spronare (una delle quali aveva nome Cristina), tutte armate solo per una parte dell’anno, scarse di artiglieria e di dotazioni di bordo (10). Questo complesso, raccogliticcio e malandato, non poteva avere che una vita breve e infatti, fra il 1829 e il 1834, venne venduto o demolito: solo le spronare furono rimpiazzate con unità di nuova costruzione.
il Porsenna era un bel Brigantino della prima metà del 1800, esattamente varato nel 1828 a Livorno, quando la Toscana era ancora Granducato sotto i Lorena ma non risulta fu mai alle dipendenze della marina del granducato
Verso il 1840, definita di ben piccolo momento, la “flotta” era composta solo dalle tre sopra ricordate spronare da 13,5 tonnellate con 8 remi e 10 marinai d’equipaggio, e da una goletta da 74 tonnellate. Quest’ultima era una buona nave di costruzione recente, ma svolgeva soltanto le funzioni di guardaporto a Livorno e, di fatto, non prendeva mai il mare. Tuttavia, nel 1846, si ebbe quello che forse fu l’avvenimento più importante per la storia della minuscola Marina toscana del XIX secolo. Dopo che, a partire dal 1835, erano apparsi i primi piroscafi mercantili del Granducato, il Leopoldo II e il Maria Antonietta con macchina da 120 cavalli, affiancati poi dai più piccoli Romolo e Etrusco da 60 cavalli, impiegati sulle rotte fra Livorno, Genova, Napoli e Marsiglia, si manifestò l’esigenza di disporre di una nave a vapore anche per il cabotaggio interno e … questo desiderio soddisfossi nel 1846 essendosi nel febbraio di quell’anno varato a Livorno un piroscafo di proprietà del Regio Erario per lo scopo appunto di comunicare fra i varii porti del littorale toscano (11). Infatti, con Decreto del 20 febbraio 1845 (12), il Granduca Leopoldo II aveva disposto la costruzione di … un battello a vapore atto al servizio della Real Corte e, alla circostanza, a eseguire perlustrazioni, trasporti militari, missioni. …
Progettata dal già ricordato costruttore regio ingegner Luigi Mancini, la nave, battezzata Il Giglio – ma frequentemente chiamata soltanto Giglio – scese in mare a Livorno il 3 febbraio 1846. Anche se appartenente alla Marina militare appariva evidente la mancanza di qualsiasi caratteristica bellica dato che la maggior parte dello spazio era occupato dalle sistemazioni per un centinaio di passeggeri, sul ponte e in cabine. Fu adibito essenzialmente al servizio postale, passeggeri e merci fra Livorno, le isole dell’arcipelago toscano e l’Argentario. Non sembra che la riuscita della nave sia stata particolarmente buona: nel 1851 era già considerata quasi inservibile benché di modernissima costruzione (14) e necessitò di un lungo ciclo di lavori. Il costo per il suo riattamento fu notevole (15), ma fu una somma ben spesa perché l’unità fu messa in grado di svolgere ancora moltissimi anni di servizio.
Le principali caratteristiche del Giglio erano le seguenti (13):
– dislocamento di circa 250 tonnellate;
– scafo in legno lungo 38,7 metri e largo 5,5 metri;
– apparato motore fornito dalla ditta Maudslay di Londra da 60 cavalli, con velatura ausiliaria;
– armamento composto da 4 cannoni in bronzo;
– equipaggio costituito da 27 uomini. Il primo comandante fu Luigi Basti (o Bassi) e l’inglese William Bell era il direttore di macchina.
Sotto questo aspetto non siamo certo in presenza di una storia brillante né, con le poche unità a disposizione, poteva essere diversamente. Dopo le imprese del 1815-1816 a cui si è accennato all’inizio e alcuni anni tranquilli, nel 1827 vi fu un momento di crisi con Algeri e Tripoli: ricorrendo a tutte le risorse, si riuscì a mettere insieme una squadriglia per la sorveglianza delle coste e per scortare i convogli di navi mercantili composta da una goletta, uno sciabecco, una cannoniera ed una spronara, con complessivamente 180 uomini di equipaggio e 19 cannoni. Tuttavia questa piccola forza navale non fu mai messa alla prova del fuoco e, anzi, sembra che non sia neppure potuta diventare operativa (16).
A differenza dell’esercito, che si presentava come un complesso dignitoso ed equilibrato in relazione alle esigenze del Granducato, che fu mobilitato nel 1847 in occasione di una controversia con il Ducato di Modena per una questione di regolamento di confini (i cosiddetti fatti della Lunigiana), tanto da far temere lo scoppio di una guerra, e che nel 1848 si fece onore in Lombardia durante la prima guerra di indipendenza, ben poco si può dire delle piccole unità toscane, impiegate quasi soltanto nella vigilanza anticontrabbando, per i trasporti per conto dello stato e per qualche scorta alle barche coralline (17).
Il personale della Marina militare, che a causa della ridottissima attività operativa era costretto a lunghi periodi di inattività trascorsi a terra, veniva utilizzato per le ronde nel porto mercantile e per la vigilanza dei cantieri navali; i sottufficiali e i marinai costituivano la Forza Militare del porto (18) ed operavano a stretto contatto con la Capitaneria e il Commissariato di Polizia di San Marco e all’occorrenza, come si direbbe oggi, potevano svolgere anche funzioni di agenti di polizia giudiziaria.
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Le vicende del Giglio, nonostante tutto, furono interessanti. Era una nave insignificante dal punto di vista militare, ma era l’unica nave disponibile di rilevanti dimensioni e si dimostrò adattissima ai compiti “tuttofare” per cui era stata concepita.
Come abbiamo detto l’unità fu adibita soprattutto al servizio di linea compiendo anche numerosi viaggi con a bordo il Granduca e la sua Corte, ma nel 1847 svolse un’intensa attività trasportando truppe e materiali verso il nord della regione nel periodo delle scaramucce con Modena e poco più tardi trasportò all’isola d’Elba vari prigionieri politici. Fu però nel 1848-1849 che visse un momento di attività convulsa.
Su di essa, nel settembre 1848, si rifugiarono il colonnello Cipriani e parte delle sue truppe in fuga da Livorno durante i moti insurrezionali che, allontanatisi via mare dalla città, furono sbarcati in una zona sicura. Rimasto poi a disposizione del Governo Provvisorio, il Giglio appoggiò dal mare, per supplire alle eventuali interruzioni delle comunicazioni (19), un corpo di 5.000 uomini dell’esercito in una ricognizione lungo la via litoranea verso la Versilia, alla ricerca di un forte nucleo di truppe rimaste fedeli al Granduca. Il distaccamento di soldati che aveva a bordo, e di cui era previsto lo sbarco a Viareggio, non poté tuttavia prendere terra per la presenza di alcune batterie posizionate dall’avversario.
Il Giglio fu poi oggetto di interessi poco chiari da parte di alcuni agitatori che, sobillati dal sedicente comandante della Guardia Nazionale livornese De Attelis, avevano in progetto di impossessarsi delle casse pubbliche dei vari enti presenti in città, sequestrare la nave e fuggire a Napoli su di essa, rivendendola poi in quel porto. Il deciso intervento delle autorità governative e del Capitano del porto riuscì a sventare questi propositi. Nel febbraio del 1849, su insistenza della fazione anarchica, che riusciva spesso ad imporsi su quella moderata, venne organizzata una spedizione a Portoferraio per accertare se il Granduca si trovasse in quella fortezza e con l’intenzione, più velata, di guadagnare alla causa rivoluzionaria la guarnigione, ancora fedele al sovrano (20).
Il Governatore di Livorno Pigli ordinò al Comandante del porto Bargagli che, come tale, era anche Comandante della Marina Militare e che era un ufficiale che aveva servito nella Marina Sarda, partecipando all’azione contro Tripoli nel 1825, di far partire per l’Elba il Giglio con a rimorchio due barche cariche di uomini armati al comando di Antonio Petracchi, un navicellaio diventato maggiore della Guardia Nazionale. La partenza della missione fu però ritardata a causa dell’incaglio del Giglio nel porto: l’unità si disimpegnò con i suoi mezzi e senza danni, ma vi furono aspre critiche al Comandante Bassi accusato di avere provocato volontariamente l’incidente e gli fu rimproverato che era stato zelante quando salvava il Cipriani e quando imbarcava il Granduca; non già quando si trattava di servire la Patria.
Quando poi la nave giunse al largo dell’Elba, avvistata una fregata inglese, preferì evitare complicazioni e deviò dalla rotta rifugiandosi a Campo. Seguirono inconcludenti contatti con il Governatore, sbarchi di piccoli nuclei di patrioti, tentativi di sobillare le truppe e di far rivoltare i forzati della colonia penale e il Giglio visitò qualche porto dell’isola per “mostrar bandiera”. Fra le scuse escogitate per prolungare la sua permanenza sull’isola il Petracchi chiese e ottenne una provvista di carbone per la nave che, tuttavia, venne rifiutata dal macchinista Bell che dichiarò di disporre di adeguate scorte di combustibile. Dopo alcuni giorni di infruttuosi temporeggiamenti il Giglio tornò a Livorno con il suo carico di patrioti indisciplinati e schiamazzanti mentre, in quegli stessi giorni, una spronara fu inviata in crociera di vigilanza all’isola del Giglio, per controllare movimenti sospetti e per pubblicare proclami.
Anche se, come abbiamo ribadito, il Giglio era un’unità modesta, oltre ad essere dotata di macchina a vapore era pur sempre poderosa rispetto alle piccole imbarcazioni che solcavano le acque dell’Arcipelago toscano e reggeva molto meglio di esse il mare cattivo, così che poté distinguersi in una lunga serie di soccorsi a navi mercantili in difficoltà. Il 1° agosto 1853, in occasione della cerimonia dell’inizio dei lavori di ampliamento del porto di Livorno, dal Giglio, che aveva a bordo il Granduca, furono lanciati in mare i primi massi destinati alla costruzione della diga curvilinea. Nel 1859, dopo la costituzione del Governo Provvisorio, trasportò a Genova il Commissario sardo Carlo Buoncompagni e, in quell’occasione, si meritò il nome altisonante di nave capitana (21).
A Porto Santo Stefano, punto nodale dei viaggi del Giglio, si trovava un deposito di carbone, al quale si rifornì Garibaldi nel 1860 durante il viaggio verso Marsala. Le cose non si svolsero in modo troppo amichevole: “una deputazione fu inviata ai magazzini governativi con l’ordine di negoziare con buone maniere, ma essendo Nino Bixio della comitiva, si tagliò subito corto ai preliminari, si afferrò l’ufficiale di servizio per il collo fino a che non ebbe consegnata la chiave della carboniera” (22)
Nel 1861 il Giglio entrò a far parte della Marina italiana dove fu classificato “rimorchiatore a ruote” venendo impiegato soprattutto come nave trasporto. Nel 1866, poco prima della battaglia di Lissa, partecipò alle operazioni per tranciare il cavo telegrafico sottomarino dell’isola di Lesina. Nel 1873 risultava in disarmo e venne radiato nel 1879.
Fine Parte 2 – continua
Guglielmo Evangelista
articolo pubblicato originariamente su La voce del marinaio
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Note
10) Daniela Manetti: Marina Militare e costruzioni navali nel Granducato di Toscana in Atti del Convegno La penisola italiana e il mare. Viareggio 29-30 aprile – 1 maggio 1991. Ed. a cura di Tommaso Fanfani. Pag. 399 . Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1993. La spronara o speronara era un’imbarcazione a vela latina, tipica di Malta e della Sicilia, con buone doti velocistiche: per questa ragione era il tipo impiegato di preferenza nella vigilanza anticontrabbando.
11) AA.VV. Nuovo dizionario Universale tecnologico. Voce navigazione,. Tomo XLII, pag. 93. Venezia, Antonelli 1847.
12) Peraltro, in un documento di molto successivo all’unità d’Italia (1873), la nave viene data come impostata nel 1844 ma probabilmente, stante anche il lungo di tempo trascorso, si tratta di un’imprecisione.
13) Nel tempo le caratteristiche dell’unità subirono varie modifiche e, anche per motivi di economia, l’armamento venne portato a due pezzi in bronzo da 80 e l’equipaggio fu ridotto a 18 uomini. Secondo la tabella di armamento della navi della Regia Marina italiana del giugno 1863 l’equipaggio era formato da:
– 1 Pilota di 3^ classe e un Secondo Pilota;
– 1 Secondo macchinista;
– 1 Secondo Nocchiere;
– 2 Timonieri (di cui uno cannoniere);
– 4 fuochisti, 2 carbonai, un operaio d’ascia, 10 marinai
14) Attilio Zuccagni-Orlandini Ricerche statistiche sul Granducato di Toscana. Cit. Tomo II pag. 494.
15) Supra, pag. 404. Dal prospetto comparativo delle spese per il mantenimento dei bastimenti fra il 1847 e il 1851, risulta che, in quell’ultimo anno, queste furono di 61.000 lire contro le 7.760 del 1847.
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nasce a Broni (PV) nel 1951. Laureato in giurisprudenza è stato ufficiale delle Capitanerie di Porto e successivamente funzionario di un Ente Pubblico. Ha al suo attivo nove libri fra cui “Storia delle Capitanerie di porto” , “Duemila anni di navigazione padana” e “Le ancore e la tiara – La Marina Pontificia fra Restaurazione e Risorgimento” ed oltre 400 articoli che riguardano storia, economia e trasporti. Collabora con numerosi periodici specializzati fra cui la Rivista Marittima”.
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