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livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO INDIANO – GOLFO PERSICO
parole chiave: petroliere, minamento
Cosa sta succedendo nello stretto di Hormuz?
Lunedì scorso (13 maggio), l’Arabia Saudita ha dichiarato che due petroliere sono state danneggiate in modo significativo in un attacco avvenuto il 12 maggio nei pressi dello Stretto di Hormuz. Si tratterebbe di un non chiaro attacco/sabotaggio che, al di là dei risultati, potrebbe avere delle conseguenze non trascurabili su uno dei più sensibili choke point del mondo dove transita un terzo del greggio mondiale.
Il ministro saudita per l’energia, Khalid al-Falih, ha affermato che il sabotaggio ha lo scopo di “minare la libertà della navigazione marittima e la sicurezza delle forniture di petrolio ai consumatori di tutto il mondo“. Una dichiarazione forte che, sebbene non chiarisca i fatti ed i possibili responsabili, richiama alla memoria le mine di agosto di tanti anni fa, quando furono disseminate mine alla deriva da parte degli Iraniani per ridurre il traffico nello stretto. La risposta dei mercati è stata immediata. I futures sul petrolio CLM9, + 1,08% LCON9, + 1,34% lunedì sono saliti alle stelle, con i trader che hanno citano l’attacco come fattore per un possibile forte aumento dei prezzi dopo un periodo di stasi o un incremento dei prezzi che ritracci parte della precedente discesa. Questo in un momento complesso e delicato in cui il greggio sembrava aver rinunciato a questi guadagni, abbassandosi quando una svendita azionaria globale legata a un’escalation della battaglia tariffaria tra Washington e Cina aveva fatto scendere le azioni USA, lasciando l’S & P 500 SPX, -2,41% in calo del 2,6% e Dow Jones Industrial Average DJIA, -2,38% in calo di circa 700 punti nel punto più basso del lunedì. Questo incidente avviene proprio domenica 12 maggio.
La situazione è ancora poco chiara. Le fonti parlano di due navi colpite di cui una battente bandiera norvegese, la Andrea Victory, che hanno riportato dei danni allo scafo. I portavoce della compagnia norvegese che gestisce la nave, la Thome Ship Management, ha dichiarato che è stata “colpita da un oggetto sconosciuto sulla linea di galleggiamento” mentre era al largo di Fujairah. Nessun membro dell’equipaggio ha per fortuna subito danni. Dalle immagini pubblicate dalla Reuters sembrerebbe che lo scoppio sia stato causato da una carica di relativamente piccolo potenziale ed esterna allo scafo. Il condizionale è d’obbligo e si aspettano le risultanze della commissione di inchiesta.
Se da un lato le dichiarazioni saudite sono apparse prudenti, secondo l’Associated Press, gli Stati Uniti hanno dichiarato che “l’Iran o i suoi delegati” potrebbero prendere di mira il traffico marittimo nella regione. D’altra parte il ministero degli Esteri iraniano ha definito questi episodi “preoccupanti e terribili” ed ha richiesto un’immediata indagine, ipotizzando che “sabotatori di un paese terzo” potrebbero essere dietro l’accaduto e sottolineando che la sicurezza degli Stati del Golfo è fragile.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno riferito che il presunto attacco di domenica ha preso di mira quattro navi al largo della città portuale di Fujairah, che si trova a circa 85 miglia (140 chilometri) a sud dello stretto di Hormuz. Si tratta di due petroliere di greggio di proprietà della compagnia marittima saudita Bahri, una chiatta di bunker di carburante battente bandiera degli EAU ed una petroliera battente bandiera norvegese. L’incidente è ancora sotto inchiesta e le navi danneggiate sono ora ancorate al largo delle coste degli Emirati nei pressi dello Stretto di Hormuz.
Perché Hormuz è così importante?
Come ho illustrato in un precedente articolo, lo stretto di Hormuz è uno stretto che collega il Golfo Persico con il Golfo di Oman ed il Mar Arabico. Nel suo punto più stretto è largo solo ventuno miglia e la larghezza dei settori di uscita in entrambe le direzioni è di sole due miglia, separate da una zona cuscinetto di due miglia. I fondali sono intorno ai settanta metri e quindi si prestano alla posa di ordigni come le mine. Il flusso delle correnti, dentro e fuori dallo Stretto di Hormuz, riflette lo scambio degli estuari del Golfo con gli oceani ma non è molto conosciuto. Sono presenti nell’area dei fenomeni di up welling ovvero di risalita di acque dalle acque profonde, che coinvolgono il movimento provocato dal vento di grandi masse di acqua fredda, densa e generalmente ricca di nutrienti, che risalgono verso la superficie dell’oceano dove vanno a rimpiazzare l’acqua superficiale più calda.
Lo stretto di Hormuz è un passaggio obbligato, quello che viene chiamato in gergo marittimo un choke point, attraversato da un intenso flusso mercantile e dalle petroliere che trasportano il greggio dai porti del Golfo Persico verso le destinazioni asiatiche ed europee. Le petroliere, che trasportano circa 17 milioni di barili di petrolio al giorno (circa un terzo di tutto il petrolio scambiato via mare a livello globale), navigano in un corridoio obbligato tra secche e isole dove i fondali non sono elevati. Lo stretto è anche fondamentale per il trasporto di gas naturale liquefatto, in particolare proveniente dal Qatar e diretto verso il Giappone e Cina che importano grandi quantità di petrolio e gas. Un carico vitale per tutti i Paesi industrializzati che, secondo gli analisti, è costato dal 1976 ad oggi oltre otto trilioni di dollari solo per la sua protezione.
Un film già visto?
Questo episodio richiama alla memoria le immagini che resero tristemente famoso Hormuz durante la guerra delle petroliere negli anni ’80.
Questa guerra fu la logica conseguenza del sanguinoso conflitto tra Iran e Iraq. Nei primi quattro anni di guerra ci furono attacchi da entrambe le parti alle navi mercantili ed alle petroliere che attraversavano lo Stretto di Hormuz. L’escalation si ebbe nel 1984, quando gli attacchi alle petroliere aumentarono nel tentativo di interrompere le esportazioni di petrolio e costringere l’antagonista al tavolo dei negoziati. A queste azioni, l’Iran rispose attaccando le navi cisterna che trasportavano il petrolio dal Kuwait e dall’Arabia Saudita con la sua milizia più fedele, i pasdaran. Un evento decisivo avvenne il 21 settembre 1987, quando un elicottero della fregata U.S.S. Jarrett, un’unità coinvolta nella operazione segreta Prime Chance, ombreggiando la nave posamine iraniana, l’Iran Ajr (foto a lato), scoprì che gli Iraniani stavano posando in maniera occulta delle mine nei pressi di Hormuz. Una storia vecchia di anni i cui fantasmi si riaffacciano ora sullo stretto. In aprile (2019) i funzionari iraniani avevano minacciato di interrompere il flusso di petrolio attraverso lo stretto a seguito delle dichiarazioni dell’amministrazione Trump che aveva designato la Guardia rivoluzionaria come “organizzazione terroristica straniera”.
Queste preoccupazioni erano state poi addolcite dagli Iraniani. Secondo l’agenzia di stampa iraniana Tasnim, il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif, all’inizio di maggio, aveva dichiarato che l’Iran non aveva alcun interesse a intensificare le tensioni con gli Stati Uniti e considerava il Golfo Persico e lo Stretto di Hormuz come “la nostra ancora di salvezza” e li voleva “sicuri e liberi per la navigazione di tutti i paesi, incluso l’Iran“, riconoscendo che tali zone sono cruciali non solo per la sicurezza regionale ma anche per l’economia globale.
La portaerei a propulsione nucleare USS Abraham Lincoln fa parte della classe Nimitz (CVN 72). Il ponte di volo dispone di 4 catapulte a vapore tipo C13-2, quattro elevatori e quattro sistemi di cavi di arresto. La propulsione e la produzione di energia elettrica è assicurata da due reattori nucleari A4W che sviluppano una potenza complessiva di 209 MW e hanno una vita utile di circa 20 anni. In caso di emergenza sono disponibili 4 motori diesel. La componente operativa principale è costituita dallo stormo aereo imbarcato (CVW). Esso comprende caccia multiruolo F-18E/F Super Hornet destinati ad essere sostituiti dai nuovi caccia multiruolo stealth F-35. Ad essi si aggiungono velivoli radar e per la guerra elettronica, nonché elicotteri per la guerra antisommergibile e per compiti di trasporto e soccorso. Credits: DoD | Mark Logico
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La scorsa settimana, gli Stati Uniti avevano però annunciato il rafforzamento della loro presenza navale nell’area con un gruppo composto dalla portaerei USS Abraham Lincoln per contrastare un eventuale attacco da parte iraniana alle forze statunitensi nella regione (fonte American press). Ciò si aggiunge all’importante e stabile presenza della Fifth Fleet statunitense che ha sede a Al Manama, Bahrain. Questo rafforzamento della presenza militare è una possibile risposta alla politica del leader supremo iraniano Ayatollah Khamenei (foto a lato) che aveva minacciato azioni sul flusso energetico nella regione del Golfo nel caso di un’aggressione statunitense al Paese, sottolineando che Teheran desidera solo produrre combustibile nucleare a scopo civile.
Una scheggia impazzita del regime o una contro risposta, più o meno occulta, nel Golfo Persico e nelle zone limitrofe a seguito delle dichiarazioni statunitensi contro i fedelissimi del Regime iraniano? A questo punto viene qualche dubbio sulle cause dell’incidente di domenica in quanto esistono dei precedenti sull’uso di queste armi, decisamente le più adatte per condurre azioni di interdizione occulta e recentemente impiegate anche a Bab El Mandeb dagli Houthi filo iraniani, le mine navali.
Andrea Mucedola
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in anteprima , il pericolo di ordigni in Golfo Persico richiama alla memoria l’incidente al USS Tripoli
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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