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NO PLASTIC AT SEA

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Petizione OCEAN4FUTURE

Titolo : Impariamo a ridurre le plastiche in mare

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  Address: OCEAN4FUTURE

Trovate tracce di microplastiche nelle feci umane

Reading Time: 4 minutes

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livello elementare
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ARGOMENTO: EMERGENZE AMBIENTALI
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANI
parole chiave: plastiche, molluschi
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Avete un’idea del consumo nel mondo delle bottiglie e dei sacchetti di plastica?
Enorme. Volendo fare una valutazione statistica in un minuto vengono acquistate nel mondo un milione di bottiglie di plastica e due milioni di sacchetti di plastica. Una quantità enorme che non viene smaltita in maniera ecosostenibile.

Il problema è che questi materiali possono impiegare fino a mille anni per degradarsi, nel frattempo, come purtroppo sappiamo, si spezzetteranno in minuscoli frammenti che chiamiamo microplastiche e nanoplastiche in relazione alle loro dimensioni. Miliardi di miliardi di esse arrivano negli oceani e vengono ingerite dalle forme di viventi con conseguenze che ancora dobbiamo capire. Questo afflusso si unisce alle altre fonti di inquinamento contribuendo alle formazioni di aree dove la vita diverrà sempre più impossibile.

In un recente studio pilota effettuato presso l’università di Vienna dal professor Philipp Schwabl, un gastroenterologo ed autore principale dello studio, è stato presentato ad una conferenza di gastroenterologia a Vienna. Lo studio, sebbene effettuato su un numero limitato di soggetti, ha purtroppo riscontrato in tutti i soggetti la presenza di microplastiche nelle loro feci che fa supporre che, nel transito intestinale, essi abbiamo il tempo di rilasciare sostanze tossiche e patogene.

In particolare, lo screening è stato effettuato su otto persone provenienti da diversi Paesi (Finlandia, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Polonia, Russia, Regno Unito e Austria) scoprendo che in ogni singolo campione è risultato positivo per la presenza di microplastiche di lunghezza inferiore a 5 millimetri, grosso modo le dimensioni di un chicco di riso. Per condurre lo studio, i volontari hanno tenuto diari alimentari per una settimana e fornito campioni di feci ai ricercatori che hanno analizzato i campioni con uno spettrometro. Sono stati rilevati fino a nove diversi tipi di polimeri, con dimensioni comprese tra 0,05 e 0,5 millimetri. Le plastiche più comuni rilevate erano derivanti da polipropilene e tereftalato di polietilene – entrambi componenti principali delle bottiglie e tappi di plastica. Pur essendo la concentrazione di contaminanti – 20 particelle microplastiche per 10 grammi di feci – relativamente bassa non si possono valutare gli effetti a seguire.

Ma quale è stata la causa di contaminazione?
Gli afflussi di tali materiali in mare e la loro successiva assimilazione da parte delle creature marine o in secondo tempo, durante le fasi di lavorazione e/o confezionamento degli alimenti? Oppure in tutti e due i modi? Lo studio pilota suggerisce che le microplastiche stanno entrando nel nostro corpo anche attraverso altri mezzi. Di fatto due degli otto partecipanti allo screening hanno infatti affermato di non consumare pesce o molluschi per cui le microparticelle potrebbero provenire dalla catena di distribuzione. Se da un lato le dimensioni delle microplastiche ne consentirebbero un facile espulsione nelle feci, è anche vero che potrebbero rilasciare le sostanze che le compongono a livello endocrino, accumulandosi nei tessuti. Un risultato scioccante perché fa presagire che gli effetti causati dalle nanoplastiche possano essere ancora maggiori ed esse possano accumularsi permanentemente nel nostro organismo.
Questo riscontro si unisce alla scoperta in tutto il mondo da parte di diversi ricercatori di livelli elevati di microplastiche nella vita marina, particolarmente alti nelle dead zone dei vortici oceanici.

Per quanto concerne le acque potabili, l’anno scorso sono state rilevate microplastiche nell’83% dei campioni di acqua di rubinetto in tutto il mondo (con il più alto livello di contaminazione negli Stati Uniti, dove il 94% dei campioni è risultato fortemente contaminato). Quantità fibrose di nanoplastiche vengono diffuse nei terreni e finiscono poi nelle falde acquifere. L’acqua pompata dai pozzi viene usata in agricoltura ma anche bevuta. Da cui il grave pericolo, ancora taciuto di queste sostanze.

Ma torniamo alle microplastiche. La maggior parte delle microplastiche derivano dalla frantumazione delle diverse materie plastiche per cui sono di fatto materiali molto diversi fra loro. Altra fonte di apporto sono i prodotti di bellezza come i scrabbing, ormai vietati in molti Paesi occidentali ma che vengono ancora usati in grandi Paesi asiatici e sudamericani. Da una parte o dall’altra arrivano in mare ed entrano nella nostra catena alimentare. In particolare, le forme di vita filtranti, come i bivalvi, sono tra quelle più colpite.

Uno studio ha stimato che chi mangia regolarmente questi molluschi filtratori può inconsapevolmente ingerire fino a 11.000 microparticelle di plastica all’anno. In particolare in questo studio è stata ricercata la presenza di microplastiche in due specie di bivalvi coltivati commercialmente: Mytilus edulis (cozze) e Crassostrea gigas (ostrica concava), due delizie il cui consumo è estremamente elevato nel mondo. Nelle analisi microscopiche, particelle di microplastiche sono state purtroppo ritrovate nei tessuti molli di entrambe le specie.

Al momento del consumo umano, Mytilus edulis contiene in media 0,36 ± 0,07 particelle g-1 (peso umido), mentre un carico di plastica di 0,47 ± 0,16 particelle g-1 ww è stato rilevato nelle ostriche. Di conseguenza, l’esposizione alimentare annuale, per i consumatori europei di molluschi, può ammontare a circa 11.000 microplastiche all’anno. Una quantità non indifferente che potrebbe rappresentare una minaccia per la sicurezza alimentare; tuttavia, a causa della complessità della stima della tossicità delle microplastiche, non è (ancora) possibile stimare i potenziali rischi per la salute umana. Un argomento di sicuro interesse che seguiremo su OCEAN4FUTURE.

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