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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: archeologia, Cousteau
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Esistono luoghi della memoria, dove la storia ha lasciato le sue tracce, un monito all’Umanità con la speranza, purtroppo vana, che certi errori non si ripetano più. Tra le mete subacquee forse la più famosa è la laguna di Truk (Chuuk islands), luogo di una terribile battaglia durante la Seconda guerra mondiale, i cui fondali riservano ancora agli occasionali visitatori emozioni indimenticabili.
Questa laguna, situata in Micronesia a circa 1.100 miglia a Nord Ovest della Nuova Guinea nell’Oceano Pacifico Occidentale, è ben conosciuta sin dal XVI secolo quando i primi esploratori spagnoli, nel 1528, la visitarono riportando nei loro resoconti di viaggio l’incontro con diverse tribù. Terra di nessuno, e di tutti, solo nel XIX secolo i colonialisti spagnoli ne rivendicarono ufficialmente la proprietà, essendo parte delle Isole Caroline. In seguito, nel 1899, furono acquisite dai Tedeschi dopo la guerra ispanico -americana. Al termine della Prima guerra mondiale il Giappone ne ottenne la proprietà dalla Lega delle Nazioni, togliendola di fatto alla Germania che aveva perso la guerra, e le isole caddero nuovamente nel dimenticatoio. Probabilmente nessuno le avrebbe mai conosciute se quell’arcipelago non fosse divenuto, quasi al termine della Seconda guerra mondiale, teatro di una furiosa battaglia aeronavale, ospitando al termine “il più grande cimitero di navi del mondo“.
L’operazione HAILSTONE
Durante la Seconda guerra mondiale, il Giappone stabilì nella laguna una delle sue principali basi navali, ancorandovi una grande parte della sua potente flotta e dislocandovi circa quarantamila uomini. L’atollo corallino che circondava le isole, creava un porto naturale sicuro dove i punti di ingresso e di uscita erano stati fortificati dai Giapponesi con batterie e cannoni antiaerei di protezione ai campi d’aviazione. La Marina americana la considerò, a torto o a ragione, una roccaforte della marina giapponese, definendola la “Gibilterra del Pacifico“. La posizione di Truk ne aveva fatto un eccellente centro di collegamento per lo smistamento degli armamenti e degli aerei che si spostavano dalle isole maggiori del Giappone fino al South Pacific Mandate, nella “Southern Resources Area” giapponese.
All’inizio del 1944, le forze americane ed australiane del generale Douglas MacArthur, nell’ambito dell’Operazione CARTWHEEL, erano risalite attraverso il Pacifico sud occidentale, conquistando molte basi giapponesi.
La Marina americana, il Corpo dei Marines e l’Esercito, sotto il comando dell’ammiraglio Chester W. Nimitz, avevano conquistato le isole più importanti delle isole Gilbert e Marshall, costruendovi numerose basi aeree, strategicamente importanti per annichilire le forze giapponesi. Di conseguenza, la Marina giapponese aveva dovuto arretrare la base della flotta prima alle isole di Palau e, poi verso l’Indonesia, dislocando le navi da guerra principali lontano da Truk. I Nipponici si resero conto che, a causa dell’andamento disastroso della guerra, l’atollo non poteva essere più mantenuto come base di supporto operativo per le loro forze.
Il 3 febbraio 1944 gli Americani occuparono le Isole Marshall ed i Giapponesi, dopo aver avvistato alcuni aerei da ricognizione americani, diedero ordine di trasferire alcune delle navi da guerra maggiori lontano dall’atollo. Il 17 febbraio 1944, la U.S. Navy iniziò l’operazione HAILSTONE, un attacco aereo e terrestre combinato con lo scopo di colpire le navi e gli aerei nipponici di stanza a Truk al fine di impedire un loro attacco contro la Task Force 58 del Vice Admiral Marc A. Mitscher (TF 58). L’atollo fu quindi attaccato con gli aerei delle portaerei, impiegando tre dei quattro Task Group (TG) della TF 58 che consisteva in cinque portaerei maggiori (Enterprise, Yorktown, Essex, Intrepid e Bunker Hill) e quattro portaerei leggere (Belleau Wood, Cabot, Monterey e Cowpens) per un totale di oltre 500 aerei.
Il supporto alle portaerei era fornito da sette corazzate e numerosi incrociatori pesanti, incrociatori leggeri, cacciatorpediniere e sommergibili. Una forza aeronavale, con gli occhi di oggi, spropositata ma che aveva lo scopo di essere certi di annichilire definitivamente le forze navali giapponesi.
L’attacco americano fu improvviso e non diede scampo ai Giapponesi
Nella prima ondata fu colpita solo su una delle navi in rada uccidendo 400 tra marinai e soldati giapponesi. Nel corso dei due giorni di bombardamenti continui, gli aerei americani affondarono nell’atollo circa 40 navi giapponesi e perirono circa 4.500 tra soldati e marinai nipponici.
Un dato, quello delle perdite, ancora controverso in quanto dopo la guerra le fonti delle due parti rivelarono numeri diversi. Sebbene vi siano ancora dubbi sulle navi giapponesi affondate nella battaglia, il Jeffery’s War Graves, Munition Dumps and Pleasure Grounds (2007) riporta queste unità navali.
NAVI DA BATTAGLIA AFFONDATE CL Katori (香取) 5,800 tons CL Naka (那珂) 5,195 tons DD Maikaze (舞風) 陽炎型 2,000 tons DD Fumizuki (文月) 睦月型 1,320 tons DD Oite (追風) 神風型 1,270 tons DD Tachikaze (太刀風) 峯風型 1,215 tons Submarine chaser CH-29, 440 tons Submarine chaser CH-24, 440 tons Auxiliary submarine chaser Shonan Maru #15 (第15昭南丸), 355 tons Motor torpedo boat #10, 85 tons |
NAVI AUSILIARIE AFFONDATE Auxiliary cruiser Aikoku Maru (爱国丸) 10,348 tons Auxiliary cruiser Akagi Maru (赤城丸) 7,367 tons Auxiliary cruiser Kiyosumi Maru (清澄丸) 6,983 tons Navy transport Houki Maru (伯耆丸) 7,112 tons Navy transport Yamagiri Maru (山霧丸) 7,112 tons Navy transport/freighter San Francisco Maru (桑港丸) 5,831 tons Navy transport Reiyo Maru (麗洋丸) 5,446 tons Navy transport Seiko Maru (西江丸)? 5,385 tons Navy transport/passenger/cargo ship Kensho Maru (乾祥丸) 4,862 tons Navy transport/freighter Hanakawa Maru (花川丸) 4,739 tons Navy transport/passenger/cargo ship Sankisan Maru o Yamakisan Maru (山鬼山丸) 4,776 tons Navy transport/freighter Hokuyo Maru (北洋丸) 4,217 tons Navy transport/freighter Momokawa Maru (桃川丸) 3,829 tons Navy water carrier/passenger/cargo ship Nippo Maru (日豊丸) 3,764 tons Navy transport/freighter Unkai Maru #6(第六雲海丸) 3,220 tons Navy transport Taiho Maru (大邦丸) 2,827 tons Navy transport/freighter Shotan Maru (松丹丸) 1,999 tons Navy transport/freighter Gosei Maru (五星丸) 1,931 tons Freighter Taikichi Maru or Tachi Maru (泰吉丸) 1,891 tons Army transport Gyoten Maru (暁天丸) 6,854 tons Army transport/freighter Nagano Maru (長野丸) 3,824 tons Army transport Yubae Maru (夕映丸) 3,217 tons Fleet oiler Shinkoku Maru (神国丸) 10,020 tons Oil tanker Fujisan Maru (富士山丸) 9,524 tons Auxiliary oil tanker/whaler Tonan Maru #3 (第三図南丸) 19,209 tons Auxiliary oil tanker Houyou Maru o Hoyo Maru (宝洋丸) 8,691 tons Auxiliary oil tanker/passenger/cargo ship Amagisan Maru (天城山丸) 7,620 tons |
Dalle analisi fotografiche si è certi dell’affondamento di due incrociatori leggeri, quattro cacciatorpediniere, nove navi ausiliarie e circa due dozzine di navi da carico; inoltre furono distrutti oltre 250 aerei giapponesi, di cui alcuni sono ancora visibili nei fondali dell’atollo.
Chuuk, Federated States of Micronesia (31 agosto 2008) Un elicottero MH-60S Sea Hawk, assegnato al Helicopter Combat Support Squadron (HCS) 21, durante l’esercitazione Pacific Partnership 2008 svolta con il governo degli stati federati della Micronesia e nazioni partner del Pacifico – autore della foto U.S. Navy Mass Communication Specialist di 3rd classe Michael C. Barton/Rilasciato) File:US Navy 080831-N-8878B-345 An MH-60S Sea Hawk helicopter flies over the waters of Micronesia.jpg – Wikimedia Commons
L’unica cosa certa è che, al termine dell’attacco, un gran silenzio avvolse la laguna ormai trasformatasi in un grande cimitero.
La riscoperta
L’operazione della marina statunitense fu un successo (e non poteva essere diverso considerando le forze impiegate). I Nipponici ricevettero un duro colpo, perdendo molte delle forze necessarie per resistere a quella che, ormai, consideravano prossima invasione del Giappone. Dopo la guerra l’atollo di Truk cadde nuovamente nel dimenticatoio ma il suo grande cimitero sommerso fu riscoperto nel 1969 da Jacques-Yves Cousteau che vi realizzò il drammatico documentario Lagoon of Lost Ships.
Il video mostra Cousteau e la sua squadra immergersi tra le lamiere contorte che ancor oggi conservano i miseri resti dei marinai periti negli attacchi aerei. Una laguna definita dei fantasmi, a seguito dei racconti dei sommozzatori dell’equipe, spesso affetti dagli narcosi durante le immersioni effettuate ad aria a grande profondità che ritrovarono numerosi scheletri tra le lamiere contorte. Solo a seguito del documentari di Cousteau, il governo giapponese iniziò la pietosa opera di recupero dei resti dei loro caduti per dare loro una sepoltura in patria. Dopo la visita della Calypso, la Truk Lagoon diventò un sito popolare per subacquei e ricercatori che ancora oggi vi si recano in visita da tutto il mondo.
In alcune delle navi è possibile vedere ancora le cause dell’affondamento: dagli squarci dei siluri lanciati dagli aerei americano agli effetti delle esplosioni dei depositi colpiti dalle bombe. Una nave, identificata come il Gosei Maru, presenta un’enorme apertura sul ponte che indica l’esplosione di una bomba di aereo. Non tutte le navi sono state identificate e ricercatori di tutto il mondo raccolgono sempre nuovi elementi per poter dare un giusto riconoscimento a quegli uomini che persero la vita in quelle oggi pacifiche acque. Il loro lavoro non è semplice e la difficoltà di riconoscere i relitti non è legata solo agli effetti del combattimento ma anche all’azione distruttiva che i relitti hanno subito in questi ultimi 70 anni da parte dei violenti tifoni del Pacifico. Alcune navi, riposando su basso fondale, a circa 18 metri di profondità, sono infatti particolarmente esposte al violento moto ondoso durante quelle tempeste tropicali. I visitatori non devono essere necessariamente dei subacquei. La bassa profondità e le acque cristalline consentono in alcuni casi di poter osservare i relitti delle navi e degli aerei abbattuti anche dalla superficie. Questi drammatici resti sono ormai colonizzati dalla vita marina e si ergono dal fondo, mostrando le loro fatiscenti strutture, abbellite da coralli e pesci tropicali, una sfida della vita contro la follia della guerra.
Andrea Mucedola
in anteprima: testimonianze della guerra: maschera a gas – foto di David Burdick – NOAA photo library Reef0838 File:Reef0838 – Flickr – NOAA Photo Library.jpg – Wikimedia Commons
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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