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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVI SECOLO
AREA: ARCHEOLOGIA
parole chiave: relitti, Vasco de Gama, Oman
I resti di due navi portoghesi dell’epoca di Vasco de Gama sono state ritrovate al largo dell’Oman. La scoperta proverebbe quanto citato nelle fonti storiche che raccontano la storia di due navi portoghesi che, nel maggio 1503, naufragarono al largo della costa nord-orientale di Al-Hallaniyah Island, Oman. In quel periodo storico le navi portoghesi di Vasco de Gama percorrevano la Carreira da India in un viaggio pericoloso nel quale i naufragi erano molto frequenti. E’ stato calcolato che ben 219 navi furono perse in mare tra battaglie e tempeste.
Oggi raccontiamo la storia di due naus portoghesi che scomparvero nell’Oceano Indiano nel primo Cinquecento (1503), l’Esmeralda ed il São Pedro; non navi qualunque ma parte di una squadriglia di cinque vascelli della flotta di Vasco da Gama. Ma non solo, queste navi erano comandate da due importanti e spietati comandanti, i fratelli Vicente e Brás Sodré, zii materni del grande navigatore. Una ricerca del secolo scorso, basata su molte fonti storiche, ipotizzò che la posizione più probabile dei relitti dei due naus si trovasse sulla costa settentrionale di Al-Hallaniyah, l’isola più grande delle isole Muriya, circa 25 miglia al largo della costa dell’Oman.
Sfondo storico
La storia di questa ricerca, pubblicata in un recente studio, ci porta indietro di secoli sulle vie marittime dell’oriente dove civiltà diverse si incontrarono e lottarono per la supremazia di quelle rotte. Prima di raccontare la storia del loro ritrovamento facciamo come sempre una breve premessa storica.
Nel 1502, ovvero quattro anni dopo la scoperta della rotta per l’India, Dom Vasco da Gama ricevette dal re Manuel I il titolo di Capitano Major. Il re lo incaricò di ritornare nell’Oceano Indiano per contrastare i mamelucchi dell’Egitto che controllavano il commercio delle spezie attraverso il Mar Rosso. Una missione pericolosa che necessitava di uomini fidati. Non a caso, delle venti navi al suo comando, cinque erano state affidate a parenti stretti di Vasco da Gama, tra cui i fratelli Sodrè che conosceremo meglio più avanti. Tra di essi il più importante era Vicente Sodré che, secondo il dettame reale, avrebbe assunto il ruolo di Capitano Maggiore nel caso di morte di de Gama. In particolare a Vicente Sodré, cavaliere dell’Ordine di Cristo, fu dato personalmente da Manuel I il comando di una squadriglia di cinque navi per “fare la guerra contro le navi della Mecca” lungo la costa di Malabar e l’ingresso al Mar Rosso. Lo scopo era di controllare con la forza il commercio delle spezie.
La nau, o nao, aveva una poppa alta e rotonda con castello di poppa, castello di prua e con un bompresso a prora. Era fornita di un albero di trinchetto e di un albero di maestra a vele quadre e di un albero di mezzana a vele latine (dette anche triangolari). Talvolta montavano un quarto albero detto di bonaventura. La grande innovazione di questo tipo di nave, che divenne in seguito protagonista dei viaggi oceanici, fu la forma e la struttura in seguito adottata dal futuro galeone, ovvero una caratteristica poppa piana e non rotonda come nelle navi precedenti. Il Nau portoghese era chiamato carraca dagli spagnoli (probabilmente derivato dal termine carrack inglese). Probabilmente fu ideato nei suoi tratti essenziali dai genovesi, che avevano sempre preferito usare, per i loro commerci, navi a vela d’alto mare di grandi dimensioni, a differenza dei veneziani che prediligevano le galee. – immagine Rappresentazione della nave Nau Belém guidata da Jorge de Mello Pereira al 9° Armada De India nel 1507, nel libro di Lisuarte de Abreu (1563) Nau Belém (1507).jpg – Wikimedia Commons |
Dopo che Vasco da Gama ritornò a Lisbona, all’inizio del 1503, a Sodré fu dato l’incarico di pattugliare le acque al largo della costa sud-occidentale dell’India per proteggere le fabbriche portoghesi ed i loro alleati a Cochin ed a Cannanore dagli attacchi di Zamorin, re hindu del regno di Calicut (Calcutta). Il compito non si limitava alla sorveglianza ma autorizzava Sodré a catturare le navi mercantili arabe dal Mar Rosso al Kerala. In altre parole ad agire da corsaro al soldo della corona portoghese. Non sembra che questo compito lo turbasse più di tanto visto che condusse una pirateria brutale, non risparmiando dopo il saccheggio i suoi avversari. Tra l’altro, secondo Pêro d’Ataide (1504), il capitano della terza nau della squadriglia, i fratelli Sodrè usavano mantenere la parte maggiore delle prede causando spesso discordie con gli altri comandanti ed equipaggi.
Nel mese di aprile del 1503, Sodré diresse la sua squadriglia alle isole Muriya, al largo della costa sud-orientale di Oman, per ripararsi dal monsone di sud-ovest e fare delle manutenzioni allo scafo di una delle Caravela.
Rimasero sulla più grande e unica isola abitata (ora conosciuta come Al Hallaniyah) per molte settimane e godettero di relazioni amichevoli con la popolazione araba indigena, incluso il baratto per il cibo e le provviste. A maggio i pescatori locali avvertirono i portoghesi di un imminente tempesta proveniente dal nord che avrebbe messo a rischio le loro navi all’ancora e suggerirono di spostarsi sul lato sottovento dell’isola.
La caravella (in portoghese caravela) fu un tipo di nave in legno introdotta nel 1430 dai portoghesi, presumibilmente nei cantieri navali di Lisbona. La caravella era un’imbarcazione più piccola della caracca ma più robusta e veloce. Attrezzata con due o tre alberi dotati di vele quadre (caravella redonda) o vele triangolari (caravella latina), era adatta a traversate di lunga durata grazie alla solidità e manovrabilità. I primi modelli di caravelle avevano una stazza di circa 60 tonnellate ma furono anche realizzati esemplari di 240 tonnellate. La lunghezza era tra i 18 e 27 metri. – immagine da Lições de história marítima geral by Eça, Vicente Almeida d’, 1852-1929 Publication date 1895 – autore anonimo Caravela portugueza do seculo xv.jpg – Wikimedia Commons |
Confidenti che le ancore di ferro dei loro Nau potessero tenere a forti venti, i fratelli Sodrè, insieme con Pêro de Ataíde, restarono nella rada settentrionale, mentre le caravelle più piccole si spostarono sull’altro lato dell’isola. Quando arrivarono i venti, il potente moto ondoso strappò le navi dei fratelli Sodré dai loro ormeggi e li spinse con forza contro la costa rocciosa. Mentre la maggior parte degli uomini sul São Pedro sopravvisse arrampicandosi sull’albero caduto raggiungendo la terra ferma, l’Esmeralda, con il suo comandante Vicente Sodré, trovarono la morte nelle acque della baia.
La ricerca archeologica
La baia di Ghubbat ar Rahib è un ancoraggio naturale al largo della costa nord-orientale dell’isola Al Hallaniyah. Grandi ancore di pietra scoperte nella baia indicano che fu utilizzato in passato come ancoraggio per molte navi. La baia si estende per circa 3,8 km da Ra’s al Hallaniyah, fino alla scogliera calcarea erosa dal vento che si proietta verso nord, fino a Ra’s Sayyir, la bassa estremità orientale dell’isola. Grazie alla sua posizione in combinazione con l’altezza di Ra’s at Hallaniyah (501 m) e altre cime interne dell’isola che salgono a 503 m, la baia offre un riparo naturale dai venti da SE a S, a NW ma è completamente esposta a N-NE. Nel 1998 una prima spedizione di due ricercatori, autorizzata dal governo dell’Oman, si recò sull’isola per ricercare i relitti portando con se solo dei metal detector portatili. Dopo una ricerca dell’ancoraggio si trasferirono a Ghubbat ar Rahib Bay dove identificarono un sito che aveva tutte le caratteristiche geografiche descritte nelle fonti. Durante una breve ricerca sui bassi fondali, più di 20 palle di cannone di pietra furono trovate sul fondale, tra strisce di sabbia e canaloni rocciosi.
Il sito fu rivisitato alla fine del 1998 per condurre una ricognizione più dettagliata della baia, lungo i calanchi ed effettuarono i primi scavi di prova. Furono scoperti i primi proietti di pietra di forma rotonda scolpiti con le lettere “VS”. Successive indagini con un metal detector portatile portarono alla scoperta di uno scandaglio, un piatto di stagno frammentato ed un disco forato. Nell’aprile 2013 fu firmato un accordo con l’MHC, l’organo ufficiale del governo omanita responsabile per la protezione del patrimonio culturale subacqueo, per condurre un progetto di recupero. Le indagini iniziarono con la ricerca di due relitti già noti. Il primo era un piroscafo britannico da carico di 6600 tonnellate, la ”città di Winchester”, che era stato catturato allo scoppio della prima guerra mondiale dalla marina imperiale tedesca e poi affondato dopo averlo depredato delle 400 tonnellate di carbone contenute a bordo. Il relitto fu identificato al centro della baia, a circa 1300 m dalla costa, ad una profondità di 28 m. Il secondo è il relitto di una nave da carico di 750 tonnellate, Al Quasmi, che si arenò nel 1999 nella baia. Tutto ciò che rimane di questa nave sono alcune sezioni dello scafo in ferro lungo la costa rocciosa e nelle acque bassa. Un’indagine geofisica ad alta risoluzione della zona di ancoraggio fu condotta per investigare le anomalie acustiche utilizzando un side scan sonar (Edgetech 4125; 400/900 kHz), un magnetometro (Geometrics G822), un ecoscandaglio (Garmin 240) ed apparecchiature per il posizionamento GPS sub-meter (C-Nav 3050). La risoluzione e le condizioni consentirono di rilevare oggetti sul fondo marino di soli 10 cm ed anomalie magnetiche di un nano Tesla. Tutte le anomalie furono poi investigate dagli archeologi subacquei con magnetometri portatili e metal detector. Il MHC decise che tutti i manufatti ritrovati dovevano essere recuperati e, fra di essi, una campana di nave e 38 palle di cannone di pietra di varie dimensioni.
La seconda spedizione fu svolta tra aprile e maggio del 2014 con l’obiettivo principale di scavare il sito del relitto in prossimità della base rocciosa. Questo richiese l’asportazione di 950 metri cubi di sabbia. In un periodo di 22 giorni, quasi il 40% del sito fu scavato con successo, portando al recupero di numerosi manufatti risalenti al XVI secolo ed alle due navi scomparse, ma dei risultati dello scavo parleremo nel prossimo articolo.
In anteprima copia del planisfero Cantino, completato nel 1502 da un cartografo portoghese sconosciuto, uno dei documenti cartografici più preziosi di tutti i tempi. Descrive il mondo, come è diventato noto agli europei dopo i grandi viaggi di esplorazione alla fine del XV e all’inizio del XVI secolo nelle Americhe, in Africa e in India. Ora è conservato nella Biblioteca Universitaria Estese, Modena, Italia
Cantino planisphere (1502).jpg – Wikimedia Commons
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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