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livello elementare.
ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: US program Victory, Liberty
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Nel 1943, dopo il successo del programma Liberty che aveva invertito il trend dei rifornimenti attraverso l’Atlantico, la U.S. Maritime Commission valutò appieno non solo le esigenze di tutti i teatri, cominciando a dare priorità al Pacifico, ma anche le prospettive a medio/lungo termine e non solo quelle a breve termine che avevano imposto il programma Liberty: venne pertanto avviato, sempre nell’ottica della cosiddetta “flotta di emergenza”, un nuovo programma per la progettazione di un tipo di nave che avesse una buona capacità di carico e una velocità piuttosto elevata, utile per la fase finale per la guerra, indispensabile per la domanda e lo sviluppo dei traffici nel dopoguerra.
L’obiettivo era anche quello del rimpiazzo dei Liberty che, con i loro 11 nodi di velocità massima, erano già state considerate vulnerabili rispetto ai sommergibili nemici della prima fase della guerra ed erano un facile bersaglio per i nuovi sottomarini. Il progetto standard studiato dalla Commissione prevedeva una nave lunga 136 metri e larga 19 metri.
Il 28 aprile 1943 il progetto fu approvato; a questa classe di navi venne dato il nome di “Victory” e fu contrassegnata dalla sigla VC2, (V per Victory, C per cargo e il numero 2 la identificava per una nave di medie dimensioni, ovvero con una lunghezza al galleggiamento compresa tra 122 e 137 metri).
Anche i Victory come le Liberty avevano cinque stive: tre a proravia del cassero centrale e due a poppavia. La portata era di 10.850 tonnellate di merci tutte sistemate nelle stive, quasi analoga a quella dei Liberty, ma molto più razionale. L’equipaggio era formato da 62 civili e 28 militari, questi ultimi addetti alle armi ed alle telecomunicazioni. Gli alloggi erano situati nel cassero centrale.
La differenza principale rispetto ai Liberty era costituita dal sistema di propulsione: le turbine a vapore sostituivano la motrice alternativa a vapore (come nei piani originali tanto cari all’Ammiraglio Land), anche se su alcune delle prime unità vennero provati diversi tipi di apparato motore, con il risultato di una unità con propulsione diesel ed un’altra almeno temporalmente con macchina alternativa di prestazioni elevate (tipo Lentz).
La propulsione a turbina alla fine prescelta assicurava una velocità di circa 17 nodi (31,5 Km/h). Anche il profilo e le tecniche costruttive dei Victory erano diversi da quelle dei Liberty. Una modifica importante riguardava la progettazione dell’ossatura dello scafo.
Durante la guerra ne furono costruiti 414 esemplari, di cui 97 adibiti a trasporto truppe ed ulteriori 117 come trasporti di attacco, AKA; un totale di 531 navi. Grazie alle Victory fu possibile stabilire un efficiente collegamento marittimo con e tra i vari teatri di guerra e queste navi veloci, caratterizzate da una soddisfacente possibilità di carico, furono ampiamente utilizzate sia sul fronte dell’Atlantico che su quello del Pacifico.
Non solo per rendere le Victory meno vulnerabili agli attacchi degli U-Boot, ma anche per mantenere adeguati flussi di merci su più lunghe distanze con un numero minore di unità, le stesse vennero progettate per raggiungere velocità prima di 15 e poi di 17 nodi, ossia da 4 a 6 nodi più veloci delle Liberty, con maggiore autonomia. Mentre le Liberty erano propulse da motrici a triplice espansione da 2.500 cavalli (1.900 kW), le Victory erano propulse (salvo due eccezioni sperimentali) da turbine a vapore con potenze da 6.000 a 8.500 HP (4.500 a 6.300 kW) e gli ausiliari di bordo erano ad azionamento elettrico anziché a vapore. Un miglioramento tecnologico ed operativo ma anche maggior costo di acquisizione e conduzione più costosa e complessa, con necessità di equipaggi più preparati.
Alla fine della guerra, la Maritime Commission autorizzò la vendita di 170 Victory ad armatori privati; 20 furono dati in prestito alla U.S. Army ed i restanti entrarono a far parte della flotta di riserva. Quando la U.S. Navy ritenne di non necessitare più di queste navi nel breve/medio termine, pur rimanendo possibile il loro utilizzo per future emergenze, esse furono poste “in naftalina”, ossia rimorchiate in porti di stoccaggio, generalmente estuari di acqua dolce e salmastra per limitare la corrosione catodica (come nella foto a conclusione), svuotate di combustibile ed attrezzature, e sigillate tutte le aperture verso l’esterno. Per combattere la corrosione provocata dalla salsedine fu installato un sistema di protezione catodica per lo scafo e di deumidificazione per gli spazi interni.
Alcune di queste navi ritornarono in servizio in occasione di crisi internazionali, come la Guerra di Corea, la chiusura del Canale di Suez del 1956 e la guerra del Vietnam. Altre furono mantenute in attività come supporto logistico al Ministero della Difesa, per qualsiasi necessità di trasporti transoceanici e operazioni militari di altre agenzie governative.
Nel 1959, otto Victory furono riclassificate e trasformate in navi di supporto elettronico, telemetrico e recupero per la NASA a fronte del programma spaziale americano.
L’11 agosto 1960, l’Haiti Victory recuperò la capsula del satellite artificiale Discoverer XIII, il primo oggetto costruito dall’Uomo ad essere recuperato dallo spazio. Nel novembre dello stesso anno fu ribattezzato Longview, divenendo l’eponimo di una nuova classe di navi, composta da altre due Victory, continuando a dare supporto al programma spaziale oltre ad assolvere una serie di attività scientifiche in campo missilistico per conto della U.S. Air Force.
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Ufficiale del Genio Navale della Marina Militare Italiana in congedo, nei suoi anni di servizio è stato destinato a bordo di unità di superficie, con diversi tipi di apparato motore, Diesel, Vapore, TAG. Transitato all’industria nazionale ha svolto incarichi di responsabilità per le costruzioni della prima legge navale diventando promotore delle Mostre Navali Italiane. Ha occupato posizioni dirigenziali sia nel settore impiantistico che delle grandi opere e dell’industria automobilistica, occupandosi della diversificazione produttiva e dei progetti di decarbonizzazione, con il passaggio alle motorizzazioni GNV.
E’ stato membro dei CdA di alcune importanti JV internazionali nei settori metallurgico, infrastrutturale ed automotive ed è stato chiamato a far parte di commissioni specialistiche da parte di organismi internazionali, tra cui rilevanti quelle in materia di disaster management. Giornalista iscritto all’OdG nazionale dal 1982, ha collaborato con periodici e quotidiani, ed è stato direttore responsabile di quotidiani ricoprendo incarichi di vertice in società editoriali. Membro di alcuni Think Tank geopolitici, collabora con quotidiani soprattutto per corrispondenze all’estero, pubblica on line su testate del settore marittimo e navale italiane ed internazionali. Non ultimo ha pubblicato una serie di pregevoli saggi sull’evoluzione tecnologica e militare sino alla 2^ Guerra Mondiale, in particolare della Regia Marina, pubblicati da Academia.edu.
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