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livello elementare
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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: computer, algoritmi
Mi sono deciso a scrivere questo articolo, piuttosto insolito rispetto al mio stile consueto, dopo aver partecipato ad una animata discussione con alcuni colleghi subacquei. Il tema è il solito, l’impiego dei computer subacquei, e forse dovrei specificare la loro presunta inutilità o avversione di alcuni verso i computer subacquei.
“Ebbene si, lo confesso sommessamente: faccio uso del computer subacqueo”. “Quante volte figliolo?” “Ad ogni immersione Padre….”. “Sei sinceramente pentito?” – “Beh si, ma è più forte di me, non riesco a dominarmi e ogni volta cedo alla tentazione … ” … e giù penitenze … |
Computer si computer no
Questa sincera e ingenua confessione mi ha messo all’angolo, e ho dovuto provare a discolparmi. Ero sinceramente incuriosito circa le ragioni, che a me evidentemente sfuggono, delle avversioni più radicali. Mi aspettavo, vista la veemenza delle convinzioni espresse, che tali certezze fossero supportate da evidenze chiare, documentate e inoppugnabili. Ma da parte di alcuni non ho trovato molta disponibilità al confronto, piuttosto invece un certo dogmatismo e un atteggiamento elusivo, fatto in parte di sufficienza e in parte di insofferenza. Un vero e proprio fastidio nell’essere stimolati a fornire dati, statistiche, ragionare sui numeri, a supporto delle proprie convinzioni. E proprio tra i più convinti avversari della macchina ho trovato i meno attrezzati a spiegare le proprie ragioni. Tra di loro, in alcuni casi, subacquei espertissimi con migliaia di immersioni al proprio attivo, spesso a profondità da record.
Ma purtroppo quando si parla di questioni tecnico-scientifiche non ci sono scorciatoie. Occorre dare spazio alla forza dei numeri, e applicare il rigore metodologico che ci ha insegnato un grande scienziato italiano, Galileo Galilei. Come giustamente ha detto qualcuno, la scienza non è democratica e applicare il suo metodo, si badi bene, non significa giungere per forza a verità assolute e immodificabili per l’eternità ma obbedire ad un procedimento che ci dia modo di giungere a conclusioni che sono vere “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Sembra una frase sibillina ma è il fondamento della verità scientifica, che è una cosa un pò più complicata della semplice verità |
Ma andiamo con ordine e torniamo al cuore della discussione: l’avversione per i computer subacquei.
Le prese di posizione sui computer subacquei più frequenti sono le seguenti:
• sono una presa in giro, costosi giocattoli per neo-brevettati;
• pieni di gadget inutili che servono solo a giustificarne il prezzo elevato;
• sono rigidi, non ragionano, non si adeguano alle situazioni;
• forniscono dati totalmente discordanti tra loro per immersioni identiche;
• come possono fornire dati validi per ciascun subacqueo, più o meno esperto, più o meno in forma, più o meno preparato, etc.?
• sono troppo conservativi, mi fanno sopportare decompressioni assurdamente lunghe senza alcun motivo…
• sono macchine, quindi si rompono, possono guastarsi e fornire dati errati….
• non gli ho mai dato retta ed ho sempre utilizzato questa o quella metodologia empirica, o dettata dall’esperienza personale, senza aver mai avuto incidenti, quindi … sono nel giusto.
Proviamo a vederci un pò più chiaro
Partiamo dal principio che il cuore del computer subacqueo è il programma decompressivo utilizzato. Il suo compito è quello di stimare più o meno fedelmente la quantità di gas inerte assorbito dal corpo umano in ambiente iperbarico, ovvero in immersione, e raffrontare in tempo reale questo dato con un limite che a sua volta evolve in funzione della pressione ambiente e del tempo trascorso in immersione. L’esito di questa verifica determina, istante per istante, il comportamento da seguire per condurre un’immersione in sicurezza.
C’è un dato di fondo che non dobbiamo dimenticare: un subacqueo può subire incidenti embolici anche se obbedisce rigorosamente alle proprie tabelle di immersione o ad un computer subacqueo. Questi incidenti, cosiddetti “immeritati”, sono statisticamente molto rari ma divengono comunque meno infrequenti all’aumentare della profondità dell’immersione o del tempo totale di decompressione. Questo ci fa intuire che la teoria decompressiva, che sta alla base di computer e tabelle, non sia perfetta, o comunque non al punto di riuscire a governare le moltissime variabili del problema. Ma anche che: “ogni organismo è un “unicum”, e la modellizzazione approssimata delle teorie decompressive deve obbligatoriamente portare a trascurare le peculiarità legate a ciascun soggetto“.
Per limitare questa variabilità e ridurre comunque la possibilità che accadano incidenti, ogni computer è reso piuttosto conservativo, introducendo nell’algoritmo decompressivo scelto, qualunque esso sia, dei criteri di riduzione del massimo gradiente di inerte tollerabile, validi anche quando nessun fattore di conservativismo è impostato dal subacqueo che lo sta usando. In questo modo le ditte costruttrici evitano guai e vengono incontro alla forte esigenza di sicurezza da parte della stragrande maggioranza dei subacquei che eseguono immersioni ricreative, ovvero entro curva di sicurezza o poco oltre, e a profondità raramente superiori ai 30-40 metri.
Nei computer subacquei, vista la grande ed eterogenea platea alla quale sono dedicati, prevale largamente l’esigenza di garantire la sicurezza |
Premesso tutto questo, proviamo ad analizzare adesso le tesi a discredito elencate in precedenza, nel medesimo ordine.
I computer sono una presa in giro, costosi giocattoli per neo-brevettati
Parliamo certamente di dispositivi costosi, ma modelli molto più performanti di quelli di qualche anno fa sono ormai piuttosto a buon mercato. Offrono ormai quasi tutti la possibilità di utilizzare miscele nitrox, e calcolano le famose tappe profonde. Buona parte del costo non è dovuto all’elettronica, ma all’esigenza di affidabilità e di funzionamento fino a pressioni elevate. Chi non ha pretese di grandi profondità, ovvero la stragrande maggioranza degli utenti, apprezzerà la sicurezza che i computer riescono a garantire pur avendo un “no-deco limit” alle varie profondità non particolarmente esteso. In ogni caso, se uno strumento è considerato essenziale ai fini della sicurezza, non è su di esso che bisogna cercare di risparmiare.
I computer sono pieni di gadget inutili che servono solo a giustificarne il prezzo elevato
Questa critica è piuttosto fondata, anche se si tratta di una tendenza che si riscontra in tutti gli strumenti elettronici di largo consumo. Riguarda cellulari, orologi, fotocamere, palmari, tablet, le cui case costruttrici basano il proprio modello di business proprio sulla continua disponibilità di innovazioni che a prima vista (ma anche dopo attenta riflessione) possono rivelarsi non proprio indispensabili o voluttuarie. Ma questi stimoli sono sufficienti a sostenere le vendite. Stessa cosa vale (aggiungo purtroppo) per i computer subacquei. Dico purtroppo perché molti extra-gadget rischiano di rivelarsi distrattivi in uno strumento di immersione, e potrebbero portare confusione in caso di emergenza.
Disporre di troppi dati nel display è controindicato come averne troppo pochi, troppe funzioni non essenziali riducono la concentrazione, e obbligano a ricordare modalità operative non essenziali |
Alcune funzioni tipicamente di superficie e di configurazione sono ormai disponibili anche in immersione e, con le dovute eccezioni, non mi pare un passo avanti. Come detto, più che a giustificarne il prezzo, esse servono a sostenere le vendite. Pur trovando quindi la critica fondata, questa non rende certo il computer uno strumento inutile.
I computer sono rigidi, non si adeguano con flessibilità alle situazioni operative
Questa è una delle tesi maggiormente condivise ma che, a mio avviso, ha meno riscontri oggettivi. In questo caso ha un ruolo la psicologia e l’orgoglio dell’essere umano rispetto alla macchina. C’è chi non accetta di buon grado di obbedire ad un computer, specialmente se sente di essere un veterano delle grandi profondità, che ha sempre saputo cavarsela anche in situazioni estreme. Riluttante comunque nel bocciare definitivamente il computer, si accontenta di avversarlo facendo leva sulla caratteristica comunemente ritenuta più tipica di una macchina: la rigidità.
In realtà gli attuali computer subacquei hanno una elasticità che non ha precedenti |
Sanno aggiornare dinamicamente il proprio livello di conservatività in base a molti fattori che aumentano il rischio: il comportamento del subacqueo in immersione, la temperatura, tratti di risalita con eccessiva velocità, immersioni multiday, l’intervallo di superficie osservato, la successione delle profondità massime in immersioni ripetitive, l’introduzione di tappe profonde in funzione del profilo eseguito. Proviamo a domandarci se qualcuno ha mai avuto riscontro di un incidente capitato a causa della “rigidità” del computer. Comunque, sul tema sicurezza, un minimo di rigidità è una garanzia: saltare una tappa che il computer reputa obbligatoria non è un comportamento flessibile, ma irresponsabile.
I computer forniscono dati totalmente discordanti tra loro per immersioni identiche
Eccoci ad una critica fondata, almeno in apparenza. “Ho fatto una immersione con il mio compagno, abbiamo raggiunto la stessa profondità, siamo stati sempre vicini, perché a lui basta la tappa di sicurezza mentre il computer mi obbliga a 10 minuti di deco?” A chi non è capitato di dire, o sentir dire, una cosa del genere?
Parliamo quindi di due computer che “divergono” ovvero sembrano fornire un output molto diverso a fronte di un input simile.
Qui bisogna distinguere i casi con una certa cura |
Questo fenomeno è marginale per immersioni con un tempo di fondo limitato, mentre è obbiettivamente più marcato per immersioni profonde e con tempo di fondo maggiore, che genera una fase decompressiva consistente. Perché? La risposta la leggeremo presto nella seconda parte di questo articolo.
A presto.
Luca Cicali
photo credit @andrea mucedola
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