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livello elementare
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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: ODIERNO
AREA: TECNOLOGIA
parole chiave: sicurezza dell’immersione, computer subacquei, modelli
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Il computer subacqueo, uno strumento superfluo, utile, indispensabile o solo di moda? Luca Cicali prosegue la sua analisi con alcune valutazioni che vanno oltre il problema.
Qual è il segreto di tanta popolarità?
Premesso che la stragrande maggioranza dei computer odierni utilizza il modelli haldaneani, in particolare il modello di Bühlmann o le sue varianti e adattamenti successivi, come si arrivò a queste implementazioni?
Possiamo dire che la chiave del successo fu in un libro che Bühlmann pubblicò per la prima volta in lingua tedesca nel 1983 con il titolo “Decompression Sikness”; un vero e proprio manuale operativo del modello, risultato determinante per il rapido sviluppo di computer subacquei, vista la relativa semplicità di implementazione dell’algoritmo decompressivo tramite un programma software per computer.
Basta infatti definire il numero di compartimenti ed i loro emitempi, e le formule messe a punto da Bühlmann forniscono direttamente i parametri generatori dei valori di sovrasaturazione massima (i famosi parametri a e b con i quali giungere ai valori M). Occasione troppo ghiotta per non sfruttarla industrialmente e sviluppare velocemente il mercato dei computer subacquei.
Questa caratteristica ha inoltre consentito di sviluppare celermente macchine affidabili e che ormai hanno subito un numero di test al polso di subacquei di tutto il mondo che rende arduo e spesso antieconomico tentare approcci diversi anche se promettenti. E si tratta di macchine nella stragrande maggioranza dei casi molto conservative.
L’intento è ovvio da parte delle ditte costruttrici: non avere grane, fornendo uno strumento a prova di inesperto, che copra le molte variabili in gioco compreso qualche comportamento al limite, e che garantisca la sicurezza nella pur grande variabilità di situazioni operative, del livello dell’utente in termini di preparazione, età, stato di salute, stress, allenamento, etc…
Inizialmente è stato implementato nei computer subacquei l’algoritmo originario di Bühlmann a 16 compartimenti, detto ZH-L16, nella variante “C” dedicata dal professore di Zurigo ai computer subacquei. Successivamente si è sentita l’esigenza di tener conto di condizioni ambientali e comportamentali al fine di aumentare la sicurezza. In particolare nei computer Uwatech gli algoritmi ZH-8 ADT, (adattativo) ad 8 compartimenti, e ZH-L8 ADT MB che tengono conto di temperatura, sforzo fisico e eccessiva velocità di risalita, e altri fattori, e infine il ZH-L8 ADT MB che tiene in conto lo sviluppo di microbolle. (proprio la sigla ZH di questi modelli rivela che c’è sempre lo zampino di Bühlmann …). Questo sforzo conferire adattività all’algoritmo è testimoniato anche all’avvento dei vari modelli RGBM, in particolare quello a 9 compartimenti sviluppato dal fisico americano Bruce Wienke, e implementato nei computer Suunto e Mares. Tuttavia, malgrado l’RGBM sia un vero modello a doppia fase (detto anche a bolle) non è il caso di queste implementazioni per computer subacqueo, che non fanno in realtà che modulare ed accrescere la conservatività del modello haldaneano, tramite soste aggiuntive o prolungamento di quelle esistenti, al fine di gestire comportamenti non perfetta-mente conformi ai criteri di sicurezza o condizioni ambientali meno favorevoli, o immersioni multiday.
Oltre a ciò sono state aggiunte le famose deep stop, calcolabili con modalità fisse o stabilite in funzione del profilo osservato. Particolarmente interessante l’algoritmo RGBM Suunto Fused 2 (Wienke) che implementa un RGBM “fittizio” affiancato ad un RGBM vero e proprio (ovvero a bolle) che “entra in gioco” autonomamente a profondità impegnative, e costituisce una specie di algoritmo ponte tra i due tipi di modelli.
Abbiamo in questo modo menzionato la quasi totalità degli algoritmi in circolazione, rivelando quindi una quasi uniforme aderenza ai modelli di Bühlmann, con varianti e criteri adattativi. In pratica ci troviamo di fronte a modelli molto simili che definirei semplicemente a “conservatività variabile”. Per completezza aggiungiamo che ci sono computer, pochi per la verità, che implementano veri modelli a doppia fase, (modelli a bolle), sia VPM-B che RGBM; sono in molti casi algoritmi personalizzabili e dedicati a computer per profondisti e subacquei tecnici ma che naturalmente non sono indirizzati alla stragrande maggioranza di subacquei sportivi e ricreativi.
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Quale è la morale di questo esercizio?
Una e semplice: ci conviene forse abbandonare le guerre di religione sugli algoritmi dei computer e le certezze granitiche circa la supremazia di questo o quel computer sugli altri. Ci troviamo di fronte a macchine molto simili, molto affidabili, molto versatili e comode, sicure, conservative, che si differenziano in sostanza molto poco e soprattutto per caratteristiche accessorie, non a caso le uniche sulle quali in sostanza basiamo di fatto i confronti. Vorrei dire, facendomi forse dei nemici, che probabilmente nella scelta di un computer subacqueo, salvo il caso di specialisti delle alte profondità, il colore, l’estetica e i caratteri usati nel display sono forse gli elementi più validi per fare una scelta.
In realtà il computer subacqueo è ormai diventato uno strumento vincente nell’immersione sportiva, soppiantando nelle immersioni entro la curva di sicurezza le tabelle di decompressione.
Tutti i test comparativi relativi ad incidenti embolici, effettuati su un elevato numero di immersioni con uso di tabelle o computer subacqueo, fanno pendere nettamente l’ago della bilancia a favore del computer, ed in questo risultato l’eliminazione della possibilità dell’errore umano ha un peso determinante. La diffusione del computer è ormai tale che è persino diventato difficile trovare qualcuno che ricordi ancora come si utilizzano le tabelle. Ecco però nascere e farsi strada un atteggiamento opposto: il rifiuto della tecnologia, lentamente ma costantemente crescente negli ultimi tempi, in particolare da parte di subacquei esperti. Si fa strada una certa sufficienza e sospetto da parte di alcuni, i quali vedono nell’utilizzo del computer subacqueo un limite all’autonomia decisionale del subacqueo in immersione. Essi rivendicano in un certo senso la supremazia dell’uomo sulla macchina, alla quale non si vorrebbe delegare tutto il potere decisionale.
Le riserve più frequenti riguardano la rigidità degli algoritmi, l’incapacità del computer di interpretare al meglio situazioni anomale, la possibilità di guastarsi, i criteri non chiari su vari dettagli dell’algoritmo utilizzato, etc. Molti li considerano inaccettabilmente conservativi anche con il settaggio di base, evidentemente questa convinzione si matura paragonandone il comportamento con il computer del collega. Ma chi stabilisce che sia proprio computer ad essere troppo conservativo e non l’altro ad esserlo troppo poco?
Ci vorrebbe un test comparativo basato su migliaia di casi per trarre delle conclusioni scientificamente e statisticamente valide. Altri giudicano inattendibili i dati forniti dal computer subacqueo poiché modelli diversi possono fornire durate molto diverse di soste decompressive per immersioni simili. Anche qui però non facciamo altro che mettere a confronto caratteristiche di conservatività, che per soste vicine alla superficie possono effettivamente divergere, senza poter considerare questo o quel computer migliore o uno dei due inattendibile.
In sostanza credo che si tratti di un atteggiamento non basato su dati oggettivi, anche se naturalmente da prendere in seria considerazione. Temo sia però troppo vicino ad un revival di luddismo, sempre più strisciante purtroppo nel mondo moderno, che ha necessità di affidarsi all’automazione in modo sempre più spinto e pervasivo, in ogni aspetto della vita. Forse chi è molto diffidente nei confronti del computer subacqueo, o decisamente contrario, ha altre motivazioni anche di tipo psicologico; probabilmente si sente in qualche modo sminuito nella propria capacità ed esperienza operativa di subacqueo esperto. Tanto è vero che si dice spesso pronto ad accettare il computer ma solo interpretando le decisioni che esso prende e accettandole solo se ritenute convincenti.
Ma in base a quale principio guida possiamo elaborare una strategia decompressiva in tempo reale migliore di quella di un computer?
Non so e, malgrado il mio impegno, non riesco a trovare qualcuno che me lo spieghi in modo convincente. Mi sembra facciano parte di questo filone critico anche parte degli appassionati di Ratio Deco o decompressione mnemonica.
Intendiamoci. Non sostengo che l’adozione di questa strategia decompressiva sia sbagliata o inutile, ma penso che NON sia alternativa al computer subacqueo.
Serve ad essere subacquei più preparati, coscienziosi, esperti, a meglio interpretare il profilo suggerito dal computer, ma NON a sostituirlo … e credo ancor meno ad applicare un algoritmo più sicuro. Questo perché, se fosse provatamente vero, i criteri seguiti a memoria sarebbero facilmente implementabili in un computer.
In articoli molto interessanti, che parlano dei sistemi mnemonici, trovo ricorrente l’aggettivo “olistico”, riferito allo specifico metodo di addestramento necessario per utilizzarli al meglio all’interno di un gruppo di sub in immersione. Un simile team di subacquei che applica nel suo insieme i criteri della Ratio Deco, vede il computer subacqueo come un elemento di disturbo. In pratica esso è considerato uno strumento dedicato singolarmente al sub che lo indossa, in pratica “incapace di interagire” con il gruppo che segue nel suo insieme una certa strategia decompressiva.
Ognuno può farsi la propria idea e approfondire questo tema interessantissimo, da parte mia credo che il computer subacqueo abbia spalancato le porte alla grande espansione delle attività subacquee dagli anni novanta ad oggi consentendo nello stesso tempo livelli di sicurezza mai raggiunti prima. Sicuramente ha ridotto la consapevolezza circa i fenomeni decompressivi, la capacità di pianificare le immersioni, lo spirito critico. Ma sono cose che un subacqueo veramente appassionato può facilmente recuperare.
Luca Cicali
testo Luca Cicali – photo credit @andrea mucedola
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