livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Malta, battaglia dei convogli
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Eccoci alla seconda parte della ricerca effettuata da Gianluca Bertozzi. L’autore oggi tratta l’importanza di Malta nello scacchiere mediterraneo e la sua effettiva influenza sul controllo del traffico dei convogli. Buona lettura.
La posizione di Malta permise indubbiamente di logorare il traffico italiano anche se non si può affermare che l’isola fu il punto chiave di tutta la guerra del Mediterraneo.
La presenza di Malta fu un condizionamento assai serio nella condotta delle operazioni navali italiane ma, malgrado i gravi danni che i reparti aeronavali alleati inflissero ai convogli dell’Asse verso il nord africa, va sottolineato che questa influenza, nella prima parte del conflitto, non fu pesante e, successivamente, fu solo saltuaria.

il raggio di azione dei velivoli alleati da Malta da Chapter 14, Playfair, I.S.O. (1956). The Mediterranean and Middle East: “The Germans come to the Help of their Ally” (1941). HISTORY OF THE SECOND WORLD WAR. II. London: Her Majesty’s Stationery Office
Fino ad aprile 1941 Malta non influì sui rifornimenti diretti in Libia. Fu solo dopo quella data che la situazione cominciò a cambiare. In particolare questa fase si concluse già il 19 dicembre 1941 quando gli incrociatori della Forza K alleata finirono su un banco di mine italiane. Le navi si imbatterono in un campo minato mentre inseguivano un convoglio italiano e le mine affondarono il HMS Neptune e danneggiarono l’HMS Aurora. Il cacciatorpediniere HMS Kandahar fu a sua volta vittima di una mina durante il tentativo di assistere il Neptune e dovette essere affondato il giorno successivo dal cacciatorpediniere HMS Jaguar. Questo comportò pesanti perdite umane e, alla ripresa del bombardamento aereo di Malta, le navi di superficie alleate rimanenti vennero ritirate dalla Forza K.

convoglio italiano in rientro scortato da velivoli italiani (S79)
Successivamente, fino a giugno 1942, quasi tutto quello che partì dall’Italia arrivò a destinazione. Fu il periodo migliore dell’intera nostra guerra. Si può quindi dire che nei due anni che vanno dal giugno 1940 al giugno 1942 Malta ebbe un’alta pericolosità per i nostri convogli solo per una settantina di giorni.
Nell’estate 1942 l’offensiva italo-germanica portò il fronte sino ad El Alamein. La conseguenza sul traffico marittimo fu lo spostamento delle rotte verso levante e il centro strategico della guerra navale, che aveva gravitato sino ad allora attorno a Malta, si spostò verso oriente orientale. In quel periodo le rotte dei convogli passavano distanti da Malta: navigavano sotto le coste greche, per sbucare poi nel Mediterraneo orientale. In quel periodo Malta fu fuori causa: chi operava contro il nostro traffico erano gli aerei delle basi egiziane, di Haifa, di Cipro ed i sommergibili che provenivano dall’Egitto, dalla Palestina, o addirittura da Gibilterra.
In pratica l’isola, come già accennato, non rappresentò il punto cruciale della guerra africana ma solo un ostacolo serio al trasporto di materiali bellici in Libia, che col senno del poi sarebbe potuto essere neutralizzato in vari periodi di guerra. Si può anche dire che l’invasione di Malta non sarebbe stata necessaria qualora la situazione geostrategica fosse stata sfruttata con l’impiego di mezzi adatti. Per cui non può essere considerata, come spesso si legge, come una delle ragioni della sconfitta del Paese.
In sintesi:
Malta non era in alcun modo autosufficiente, dipendeva per vivere ed operare dai rifornimenti dall’esterno; ma perché tali rifornimenti vi giungessero era necessario che si realizzassero due fattori decisivi:
1) il possesso della Cirenaica, senza di essa non c’era speranza che le navi da carico dei convogli partenti da Alessandria, avviate lungo il Bomb alley (il viale delle bombe) tra Creta e le coste del Nord Africa, arrivassero a destinazione. Inoltre non si potevano inviare aerei da caccia sull’isola;
2) la disponibilità a Gibilterra di portaerei, per far operare a distanza sufficiente dall’isola gli apparecchi da caccia che dovevano garantire la sicurezza di Malta e delle navi in porto contro gli attacchi aerei dell’Asse, e fornire protezione ai gruppi in mare.
Solo con l’avverarsi di questi fattori, determinati da fattori estranei alla guerra navale in Mediterraneo, i grossi convogli britannici protetti da forze pesanti potevano raggiungere Malta e mantenerla in efficienza. In caso contrario l’isola in breve avrebbe perso la sua capacità offensiva. Poiché la disponibilità di portaerei fu saltuaria (per le perdite e poi per lo scoppio della guerra in Estremo Oriente) il possesso britannico degli aeroporti cirenaici era determinante. Sebbene la strategia navale e quella terrestre si influenzarono direttamente, entrambe dipesero dalle condizioni generali della guerra e dai rapporti di forza globali e industriali in gioco. La mancata invasione dell’isola di Malta subito dopo lo scoppio della guerra o nel 1942 (la famosa operazione Hercules) può essere considerata importante solo nel campo ristretto della sicurezza dei trasporti; in più lunga prospettiva anche se l’isola fosse stata conquistata (nel ’40 a mio avviso, non esistevano probabilità di successo) non avrebbe modificato il corso della guerra.
Trasporti e trasportati
Il problema del rifornire i Reparti impegnati nella guerra d’Africa fu complesso e dal punto di vista logistico fu soprattutto condizionato da fattori generali quali la scarsa disponibilità di materiali in Italia, di mercantili adatti e, in ogni caso, la ridottissima capacità logistica dei porti africani. Questi fattori furono quindi più critici rispetto alle dolorose perdite subite in mare per affondamenti operati dagli inglesi.

Il cacciatorpediniere Libeccio affonda nelle acque dello Ionio il 9 novembre 1941. Il Libeccio con altri 5 caccia costituiva la scorta diretta del Convoglio Duisburg composto da 7 piroscafi
Fin da subito apparve chiaro che la battaglia per la difesa dei convogli libici rappresentava il motivo fondamentale di guerra per la Regia marina italiana; fu condotta con coerenza e determinazione fino a quando non si esaurì, tra l’altro con un alto tributo di sangue, da entrambe le parti (anche perché le perdite del Commonwealth non furono mai lievi). Si può dire che mercantili e le navi di scorta italiane assolsero sempre le loro missioni e la catena dei rifornimenti non venne mai meno.
Detto questo la situazione non fu mai facile
Al momento della nostra entrata in guerra quasi un terzo della nostra marina mercantile (tra l’altro la parte qualitativamente migliore) si trovò bloccata al di là di Gibilterra e di Suez. I motivi che causarono tale situazione sono di due specie; più dichiaratamente essa fu dovuta alla volontà di tenere nascosta la data precisa della nostra entrata in guerra (il ritiro del naviglio mercantile sarebbe stato un sintomo premonitore chiarissimo e facilmente interpretabile) ed alla necessità di mantenere fino all’ultimo il flusso di valuta pregiata che quelle navi alimentavano con i loro servizi all’estero.
Queste decisioni giustificative furono anch’esse condizionate da altri elementi:
– la consapevolezza che dando un preavviso di 2/4 settimane difficilmente alla notizia che centinaia di navi italiane avevano invertito la rotta gli anglofrancesi non avrebbero preso contromisure. Sarebbe stato facile bloccare questo movimento dato che per rientrare in mediterraneo si dovevano passare due “porte” da loro controllate. Ricordo che nella situazione reale l’ordine di rientro fu dato il 4 giugno e già il 9 giugno le unità inglesi effettuarono le prime catture (anche perché tutto il traffico italiano era sottoposto a rigidi fermi e controlli da mesi vd. i Rapporti Pietromarchi);
– la convinzione che, in caso di guerra, le nostre linee di comunicazione marittima si sarebbero ridotte talmente che anche le sole navi superstiti in Mediterraneo sarebbero state ampiamente sufficienti e che quindi in caso di necessità convenisse mettere al sicuro le navi fuori dal Mediterraneo in porti neutrali.
Di fatto ancora nel 1939 un’apposita commissione valutò il fabbisogno di importazioni necessarie per il 1940, nel caso fossimo rimasti neutrali, in 22,4 milioni di tonnellate, di cui i ¾ dei combustibili non erano disponibili in Italia. Fu stimato che ci si sarebbe potuto approvvigionarli in Germania, via terra, per cui le importazioni via mare non sarebbero ammontate a più di 5 milioni di tonnellate e che i mercantili rimasti in Mediterraneo sarebbero stati addirittura esuberanti.
La valutazione era troppo ottimista e non si tenne conto del fatto che, in guerra, sarebbe stato necessario pianificare la sostituzione delle perdite e che i consumi sarebbero di molto aumentati. Inoltre, in caso di guerra si sarebbero aperti fronti bellici oltremare. Quando invece si rese necessario provvedere all’organizzazione di linee regolari di traffico con l’Africa Settentrionale (ma anche per la Grecia, le isole italiane, i possedimenti dell’Egeo, la Tunisia e pure il cabotaggio costiero italiano e libico) il primo problema fu la mancanza di navi adatte. Si rese quindi necessario impiegare anziani mercantili lenti, con pessime doti nautiche e dotati di mezzi di comunicazione insufficienti; questo proprio quando la velocità, insieme alla possibilità di compiere rapide manovre evasive coordinate sotto attacco, era vitale.

abbandono della nave Oceania colpita dal smg Upholder il 18 09 1941 assieme alla Neptunia-foto-E. Bagnasco – NdR Il 14 aprile, la torpediniera Pegaso riuscì ad affondare il famoso sommergibile Upholder, comandato da uno dei migliori sommergibilisti britannici, il comandante David Wanklyn.
La situazione inoltre andò sempre peggiorando, in quanto la cantieristica nazionale non fu assolutamente in grado di sostituire le perdite con nuove costruzioni data l’insufficienza del potenziale cantieristico italiano. Nel giugno del 1940, la flotta mercantile italiana era composta di 786 navi superiori alle 500 tsl, per un totale di 3.318.129 tsl, e di circa 200 navi fra le 100 e le 500 tsl. Le unità inferiori alle 500 tls però non avrebbero dato alcun contributo al traffico oltremare, essendo utilizzate esclusivamente per i traffici locali e di cabotaggio.
Come accennato precedentemente, all’inizio del conflitto 212 navi superiori alle 500 tsl (per 1.216.637 tsl), erano però rimaste fuori dal Mediterraneo venendo, di conseguenza, quasi tutte catturate o affondate dal nemico o internate in porti neutrali. Parziale compensazione sarebbe stata costituita dalle 56 navi tedesche (per 203.512 tls) di stazza unitaria superiore alle 500 tsl, sorprese nel Mediterraneo dallo scoppio delle ostilità. In totale quindi l’Asse nel giugno 1940 aveva nel Mediterraneo su 630 navi mercantili, non tutte utilizzate come tali perché alcune adibite a navi ospedale o armate come incrociatori ausiliari. Fra il 10 giugno 1940 e l’8 settembre 1943 erano entrate in servizio 210 navi (per 845.696 tsl) con bandiera italiana, fra nuove costruzioni (60 tra cui 7 cisterne per 305733 tsl ), catturate o rientrate da porti esteri, e 124 con bandiera tedesca (per 378.784 tls). Invece 460 navi con bandiera italiana (per 1.700.096 tsl) e 107 con quella tedesca sarebbero andate perdute, per complessive 2.190.857 tsl. All’8 settembre, erano ancora in servizio 324 navi, per 1.247.092 tsl di cui erano impiegabili poco più di 300 per 850,000 tsl che, in seguito all’armistizio, sarebbero state per la maggior parte catturate dai tedeschi (e poi affondate), oppure autoaffondate per sfuggire alla cattura.

Sbarco nel porto di-Bengasi di una blindo Sd. Kfz. 223 dell’Afrika Korps da bordo di una torpediniera affiancata alla banchina
Alla fine del conflitto, nel maggio 1945, le navi mercantili italiane superiori alle 500 tsl sarebbero state solo 95, per 336.810 tsl, il 10% di quelle esistenti all’inizio del conflitto.
Qualche dato
Il personale trasportato in Libia fu di 206.402 uomini, dei quali 189.162 arrivati (pari al 91,6 %). Il materiale trasportato fu pari a 2.245.380 tonnellate, delle quali 1.929.955 arrivate (pari al 85,9 %). Il personale trasportato in Tunisia fu di 77.741 uomini, dei quali 72.246 arrivati (pari al 93 %). Il materiale trasportato fu di 413.160 tonnellate, delle quali 306.532 arrivato (pari al 71 %). Complessivamente i trasporti per la Libia, Tunisia, Levante (Albania, Grecia, Egeo) furono di 1.266.172 uomini, dei quali 1.242.729 arrivati (pari al 96 %) con 2.938.298 tonnellate di materiale di cui 2.759.468 arrivato a destinazione.
In sintesi, partirono complessivamente (per l’Esercito, Aeronautica, Marina, Corpo tedesco) 4.648.600 tonnellate di materiali, di cui 4.199,375 arrivarono a destinazione, pari al 90,5 %.
Comunque le perdite in mare sulle rotte principali libiche (escluse quindi quelle del cabotaggio costiero libico, importantissimo ai fini della ridistribuzione dei materiali e del loro avviamento ai fronti) ammontarono a 151 mercantili; cifra in sé piccola se confrontata al numero totale delle navi-viaggio impiegate per i trasporti libici (1789), ma di gran peso se si considera che quelle per la Libia non erano che alcune delle molte rotte da servire, e soprattutto se lo si confronta con le 574 navi mercantili rimaste all’Italia dopo il 10 giugno 1940.
Il momento migliore del traffico fu verso la fine del 1941 – inizio del ’4, con l’entrata in servizio delle motonavi veloci da carico, grazie alle quali poterono essere costituiti convogli organici veloci per il trasporto di materiali e poté essere raggiunto, anche per la situazione allora creatasi in Mediterraneo, il massimo di 150.389 tonnellate di rifornimenti sbarcate in Africa in un solo mese (aprile 1942). La situazione del nostro naviglio mercantile fu comunque sempre pesante e se pure di crisi vera e propria si può parlare solo per un determinato tipo di nave, la cisterna (a partire dalla metà del ’42) la situazione divenne sempre più gravosa perché la perdita delle unità migliori costrinse a ripianare i vuoti, utilizzando anche quei mezzi che prima erano stati scartati per la loro assoluta insufficienza.
Le conseguenze di tali deficienze, sia quantitative sia qualitative, del naviglio mercantile furono pagate col fatto di non poter organizzare in maniera efficiente, dal punto di vista del rendimento, né il convogliamento né la sua protezione; e questo, unito alle limitazioni portate dall’insufficienza dei porti libici, fece sì che nonostante il superlavoro cui le unità di scorta e mercantili furono sottoposti, il materiale sbarcato in Africa non riuscisse a soddisfare le necessità correnti.
È bene però chiarire subito che ciò fu determinato non tanto dalle perdite subite in mare, ma dalla situazione generale del Paese.
Lo prova il fatto che il tonnellaggio mercantile convogliato nei due sensi fu di 8.821.566 tonnellate di stazza lorda, per cui il tonnellaggio in sola andata può essere valutato alla metà, cioè 4.400.000 circa; su questo tonnellaggio furono caricate in Italia 2.245.381 tonnellate di materiale ciò significa, che la capacità di carico disponibile fu sfruttata al 50 per cento. E questo fenomeno si rilevò sempre nei momenti più duri della battaglia come in quelli più favorevoli (come nei primi sei mesi di guerra) quando il contrasto inglese fu pressoché nullo ma furono trasportate in Africa circa 230.000 tonnellate di materiale mentre gli studi del periodo della non-belligeranza indicavano che la difesa della colonia richiedeva almeno 113.000 tonnellate di rifornimenti al mese.
Il fatto che la capacità di carico dei mercantili sia stata assai poco sfruttata può essere spiegata soltanto dal fatto che, a causa della scarsa produzione italiana, non vi fosse altro da caricare per i fronti oltremare.
fine parte II – continua
Gianluca Bertozzi
FONTI
Battaglia dei trasporti marittimi nella campagna di Libia di Alfredo Marchelli
La Battaglia dei Convogli di Enrico Paradies
La guerra italiana sul mare. La Marina tra vittoria e sconfitta 1940-1943 di Giorgio Giorgerini
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laureato in Giurisrudenza, è un attento e meticoloso studioso di storia navale e aeronautica militare
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