ARGOMENTO: STORIA
PERIODO: VIII – XI SECOLO d.C.
AREA: NORD EUROPA
parole chiave: Vichinghi, Navigazione, Norreni, saga Grænlendinga, drakkar
Oggi parliamo dei Norreni, popoli del mare provenienti dalla Scandinavia che si stabilirono nel Nord Europa e nelle isole britanniche e dell’Atlantico settentrionale dal 750 al 1050 d.C.. Sappiamo che questi vichinghi erano abili navigatori che furono in grado di attraversare migliaia di chilometri di mare aperto dalla Scandinavia, loro terra natale, fino all’Islanda ed oltre alla terra verde della Groenlandia.
Come facevano questi audaci navigatori, a metà tra guerrieri e pirati, ad attraversare il mare? Quali cognizioni nautiche possedevano?
Partiamo dalle loro navi, che abbiamo visto tante volte rappresentate nelle fiction epiche. I Norreni, come venivano chiamati gli uomini del nord, avevano a disposizione differenti tipi di imbarcazioni. Prescindendo dalla distinzione di massima fra nave lunga (stórskip, alla lettera “grande nave”) e nave oneraria (knarr), le navi lunghe si dividevano in differenti tipologie. I drakkar appartenevano ad un tipo di imbarcazioni più grandi, identificabili appunto dalla testa di drago intagliata a mò di polena. Quest’ultima, invero, non veniva adoperata per spaventare i nemici, ma – similmente agli occhi dipinti al mascone delle navi greche – aveva una funzione apotropaica, essendo destinata a salvaguardare l’equipaggio scacciando gli spiriti maligni che si credeva infestassero le profondità marine. Queste imbarcazioni, caratterizzate da una forma allungata, stretta e slanciata, e da un pescaggio poco profondo, erano anche particolarmente adatte per risalire i fiumi e raggiungere le spiagge senza arenarsi prima. Queste caratteristiche conferivano all’imbarcazione una grande velocità e manovrabilità e la possibilità di arrivare a riva per razziare i villaggi. Alcune versioni più tarde includevano, oltre ai remi, anche una vela rettangolare montata su un unico albero.

le sette rotte principali vichinghe
La pietre del Sole: tra leggenda e realtà
Una leggenda vichinga narra di una “pietra del sole” incandescente che, se esposta al cielo, rivelava la posizione del Sole anche nelle giornate più nuvolose. Una leggenda fantasiosa che potrebbe però avere qualche verità. Gli scienziati ritengono che un cristallo, con caratteristiche polarizzanti, avrebbe potuto aiutare i grandi naviganti del Nord a filtrare la luce ed identificare il sole anche in condizioni di nuvolosità. Un’ipotesi intrigante che non ha niente a che fare con i racconti fantascientifici della Marvel ma si basa su un principio fisico ben noto. Questo interessante studio è stato pubblicato su Philosophical Transactions della prestigiosa Royal Society.

The Viking Ship Oseberg, Viking Ship Museum
I Norreni sapevano che durante la stagione estiva alle alte latitudini la luce costante impedisce di usare le stelle come guida per determinare la posizione in mare. La bussola non era ancora disponibile e comunque, a quelle alte latitudini, sarebbe stata di uso limitato. Il Sole, la luna e le stelle fornivano quindi ai Vichinghi le direzioni dove navigare. Naturalmente questo valeva con il tempo buono, ma nella nebbia e con un cielo nuvoloso questi corpi celesti non erano visibili, e su lunghi tratti, una deviazione di pochi gradi dal percorso pianificato, poteva significare mancare completamente la destinazione prevista. Quando in vicinanza della costa ne osservavano le caratteristiche: una falesia di roccia con una particolare forma poteva fornire indizi importanti su dove si trovavano. Ciò nonostante esisteva il problema delle lunghe traversate che potevano essere affidate, in caso di condizioni avverse, solo alla fortuna.

“(a) Il frammento di disco di legno (trovato nel sud della Groenlandia) sul quale i navigatori vichinghi intagliavano alcune curve iperboliche. (b) La meridiana ricostruita usata dai Vichinghi per la navigazione in mare aperto. La parte sinistra, grigia del disco non è stata trovata. (c) Disegno tridimensionale della meridiana vichinga con uno gnomone verticale conico e la sua ombra, il cui punto finale tocca l’iperbole incisa nel disco orizzontale di legno. (d) La navigazione celeste-polarimetrica dei Vichinghi può funzionare solo se la direzione della polarizzazione del lucernario (simbolizzata da frecce a due punte) è perpendicolare al piano di dispersione (determinato dal Sole, osservati dall’osservatore e dal punto celeste). Ciò corrisponde alla teoria di Rayleigh sulla diffusione della luce di primo ordine …” figura e commento estratto dallo studio citato
Parlare di fortuna nelle loro navigazioni è forse limitativo
I Norreni erano tutt’altro che primitivi e sapevano navigare anche in alto mare. Essi conoscevano l’uso della meridiana con la quale potevano localizzare il nord geografico lungo la latitudine 61° Nord da maggio ad agosto … naturalmente se il Sole era visibile. Tutto quello che dovevano fare era tenere il disco del quadrante orizzontalmente nel Sole e ruotarlo attorno al suo asse verticale (coincidente con l’asse dello gnomone) finché la punta dell’ombra dello gnomone non raggiungesse la corrispondente incisione sul quadrante.
Un’antica leggenda islandese, incentrata sull’eroe Sigurd, tramanda che questi marinai avevano un aiuto per la navigazione che aveva qualcosa di magico: il sólarsteinn, la pietra del Sole. La saga islandese descrive come, durante il tempo nuvoloso e nevoso, Re Olaf consultò Sigurd sulla posizione del Sole. Per controllare la risposta di Sigurd, Olaf “afferrò una pietra del sole, guardò il cielo e vide da dove proveniva la luce, dalla quale indovinò la posizione del Sole invisibile“. Nel 1967, Thorkild Ramskou, un archeologo danese suggerì che questa pietra avrebbe potuto essere un cristallo polarizzante come lo spar islandese, una forma trasparente di calcite molto comune in Scandinavia.
Polarizzazione della luce
Per poter comprendere questo effetto bisogna tornare per un momento alla fisica. Nella teoria elettromagnetica della luce le onde oscillano perpendicolarmente alla direzione della direzione della luce. Quando le oscillazioni sono tutte nella stessa direzione si dice che la luce viene polarizzata. Un effetto interessante è che un cristallo polarizzante come la calcite consente alla luce polarizzata di attraversarla solo in certe direzioni. Ramskou sostiene che puntando un cristallo di calcite al cielo e ruotandolo per controllare la direzione di polarizzazione della luce che lo attraversa, i Vichinghi avrebbero potuto dedurre la posizione del Sole, anche quando veniva nascosto dietro le nuvole o dalla nebbia.
Gábor Horváth, un ricercatore di ottica presso l’Università Eötvös di Budapest, e Susanne Åkesson, ecologa di migrazione dell’Università di Lund, in Svezia, stanno studiando questa ipotesi dal 2005. Nello studio citato i ricercatori hanno scattato fotografie di cieli parzialmente nuvolosi o crepuscolari nel nord della Finlandia, attraverso un obiettivo fisheye a 180° ed hanno chiesto a diversi soggetti di stimare la posizione del Sole. Inoltre, hanno misurato il modello di polarizzazione dell’intero cielo in una serie di condizioni diverse meteorologiche durante una traversata dell’Oceano Artico sul rompighiaccio svedese Oden.
I risultati sono stati sorprendenti
I ricercatori hanno scoperto che in condizioni di nebbia o con un cielo totalmente nuvoloso il modello di polarizzazione della luce era simile a quello con un cielo sereno. La polarizzazione non era così forte, ma Åkesson ritiene che avrebbe comunque potuto fornire utili informazioni sulla posizione del Sole ai navigatori vichinghi. Le fonti storiche indicano che i marinai del primo medioevo attraversarono il Nord Atlantico usando la posizione del Sole nei giorni sereni, in combinazione con le posizioni delle coste, i modelli di volo degli uccelli, i percorsi migratori delle balene e le nuvole lontane sulle isole. Probabilmente ci volle anche un pò di fortuna come nel caso della scoperta delle coste nord americane.
Secondo una fonte epica, la saga Grænlendinga (saga dei groenlandesi), la loro scoperta avvenne per puro caso nell’autunno del 996 d.C quando Bjarni Herjólfsson, il primo europeo a vedere il Nord America, salpò per la Groenlandia per incontrare suo padre. Dopo diversi giorni di forte vento e nebbia da nord, nei suoi sforzi per tornare in rotta, Bjarni Herjólfsson tentò di navigare nuovamente verso ovest e arrivò ad una nuova terra, mai scoperta da nessuno prima di lui. Chissà se sul suo drakkar aveva le pietre del Sole?
Esse non sono mai state trovate negli insediamenti vichinghi ma, casualmente, su un relitto di epoca Elisabettiana affondato nel 1542 presso le isole del Canale, è stato ritrovato un grosso cristallo di calcite, di circa un metro di lunghezza, con dei divisori che ne fanno ipotizzare un uso nautico. Questo fa pensare che l’uso delle pietre del sole, citato nelle leggende antiche, conosciuto dai Norreni, venne usato come strumento nautico anche dai naviganti successivi.
Ma cosa c’è di reale nell’uso della luce per la navigazione marittima?
Dal punto di vista tecnologico, questo principio è tutt’altro che fantasioso e veniva usato in tempi moderni dai piloti della SAS per navigare vicino al polo Nord, utilizzando un filtro polarizzante dal lucernario dei DC 8. Questo strumento, chiamato bussola del cielo di Kollsman, era stato sviluppata per l’US Airforce nel 1948 per navigare al crepuscolo dopo il tramonto. Lo strumento, dotato di lenti, viti di regolazione e un sistema di bilanciamento, utilizzava un cristallo polarizzante lineare. Questa bussola del cielo era diretta verso lo zenit, mentre il navigatore faceva ruotare il cristallo attorno al suo asse verticale fino a quando il cielo appariva più luminoso o più scuro. La posizione del Sole poteva quindi essere stimata dall’orientamento del cristallo.
Chissà se quei audaci navigatori avrebbero mai immaginato che quei cristalli, le mitiche pietre di Odino, sarebbero arrivate fino ai giorni nostri per raccontarci i loro viaggi avventurosi attraverso le nebbie dei mari del Nord?
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.
Una grande conoscenza scientifica “innestata” su mezzi rudimentali.Questa mi pare l’evidenza del fatto. Più spiegabile per quanto sorprendente anch’essa, la straordinaria tecnica di costruzione dei Drakkar che a mio parere potevano benissimo navigare a vela anche di bolina. lo scafo può ben ispirare costruzioni moderne con un guadagno energetico e prestazionale senza uguali. Questi attori si muovevano con la spinta dei remi e del vento ma con una eleganza e resa spettacolare per la ridottissima inerzia della massa, scienza, tecnica, ecologia, i sintesi, che altro dobbiamo dire? Credo che se incontravano balene o delfini sulla rotta ne fossero presi per parent stretti e ben tollerati. impariamo dalla storia e dall’archeologia.