.
livello elementare
.
ARGOMENTO: ECONOMIA DEL MARE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OFF SHORE
parole chiave: risorse fossili, petrolio
.
Premessa
La Terra vista dallo spazio appare come un “pianeta blu”: questo colore è dovuto alla presenza degli oceani che coprono circa il 71% della sua superficie. Gli oceani rappresentano quindi l’ambiente più diffuso sul pianeta. Nonostante ciò, si conosce ancora poco su di essi e molto c’è ancora da scoprire sulle profondità oceaniche poiché si tratta di ambienti che l’uomo non ha mai totalmente esplorato. Eppure l’importanza degli ambienti oceanici è molto grande, sia per l’equilibrio ecologico del pianeta, sia per la vita dell’uomo. Gli oceani sono dei grandi serbatoi d’acqua e costituiscono il nodo più importante nel ciclo dell’acqua sul nostro pianeta: da essi l’acqua evapora e sale nell’atmosfera per poi ricadere a terra sotto forma di precipitazioni, ed infine ritorna agli oceani attraverso i fiumi. Gli oceani sono anche enormi serbatoi di calore che assorbono l’energia irradiata dal Sole e la rilasciano lentamente. Per questo motivo sono il più importante fattore di controllo del clima sulla Terra: la loro presenza attenua le variazioni di temperatura diurne e stagionali, mantenendo le temperature dell’aria entro valori tollerabili per gli organismi viventi. Possiamo considerarli il nostro termostato planetario. Va da sé che variazioni dell’equilibrio degli oceani possono causare ricadute sensibili sul pianeta con un effetto domino. Le conseguenze, in tempi di cambiamenti climatici, possono essere disastrose.
Le risorse del pianeta non sono infinite: parliamo oggi di petrolio e gas
Il mare, come le terre emerse, è sempre stato fonte di risorse per l’Uomo, specialmente per soddisfare le necessità di alimentazione (attraverso la pesca), l’estrazione di minerali ed il prelievo di risorse energetiche. La ricerca di fonti energetiche ed economiche ha da sempre stimolato lo sviluppo della ricerca oceanografica. Fra le aree di ricerca più interessanti, per i molteplici e discussi risvolti ambientali, la ricerca oceanografica per la ricerca e lo sfruttamento del petrolio è sicuramente una delle più prolifiche.
La scoperta del petrolio risale all’antichità, attraverso accidentali fuoriuscite dal terreno, ma l’interesse economico venne sviluppato soltanto verso la metà dell’800 per aumentare agli inizi del ‘900 per la necessità di impiegarlo come carburante dei motori a scoppio. Fu la rivoluzione dell’impiego degli autoveicoli che di fatto spostò l’ago della bilancia degli equilibri geopolitici mondiali. I giacimenti di carbone, combustibili fossili per eccellenza, furono soppiantati da quelli di petrolio, localizzati in aree del mondo un tempo interessate solo dai traffici mercantili tradizionali. L’attenzione strategica del mondo “industrializzato” si focalizzò quindi sui Paesi particolarmente ricchi di queste riserve. Nel tempo, anche a causa della globalizzazione, lobby di potere transnazionali hanno prevalso sulle sovranità nazionali, causando molte storture che stiamo pagando in termini economici e di stabilità.
Offshore petrolifero
Con il termine off-shore petrolifero si intendono tutte quelle attività che vengono perseguite per la ricerca dell’oro nero e del gas in mare. Ormai oltre il 30% della produzione mondiale di idrocarburi proviene da pozzi petroliferi stuati nei mari del mondo; il loro esaurimento, tanto paventato, sembra molto lontano in quanto con lo sviluppo delle tecnologie sono state scoperte nuove aree di sfruttamento in tutto il mondo. Questa percentuale, se non mitigata da fonti energetiche alternative, tenderà a salire sempre di più per soddisfare i bisogni delle nazioni maggiormente industrializzate. Il flusso di denaro per la ricerca, estrazione e trasporto dell’oro nero sulle rotte marittime, divenute ormai delle vere autostrade del mare, ammonta a centinaia di miliardi di dollari ogni anno. L’individuazione dei nuovi giacimenti avviene tramite l’analisi dei campi magnetici e gravitazionali e dei profili sismici locali. Nonostante l’alto livello tecnologico disponibile, vedremo che queste ricerche non sono prive di pericoli per l’ambiente. Una volta ipotizzate aree di possibile interesse petrolifero, si procede al prelievo di sedimenti tramite carotaggi effettuati con la perforazione delle rocce sottostanti. Qualora si ritrovino strati di roccia interessanti si procede alla fase di trivellazione per ottenere la definitiva conferma della presenza, consistenza e soprattutto qualità del prodotto. I costi di impianto sono talmente elevati che non si possono accettare errori.
Un sistema molto usato è l’analisi delle onde sismiche. Essa viene ottenuta registrando le onde riflesse dagli strati geologici dopo aver creato violente perturbazioni sonore sul tracciato di misura (rotta della nave di ricerca). A causa della diversa risposta acustica dei tipi di sedimento, vengono quindi ricercate aree che presentano rocce porose ed argille. In particolare, se le prime sono contenute all’interno di strati di rocce impermeabili (come le argille), esse potrebbero intrappolare al loro interno gli idrocarburi. Questo tipo dI ricerca non è esente da controindicazioni. Queste tecniche acustiche a media bassa frequenza creano shock acustici che disturbano i mammiferi marini, provocandone a volte lo spiaggiamento e la morte. Sono in corso studi di come mitigarne gli effetti ma, purtroppo, gli interessi economici vanno spesso oltre il rispetto per la natura.
Come si è formato il petrolio?
La sua formazione fu dovuta all’inglobalizzazione nel paleozoico, ma anche nel mesozoico e nel terziario (l’era cenozoica), di componenti organici nel sedimento. In parole molto semplici, la formazione organica avvenne quando elevate quantità di questi organismi animali e vegetali, marini e terrestri, vennero accumulati in un bacino con acque salate e salmastre. Si ebbe una reazione chimica prodotta da batteri anaerobi che andarono a decomporre gli strati eliminando man mano l’ossigeno dalle sostanze organiche. In condizioni con poco ossigeno, ovvero anaerobiche, a seguito della successiva trasformazione causata dalle pressioni e dalla specifica temperatura, si crearono gli idrocarburi. Le miscele idrocarburiche che si formarono migrarono poi negli strati geologici fino ad accumularsi in strati porosi racchiusi tra quelli impermeabili (strati argillosi) che costituiscono oggi le rocce serbatoio.
La ricerca
I dati rilevati sismicamente permettono di ricostruire la struttura dei vari strati rocciosi e quindi scoprire l’esistenza di giacimenti petroliferi. Il rilevamento però permette solo di ipotizzarne l’esistenza: la certezza della presenza e della consistenza può essere verificata solo perforando il terreno in diversi punti. Le operazioni di ricerca dipendono comunque dalla consistenza e dalla profondità del giacimento. La redditività di un giacimento è ovviamente definita dalla qualità del greggio. Esistono varie classificazioni: ad esempio abbiamo greggi leggeri e greggi pesanti ed i greggi solforosi (detti acidi) e quelli dolci. I greggi dolci e leggeri producono un’alta percentuale di sostanze leggere, come il GPL (Gas di Petrolio Liquefatto), virgin naphta e benzina, mentre quelli più pesanti ed acidi forniscono una quantità maggiore di combustibili, olio combustibile e gasolio pesante. Questi ultimi richiedono un processo di de-solforazione del greggio.
Quali mezzi vengono impiegati per l’estrazione del petrolio?
Tutti abbiamo sentito parlare delle piattaforme, enormi strutture utilizzate per la ricerca, l’estrazione, il trattamento ed il stoccaggio finale dl greggio. Tra di esse abbiamo le Jack-up, piattaforme di perforazione composte da tre tralicci ed un ponte. Esse vengono rimorchiate sulla perpendicolare del sito di presenza del greggio ed i tralicci vengono ammainati, scorrendo all’interno del ponte che resta in superficie, per poi essere affondati nel sedimento. La torre di trivellazione viene quindi portata al di sopra del livello del mare. I tralicci, una volta ancorati sul fondo, consentono alla piattaforma di rimanere fissa sulla sua postazione di lavoro fino al termine della vita del pozzo. I Jack-up rigs possono operare fino a 300 metri di profondità. Altri mezzi impiegati sono le piattaforme semi sommergibili, poste su colonne che superano in altezza un cassone completamente sommerso e non sono affette dal moto ondoso. Hanno dislocamenti notevoli che possono andare oltre le 25000 tonnellate; possono essere autopropulse tramite dei thruster (eliche di spinta) per potersi muovere autonomamente nei loro trasferimenti.
La funzione delle eliche è duplice: contrastare le correnti marine ed i movimenti indotti dalle condizioni meteo avverse (si pensi ai mari del Nord dove le condizioni meteorologiche marine sono spesso proibitive), e posizionarsi con alta precisione (attraverso delle tecniche di posizionamento dinamico) sul punto di perforazione. Al fine di consentire la massima sicurezza le piattaforme, giunte tecnologicamente ormai alla sesta generazione, sono ancorate attraverso sistemi complessi di ancore che consentono in caso di cedimento di mantenere allineata la piattaforma. Esistono poi le piattaforme di posizione, veri e propri giganti del mare tenuti in posizione sui pozzi attraverso enormi pali di acciaio o strutture di cemento armato che poggiano saldamente sul fondo del mare. Essendo solidali al fondale marino garantiscono un grado di vincolo molto elevato che gli consente di resistere e non collassare ad ogni condizione meteo marina avversa. La costruzione delle piattaforme è molto impegnativa e richiede circa tre anni. Ovviamente, essendo delle strutture fisse, hanno l’inconveniente che non possono essere spostate su altri siti. Una piattaforma di posizione può però gestire più pozzi, deviando i flussi del greggio nella tubatura del pozzo principale. Una volta esauriti i pozzi, le teste dei pozzi petroliferi sono chiuse ermeticamente con cemento e poi abbandonati. Il petrolio o il gas vengono estratti e trasportati tramite tubature alle piattaforme di produzione dove può avvenire la raffinazione, la compressione ed il pompaggio del greggio. A quel punto attraverso altre tubature il greggio può essere inviato in serbatoi di accumulo dai quali le petroliere lo preleveranno per il trasporto finale. Esistono anche piattaforme terminali di giacimento che hanno il compito di raccogliere dalle piattaforme di trivellazione il prodotto.
Un lavoro duro e complesso che richiede un’alta specializzazione
Lavorare su queste piattaforme petrolifere è una delle professioni più remunerative al mondo, anche se la retribuzioni costituisce la controparte di alcuni limiti intrinseci e rischi connessi con l’effettuazione di questo lavoro. Si tratta sicuramente di una professione che richiede alti doti di controllo fisico e mentale, pazienza e resistenza allo stress. I turni sono lunghi ed il personale vive in aree molto confinate in mezzo al mare in condizioni di lavoro limite. Tra di essi vi è una categoria di lavoratori del mare, gli O.T.S. (operatori tecnici subacquei) che viene impiegata sulle piattaforme per la manutenzione subacquea degli impianti (oil rig). Un lavoro duro nel quale questi sommozzatori si immergono anche in alti fondali, in saturazione nelle profondità del mare con turni di decompressione lunghissimi. Queste attività sono complesse e spesso molto rischiose. Generalmente gli operatori subacquei sono impegnati in turni di ventiquattro ore al giorno suddivisi in periodi di attività e di stand-by. La remunerazione è elevata, anche se un molti si lamentano che non sia più alta come un tempo.
L’argomento è complesso ed esistono fattori di concorrenza non sempre leali nella scelta degli operatori da parte delle compagnie. Talvolta le stesse subappaltano i lavori a ditte del terzo mondo che offrono i loro servizi a prezzi minori e non sono poi così … attente alla sicurezza. Ovviamente non si può generalizzare. Parleremo dei problemi di questi particolari subacquei in un prossimo articolo intervistando uno dei più importanti esperti del settore.
Rischi nel trasporto del greggio
Parlando di petrolio non si può non parlare del rischio dovuto all’estrazione ed trasporto in mare del greggio. Tutti ricordiamo l’incidente della piattaforma Deepwater Horizon (con l’incendio al pozzo Macondo) nel Golfo del Messico che occorse nel 2010. In quell’occasione fu stimato un versamento (oil spilling) dalle 414.000 alle 1.186.000 tonnellate di greggio con un conseguente danno ecologico incommensurabile.
Altri eventi tragici furono legati agli incendi causati da Saddam alle piattaforme del golfo Persico nel 1991 (780.000–1.500.000 tonnellate). Non ultimi i disastri causati dall’incidente della Amoco Cadiz del 1978. Uno schema riassuntivo dei maggiori disastri è riportato su wikipedia. Se volete approfondire l’argomento potete anche leggere un altro interessante articolo in merito allo spilling del greggio. Pagine drammatiche che hanno fatto riflettere in molti sui pericoli e sul costo efficacia dello sfruttamento massivo dei combustibili fossili.
Ci domandiamo, forse un pò tutti, … la tecnologia ci consente oggigiorno di poter utilizzare risorse pulite, perché continuare con uno sfruttamento intensivo dei fossili che tanto danno producono all’ambiente? Ci possono essere soluzioni meno impattanti come il nucleare di nuova generazione? Domande che per posizioni ideologiche non trovano ancora una risposta.
Andrea Mucedola
Una sorpresa per te su Amazon Music unlimited Scopri i vantaggi di Amazon Prime
Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo
,
- autore
- ultimi articoli
ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).