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Panarea, un laboratorio sotto il mare di Giorgio Caramanna

tempo di lettura: 5 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: OCEANOGRAFIA
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO – ISOLE EOLIE
parole chiave: Panarea, vulcanesimo
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Fig. 1: Uno dei punti di emissione

Esistono luoghi dove la natura ha creato situazioni uniche che possono essere utilizzate come dei veri e propri “laboratori naturali” per studiare, su scala ridotta, fenomeni che possono avere impatto a livello globale. 

Uno di questi fenomeni è quello della cosiddetta “acidificazione dei mari”. Tecnicamente si tratta di una riduzione nella basicità del mare visto che comunque il pH rimane sempre superiore a 7, valore che discrimina tra basico ed acido (pH > 7 basico, pH < 7 acido). Il continuo aumento della concentrazione della CO2 nell’atmosfera, prevalentemente causato dalle emissioni antropogeniche, causa un parallelo aumento di quella disciolta in mare che origina acido carbonico riducendo il pH. Questa riduzione del pH delle acque oceaniche ha un forte impatto negativo sull’ecosistema mettendo a repentaglio la stessa esistenza di tutti quelli organismi marini che necessitano di gusci e strutture calcaree. In pratica, la diminuzione del pH rende sempre più difficile per questi organismi fissare il carbonato di calcio necessario per la costruzione dei loro scheletri.

Fig. 2 : Attrezzatura per il campionamento

Cercare di prevedere le conseguenze della continua riduzione del pH dei mari non è facile, modelli matematici possono aiutare ma gli scienziati hanno bisogno di dati sperimentali per validarne gli algoritmi. Fortunatamente esistono dei luoghi dove, per cause del tutto naturali, la concentrazione di CO2 nell’acqua è molto elevata causando un forte riduzione del pH. In queste aree la CO2 è emessa dal fondale attraverso una serie di fratture nella roccia. L’origine del gas è quasi sempre vulcanica. Una delle aree che più si prestano ad essere usate come laboratorio naturale è quella a ridosso dell’isola di Panarea, nelle Eolie. Qui emissioni gassose e liquide fuoriescono a modesta profondità creando  un ambiente caratterizzato da forti riduzioni del pH (in alcuni casi i fluidi emessi sono molto acidi con pH attorno a 3 ed abbondante presenza di CO2 sia disciolta nell’acqua che come cortine di bolle.

Fig. 3 Strabone

Le emissioni di Panarea sono il risultato del continuo degassamento di un sistema magmatico profondo, probabilmente lo stesso che alimenta il vicino vulcano di Stromboli. In diverse occasioni infatti l’aumento dell’attività vulcanica è coinciso con un aumento nelle emissioni gassose. Una volta che la pressione interna dei fluidi raggiunge il limite di resistenza delle rocce sovrastanti si originano delle fratture dalle quali il gas inizia ad uscire. Il movimento del gas crea inoltre una fenomeno di trasporto dei liquidi presenti in profondità che risalgono trascinati dal gas originando una serie di sorgenti acide e mineralizzate sui fondali. Le emissioni durano finché la pressione del sistema si riduce e quindi terminano; il sistema entra in una fase di “ricarica” e le emissioni ricominciano con un ciclo che dura da millenni come testimoniato dagli scritti dello storico greco, di età Romana, Strabone (60 a.C – 21-24 d.C in figura 3) che citò acque che bollivano nella zona di Panarea.

Nel 1865 anche il Mercalli cita un’emissione gassosa nella zona in concomitanza con una ripresa dell’attività vulcanica di Stromboli. Un particolare interessante è che i depositi minerali lasciati dalle emissioni sono in parte allineati lungo linee di frattura del fondo creando delle particolari forme geometriche che ricordano muri  perimetrali. Per questo motivo si è spesso ritenuto che opere edili romane, ormai sommerse, fossero presenti nella zona. Uno studio più dettagliato, effettuato nei primi anni duemila, ha escluso questa ipotesi confermando l’origine naturale delle formazioni.

La profondità modesta, da pochi metri ad un massimo di circa 25, la vicinanza alla costa ( meno di un miglio da Panarea), e la buona visibilità fanno si che la situazione sia molto favorevole per i ricercatori che possono agevolmente prelevare campioni, depositare strumenti e sensori per il monitoraggio delle emissioni e validare modelli e teorie. Negli ultimi quindici anni le emissioni di Panarea sono divenute un importante punto di riferimento per lo studio dei fenomeni di acidificazione del mare e per lo sviluppo di metodologie di studio ed analisi dei fluidi geotermici emessi dai fondali. 

Fig. 4: Depositi mineralizzati e solfobatteri

Immergersi tra i gas vulcanici comunque ha un certo livello di rischio da non trascurare. La presenza di elementi potenzialmente tossici, come alcuni composti dello zolfo, nei gas emessi richiede particolare accortezza nell’immediata vicinanza delle emissioni. Per esposizioni prolungate è consigliabile usare delle maschere “gran-facciale” che proteggono in modo più adeguato e completo le vie respiratorie degli operatori subacquei. Il contatto con acque acide incrementa il livello di corrosione con potenziale invecchiamento precoce delle attrezzature subacquee utilizzate.

Fig. 5: Colonna di gas dal fondo

Le emissioni gassose più intense inoltre originano dei vortici che possono rendere difficile per un subacqueo mantenere un corretto assetto durante l’immersione. Le colonne di gas riducono sensibilmente la densità dell’acqua in cui risalgono rendendo impossibile l’uso di palloni da sollevamento per la movimentazione di strumenti subacquei pesanti. La spinta di Archimede infatti è neutralizzata dal fatto che la differenza di densità tra l’aria che riempie i palloni e la miscela acqua-gas circostante è minimizzata.

In sintesi, immersioni in un ambiente decisamente particolare che richiede preparazione e competenze specifiche. Le informazioni raccolte sono di primaria importanza per lo studio dei fenomeni di acidificazione del mare e per lo sviluppo di nuove metodologie di studio ed analisi dei fluidi geotermici emessi dal fondo dei mari in zone con presenza di fenomeni vulcanici.

Giorgio Caramanna


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