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livello elementare
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ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA DELLE ACQUE
PERIODO: IV SECOLO a.C.
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: nave punica, Mozia, Marsala
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Quando gli archeologi trovarono il relitto di quella nave punica nelle acque di Marsala non si sarebbero mai immaginati i ritorni archeologici dei resti dello scafo. Eravamo nel 1969 durante i lavori di scavo da parte di una draga vennero portati alla luce dei vasi antichi e altri reperti nella zona di Punta Scario, presso l’imboccatura nord della laguna dello Stagnone.
Lo Stagnone di Marsala è una laguna relativamente recente che non esisteva all’epoca della colonizzazione fenicia di Mozia. I movimenti delle sabbie dovuti al mare provocarono nel tempo la chiusura di una parte di mare (in origine aperta) e, venendo a mancare le correnti marine necessarie al ricambio delle acque interne, lo specchio d’acqua divenne stagnante.
Il ritrovamento
Nel 1971, a pochi metri sotto il livello del mare, a causa di un movimento di un banco di sabbia, emerse la poppa della nave nei pressi del canale artificiale punico (“fretum intraboream”) che oggi è andato perduto. Lo scavo iniziò immediatamente e fu affidato ad una grande archeologa del tempo, Honor Frost. Il recupero durò quasi quattro anni ed il fasciame della nave venne immediatamente trasferito in alcune vasche di acqua dolce e poi conservato in un baglio, adibito a struttura museale. Della nave punica di Marsala, purtroppo, si conservano solo alcune parti, che possono essere oggi ammirate da molti studiosi e turisti di tutto il mondo. Come scrisse l’archeologa Honor Frost, recentemente scomparsa, un relitto significa molto più che l’insieme delle sue parti lignee. Infatti, questa poppa di un’imbarcazione, estremamente ben conservata e priva di carico, presentava caratteristiche uniche e ricche di implicazioni. Durante lo scavo, apparvero dipinte sul fasciame di pino con inchiostro nero alcune lettere dell’alfabeto fenicio-punico. Queste tavole avevano mantenuto la loro colorazione gialla originale, così come il “pagliolo” di colore verde. Purtroppo, sia le lettere che il colore degli elementi lignei sbiadirono a seguito dell’esposizione alla luce e dell’ossigeno presente nell’acqua. Gli archeologi ebbero comunque il tempo di focalizzare la loro attenzione sulle condizioni chimiche che avevano permesso la conservazione del relitto e determinare la sua origine geografica.
Il periodo storico
Probabilmente la nave, di recente costruzione, era stata realizzata, presso uno dei due porti nelle sue vicinanze, forse Mozia (fenicia) o Lilibeo (punica). Nel 397 a.C. i Greci di Dionisio di Siracusa della Sicilia orientale navigarono all’interno della laguna e distrussero la città fenicia sull’isola di Mozia all’inizio della sua campagna di conquista delle città elime e puniche. L’anno successivo Mozia venne riconquistata dai Cartaginesi ma perse di importanza in conseguenza della fondazione sulla terraferma dalla città punica di Lilibeo (l’odierna Marsala). posta sul capo all’estremità meridionale della laguna. Successivamente, la laguna cessò di essere navigabile perché, a causa dei movimenti di sedimento, gli isolotti rocciosi si unirono insieme, separandola dal mare aperto. Non appena la secca divenne una lunga isola, Isola Lunga, il corso della corrente d’acqua venne bloccato e la laguna si insabbiò, divenendo stagnante (da cui il nome Stagnone).
L’altro nome dell’Isola Lunga, Isola dello Stagnone, si riferisce a questa fase geologica della sua vita. Dopo che la corrente costiera principale non poté più entrare nella laguna, avvenne una diminuzione della quantità di sabbia portata sulla punta verso il mare e si andò formando una lingua di terra, in seguito chiamata Punta Scario nei cui pressi fu ritrovata proprio la nave punica. I reperti, l’epigrafia e le determinazioni al Carbonio 14 concordano nel datare l’imbarcazione al periodo della battaglia delle Egadi, avvenuta tra Cartaginesi ed i Romani nella mattina del 10 marzo 241 a.C.. Una battaglia storica che pose fine alla Prima Guerra Punica.
Ma quale era la funzione della nave?
L’architettura dell’imbarcazione, secondo Frost, mostra che non era nave mercantile ma un tipo di imbarcazione da guerra ausiliaria, tra l’altro costruita da poco tempo. Ci sono però dei dubbi in quanto si sarebbe dovuto ritrovare comunque il rostro, come nel caso di un’altra nave, ritrovata a soli 40 metri di distanza dallo scavo principale, che presentava una struttura lignea con un rostro “a becco” (con una lettera fenicio-punica dipinta) ed armi ed accessori tipici di una nave militare come scudi, corazze, spade.
Un’altra considerazione importante venne fatta da Piero Bartoloni (riportata da Mauro Vento in La nave punica di Marsala, 2000): «le navi onerarie cartaginesi erano lunghe tra i 20 e i 30 metri, con una larghezza compresa tra i 5 e i 7 metri, e avevano un tirante d’acqua di circa un metro e mezzo, analogo all’altezza dell’opera morta» – e ancora – «tra la carena ed il pagliolo era situata la zavorra, costituita da pietrame in schegge ed eventualmente sostituita con sabbia se il carico era costituito da anfore; per attutire gli urti delle pietre contro i corsi, veniva disposta una coltre di fogliame. Lo stesso carico costituiva parte necessaria della zavorra, come è dimostrato indirettamente da una delle navi puniche di Punta Scario, all’interno della quale è stata rinvenuta una certa quantità di pietrame che, a quanto risulta dalle analisi effettuate, proveniva probabilmente dalla costa settentrionale del Lazio».
E conclude dicendo che «questo rinvenimento […], secondo il nostro avviso, dimostra che la nave in questione era giunta carica nel porto etrusco e che, una volta scaricati i prodotti importati e non essendovi nulla da caricare per il viaggio di ritorno, la sua zavorra era stata sostituita con del pietrame locale».
Maurizio Vento conclude dicendo che «la nave oneraria […] sarebbe dunque naufragata per un errore del nocchiere, dovuto o ad imperizia o più probabilmente a cause naturali (come, ad esempio, una tempesta), al momento di virare nei pressi del Borrone, lungo l’unica rotta praticabile che consentisse di approdare in quella che un tempo era stata la Cartagine siciliana»
Di fatto, al momento della scoperta, fu trovata solamente una parte dello scafo, ovvero la poppa, la fiancata di babordo, ed altri oggetti che facevano comunque parte dell’imbarcazione o che verosimilmente appartenevano ai membri dell’equipaggio. Tra di essi ossa di animali tagliate a pezzi ( di recente manipolazione), noccioli di oliva e gusci di noce, foglie di cannabis sativa (forse usata dai marinai per alleviare le fatiche), una scopa in fibra vegetale, cordame piombato, boccali, piatti, ciotole, un mortaio, tappi di sughero ed un pugnale.
Rossella Giglio, in Lilibeo e il mare. Marsala. Il Museo Archeologico Regionale Baglio Anselmi ed il relitto della nave punica, 2007, ipotizza ipoteticamente che la lunghezza fosse di 35 metri, la larghezza di 4,80, la stazza di tonnellate 120, con un possibile equipaggio di 68 vogatori, 34 per lato, che azionavano i 17 remi di ogni fiancata.
La nave punica era costruita secondo la tecnica detta «a guscio portante», basata sulla realizzazione prima del fasciame e poi della struttura interna. La parte esterna era rivestita da lamiere di piombo, fissate con chiodi di bronzo, mentre un tessuto impermeabilizzante stava in mezzo tra il fasciame ed il rivestimento metallico. La parte interna, invece, era costituita da madieri e ordinate, rispettivamente costruite in quercia e acero (madieri) e in legno di pino e acero (ordinate), mentre il fasciame era stato realizzato in pino silvestre e marittimo. Interessanti i segni geometrici disegnati che costituivano le linee-guida per la costruzione della stessa e costituiscono una testimonianza di grande importanza.
Lo stato di conservazione del relitto
Il fondale sabbioso di Punta Scario è mobile: le tempeste invernali spostano i banchi di sabbia, e sott’acqua le foglie di Posidonia oceanica, dopo essersi distaccate dalla pianta, spiaggiano trascinate dal moto ondoso oppure vanno in decomposizione sul fondo della laguna, restando intrappolate attorno a rocce e relitti.
Questi strati compatti di mattes, di foglie e sabbia alternati, possono produrre condizioni chimiche favorevoli alla conservazione della materia organica come i legni di un fasciame. Honor Frost rivelò che lo scafo della nave era di costruzione recente, se non nuovo, e riportava ancora i segni del suo varo, evidenziati dalla freschezza dei colori e dai segni degli attrezzi e, cosa ancor più strabiliante, dalla condizione del mastice impiegato per riempire i vuoti tra le ordinate dello scafo. Questo mastice non ebbe il tempo di indurirsi poiché alcuni ramoscelli frondosi e pietre di zavorra, posizionati al di sopra in stretta successione, vi rimasero imprigionati. Possiamo immaginarci che mentre questo accadeva, sul fondo dell’imbarcazione, i carpentieri locali stavano lavorando sulle sue sovrastrutture. I trucioli e le schegge di legni rari utilizzati per questi elementi sono stati infatti ritrovati mescolati con la zavorra ed il pagliolo. Una scoperta incredibile che ci fornisce una fotografia della nave punica al momento dell’affondamento.
Frost aggiunse che furono ritrovate tracce di due sequenze alfabetiche, insieme a marchi incisi di tipo più usuale; ciò dimostra che la forma dello scafo dovette essere concepita prima della sua costruzione. Inoltre, una delle lettere fenicio-puniche fu scritta da mani diverse. Da ciò si deduce che lavorarono alla costruzione della nave numerosi carpentieri dotati di un livello di allitterazione ancora oggi sorprendente in cantieri navali tradizionali del Mediterraneo. Inoltre, il carico si distacca da quello solito delle antiche navi da carico. Non contiene né grandi recipienti per conservare l’acqua, macine e mortai per preparare gli alimenti, né grandi vasi per la cottura e ami da pesca per procurarsi del cibo fresco. Sul relitto furono trovate solo piccole coppe e scodelle per porzioni singole, mentre i liquidi erano conservati in anfore di forme diverse.
Dopo lo scavo, i resti in legno dello scafo furono posti sotto conservazione e, dal 1978, furono progressivamente assemblati a Marsala in un edificio storico sul lungomare, in prossimità di Capo Boeo, il Baglio Anselmi. Si tratta di un ex stabilimento vinicolo, risalente agli inizi del XIX secolo, nel quale dal 31 maggio 1985 ha sede il Museo archeologico. Il baglio è costituito da corpi della antica fabbrica aperti su di un ampio cortile interno. Gli spazi espositivi del museo sono stati ricavati nei due grandi magazzini dove venivano stivate le botti.
Se andate in vacanza nella splendida Sicilia, non perdete questa occasione, una visita al Museo di Marsala è vivamente consigliata. Il Museo si trova sul Lungomare Boeo, 30 – Marsala (Trapani)
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in anteprima la nave punica al Baglio Anselmi – autore Sarah C. Murray Marsala ship 4.jpg – Wikimedia Commons
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).