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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: GIAPPONE
parole chiave: Fukuryu
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Racconto oggi un progetto giapponese del 1945 per proteggere le coste dal previsto sbarco alleato: i reparti d’attacco speciale Fukuryu e le casematte collocate all’interno di scafi di bastimenti affondati. Nel numero di marzo 1947 della rivista di divulgazione scientifica statunitense Popular Science fu pubblicato questo curioso disegno con una altrettanto curiosa legenda dal titolo “Casamatta affondata presidiava la costa giapponese“. Il breve testo di accompagnamento riportava che “Una linea anti invasione si estendeva sottacqua nella baia di Tokyo. Delle casematte erano incorporate negli scafi di navi affondate ed erano equipaggiate con tre tubi lanciasiluri e un idrofono. Ogni casamatta ospitava da 40 a 50 uomini che erano sostituiti ogni dieci giorni. I viveri erano in scatola e l’ossigeno era contenuto in bombole“.
L’articolo non riportava alcuna fonte o riferimento a documenti ufficiali e una prima ricerca che ho effettuato nel web non aveva prodotto alcun risultato che corroborasse la notizia. Fortunatamente un lettore della pagina Facebook del Laboratorio di Storia marittima e navale, sulla quale ho inizialmente pubblicato la fotografia, ha segnalato che nel sito Axis History Forum vi era una conversazione inerente proprio a questo argomento. Nella conversazione venivano citati alcuni interessanti riferimenti a pubblicazioni giapponesi e soprattutto ad un rapporto ufficiale datato 31 gennaio 1946, numero di protocollo S-91(N), della “U.S. Technical Mission to Japan”, la commissione che nel 1945 fu incaricata di esaminare tutti gli aspetti della tecnologia bellica navale giapponese, intitolato “The Fukuryu Special Harbor Defense and Underwater Attack Unit Tokyo Bay”, riferentesi proprio al progetto di inserire postazioni presidiate autosufficienti a tenuta stagna ed armate con tubi lanciasiluri negli scafi di mercantili affondati lungo le zone delle coste del Giappone dove si riteneva più probabile lo sbarco delle forze d’invasione alleate. Il rapporto, che era accompagnato da alcuni schizzi, è sicuramente la fonte che ha ispirato l’articolo della rivista.
Il progetto di difesa era strettamente legato a quello delle unità subacquee d’attacco denominate Fukuryu, al quale fu dato inizio negli ultimi mesi di guerra: si trattava di un reparto di sommozzatori suicidi armati di cariche esplosive del peso di 15 kg fissate all’estremità di un palo di bambù lungo 5 m che avrebbero dovuto attaccare i bastimenti alleati. Ovviamente l’operatore sarebbe rimasto ucciso dall’esplosione. I Fukuryu (Dragone nascosto) dovevano rimanere immersi in agguato per molte ore in attesa che un bastimento gli passasse sopra; con il progredire degli autorespiratori e l’addestramento verso la fine della guerra un Fukuryu era in grado di rimanere immerso fino a dieci ore. I sommozzatori erano dotati di una tuta e di un elmetto cilindrico da palombaro con un autorespiratore ad ossigeno a circuito chiuso; la profondità massima di immersione era di 15 m e gli operatori addestrati erano in grado di modificare e mantenere una qualsiasi profondità intermedia.
Vista di fronte e di spalle dell’attrezzatura di un Fukuryu fonte: Technical Mission to Japan – 31 gennaio 1946, S-91(N).
Il sistema di difesa della costa avrebbe dovuto essere articolato su diverse linee: la prima, la più distante dalla costa, era composta da mine ancorate che al momento opportuno sarebbero state liberate dal loro ancoraggio dai Fukuryu tramite una sagola. Più vicino alla costa sarebbero state disposte tre linee di Fukuryu, distanziate di 50 m mentre i sommozzatori di ciascuna linea sarebbero stati distanziati tra loro di 60 m; gli operatori delle tre linee sarebbero stati scalati in modo da avere un uomo ogni venti metri. Le distanze erano calcolate in modo da mettere ogni uomo al riparo dall’esplosione della carica esplosiva dei suoi vicini, almeno in teoria. L’ultima linea di difesa sottomarina sarebbe stata invece composta da mine magnetiche. Dei 6.000 sommozzatori Fukuryu previsti, al termine delle ostilità solamente 1.200 erano stati effettivamente addestrati.
Furono inoltre progettate delle postazioni stagne di cemento armato in grado di ospitare da sei a 18 uomini, da collocare lungo la costa ad una profondità massima di 15 m, dalle quale i sommozzatori sarebbero usciti e avrebbero raggiunto le posizioni assegnate seguendo delle sagole appositamente predisposte, che probabilmente non furono mai realizzate. Da questo progetto originò probabilmente l’idea di installare le casematte all’interno degli scafi di mercantili che sarebbero poi stati affondati nelle aree ritenute più opportune.
L’esistenza di questo progetto fu rivelata alla commissione statunitense da un giovane studente di nome Iseki che raccontò di averne sentito parlare da un suo compagno di stanza, il guardiamarina Sakurai, che affermava di essere stato al comando di uno dei gruppi che a turno presidiavano tre postazioni subacquee di tubi lanciasiluri collocate all’ingresso della baia di Tokio; queste postazioni a tenuta stagna erano poste all’interno di mercantili affondati. La costruzione e l’armamento delle postazioni era effettuato con il mercantile in superficie; una volta completato, il bastimento era affondato con cariche esplosive nella posizione predeterminata. Ogni postazione era composta da tre compartimenti separati: la camera stagna di ingresso, il compartimento abitativo e il compartimento dei lanciasiluri. Gli uomini dell’equipaggio dotati di tute da sommozzatori erano portati in battello sulla verticale del mercantile dal quale si tuffavano e raggiungevano la camera stagna di ingresso. Una volta chiuso il portello la camera era svuotata dall’acqua e gli uomini entravano negli altri compartimenti. Gli equipaggi sarebbero stati sostituiti ogni dieci giorni.
Secondo la testimonianza la postazione era armata con tre tubi lanciasiluri brandeggiabili ed era dotata di idrofono. Non vi era nessun sistema di comunicazione con la superficie; le comunicazioni con le altre postazioni sarebbero avvenute in codice morse battendo contro le pareti.
La commissione non fu in grado di ottenere riscontri circa la reale esistenza di queste postazioni sottomarine. L’ufficiale che, secondo quanto affermato da Sakurai, sarebbe stato al loro comando negò recisamente che esse fossero state effettivamente realizzate. Poiché Iseki aveva fornito indicazioni molto precise sulla posizione dei mercantili affondati, la commissione decise di far eseguire nell’area delle ricerche tramite sonar; tra la fine di dicembre del 1945 e il 3 gennaio 1946 le ricerche furono eseguite dal cacciasommergibili PC 1137 e dal cacciatorpediniere USS Gainard (DD 706). Furono rilevati quattro contatti identificati come possibili relitti, ma la profondità alla quale si trovavano, 54 m, portò ad escludere che si potesse trattare dei mercantili dotati di postazioni lanciasiluri che avrebbero dovuto trovarsi ad una profondità non maggiore di 30 m.
Gli ufficiali dei reparti incaricati del recupero delle navi giapponesi affondate ritennero che, con gli equipaggiamenti in dotazione, non sarebbe stato consigliabile mandare dei sommozzatori ad ispezionare i contatti per cui la reale esistenza delle installazioni non poté essere confermata. In ogni modo, la commissione consigliò di bombardare i contatti con le più grosse cariche di profondità disponibili in modo da impedire ogni possibile utilizzo da parte dei giapponesi.
Aldo Antonicelli
Fonti
U.S. Technical Mission to Japan; 31 gennaio 1946, S-91(N).
https://forum.axishistory.com/viewtopic.php?f=65&t=271794&p=2482215&hilit=sunken+pillboxes#p2482215
Special Attack Units War Dead Memorial Monument Honoring Meeting; https://tokkotai.or.jp/contents/p943/
Voce Fukuryu di Wikipedia
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