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Comprendere il fenomeno degli “Houthi”

tempo di lettura: 7 minuti

 

livello elementare

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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MAR ROSSO
parole chiave: Houthi

 

E curioso come sotto un certo aspetto siamo tornati ai tempi più caldi della guerra fredda, anche nei toni e nelle forme di alcuni personaggi della politica italiana che continuano ad avere preconcetti ed ideologie che non sempre sembrano considerare gli interessi economici e politici italiani, ma anche europei. Il dibattito sulla missione ASPIDES ne è la prova, politicamente non la più importante ma sicuramente in questo momento la più controversa, senza nemmeno rendersi conto che e anche quella più impegnativa e pericolosa in quanto in politica estera non sono ammessi distinguo, soprattutto in un contesto “semi” bellico come quello in cui ci troviamo.

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Ne va della credibilità dell’Italia e della nostra sicurezza nazionale; va compreso che con questa missione  non siamo impegnati in azioni umanitarie e diplomatiche (certamente necessarie, opportune, ma collaterali e dipendenti da fattori e attori esterni con cui interloquire e coordinarsi), ma stiamo direttamente operando per la nostra sicurezza e la nostra sopravvivenza, come chiaramente viene illustrato ed approfondito nel “Rapporto mar Rosso” pubblicato dal SeaCS, il Centro Giuseppe Bono 1.

Paradossalmente pare che la cronaca, non la storia, ritorni indietro di alcuni decenni, senza che neppure il proliferare di opinionisti lo scopra; non è la “solita” azione antipirateria, gli Houthi sono un’organizzazione armata, non dei “simpatici piratini” come quelli che si disegnano nei cartoni animati, ma molto più pericolosi, per esempio, dei miliziani di Hamas. Pochi sanno quale sia la loro capacità bellica; si sa che sono riforniti con armi cinesi, iraniane e russe, spesso attraverso strani giri nei mercati grigi degli armamenti. Le cronache riportano missili, razzi, mezzi non pilotati aerei e di superficie in grande quantità (e la disponibilità sopperisce alla qualità, dei mezzi e della conduzione). Forse anche droni subacquei in grado di offendere facili obbiettivi come i cavi sottomarini per la trasmissione dei dati, che possono rivolgersi contro le navi in transito, anche con mezzi autopropulsi e mine navali come già fatto in passato. Settori specialistici per i quali, dopo la fine della guerra fredda, forse in campo nazionale non si è prestata tutta l’attenzione necessaria. L’intervento del Caio Duilio di qualche giorno fa non deve né portare a facili entusiasmi né a farci stare tranquilli, ma solo a renderci consapevoli dell’impegno che stiamo affrontando. Seppur siamo ben preparati, non meno se non più di altri Paesi alleati, stiamo esponendoci necessariamente anche a molti rischi che potremmo non coprire completamente.

Gli Houthi combattono da decenni, asse di un conflitto politico religioso tra sunniti e sciiti, e di un parallelo conflitto non solo per il controllo dell’energia ma contro un modello di sviluppo che inevitabilmente dovranno adottare i paesi arabi;  una transizione che comprende(va?) anche un modello occidentale, comprese relazioni pacifiche anche con Israele, e che vede protagonista l’Arabia Saudita guidata da Mohammed bin Salman, talvolta osteggiata anche in campo occidentale, con evidente ricorso alla disinformazione. Una visione distorta che dovrebbe allarmare tutto l’Occidente, autolesionista e di memoria corta sui propri errori, ricordando quello che avvenne in Iran dopo la Caduta dello Shah di Persia. Di fatto, colpire gli alleati dello stato ebraico è una narrazione, una “leggenda” che gli Houthi per l’Iran (o l’Iran per gli Houthi) hanno costruito e sostengono per colpire un modello di sviluppo che li avrebbe emarginati. Una narrazione che cerca di nascondere la volontà degli Houthi di usare il contesto – compresa la volontà di ascriversi come leader del network della resistenza filo-iraniana per una propria legittimazione al fine di perseguire i propri interessi nei negoziati sulla guerra civile in Yemen.

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Houthis protestano contro gl attacchi aerei della coalizione saudita a Sana’a nel settembre 2015 – Fonte Yemen Fighting Intensifies as Fears Grow of Sectarian Conflict – Autore Henry Ridgwell (VOA) Houthis protest against airstrikes 1.png – Wikimedia Commons

Gli Houthi dopo oltre dieci anni sono arrivati a un momento decisivo di trattative, vogliono mostrare i muscoli, perché sanno che è un linguaggio che può essere ricevuto dall’altro lato del tavolo dove siedono una incerta e poco attendibile Sanaa, Sauditi ed Emiratini. Un passo che più che la pace riguarda(va?) il modello o almeno i tempi e le forme di sviluppo da seguire: qualsiasi ritardo gioca a favore dell’Iran, anche se potrebbe non esserlo per gli Houthi, e che dipende dalla loro spregiudicatezza ed affidabilità nei confronti del loro mentore. Riad è stata in effetti messa in una posizione problematica dalla duplice mossa (con una unica regia) di Hamas e degli Houthi e non può “perdere la faccia” di paese arabo confessionale, con la Mecca come riferimento assoluto; sebbene da un lato vorrebbe negoziare un accordo per uscire dalla guerra, dall’altro è consapevole che qualsiasi intesa sarebbe una sconfitta da gestire attentamente. In entrambe le situazioni serve muoversi per proteggere innanzitutto la narrazione interna di un paese confessionale che sotto la guida di Mohammed bin Salman, con le buone e con le cattive, ha saputo depurare il regno, cambiando sostanzialmente linea sugli affari regionali dell’Arabia Saudita.

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Houthis nel periodo 2014-2015 presero il controllo di gran parte dello Yemen – Autore Ibrahem Qasim Houthis-control-2014-2015-arabic.gif – Wikimedia Commons

Meno di dieci anni fa, credeva fermamente nella necessità di esercitare il suo potere con la forza militare, confrontandosi, insieme agli Emirati, nello stretto di Bab el Mandeb: ora sta cercando di normalizzare una serie di situazioni complesse (dal rapporto con l’Iran alle relazioni con Israele fino alla guerra in Yemen). Mohammed bin Salman percepisce e vuol far percepire alla regione ed a tutta la comunità internazionale che la distensione generale è necessaria per creare un Medio Oriente di prosperità, non più basato solo su rendite parassitarie come quelle estrattive. Un nuovo Medio Oriente che Riad intende guidare in maniera innovativa e, come spiega una fonte saudita, sul fatto che “il nuovo Medio Oriente detesta il vecchio Medio Oriente”.

Gli Houthi giocano non una doppia ma una tripla partita e, non a caso, il loro portavoce Al Ezzi ha espresso “particolare gratitudine” all’Arabia Saudita per la sua riluttanza a unirsi agli attacchi degli Stati Uniti e del Regno Unito sullo Yemen, aggiungendo che la milizia è “desiderosa” di iniziare negoziati di pace con il Regno: “Sanaa (dice il portavoce insinuando che le milizie controllano la capitale, dunque rappresentano lo Yemen, fonte DIFESA ON LINE) è pronta per la pace con Riad nonostante le sfide poste dagli Stati Uniti e dai gruppi yemeniti ad esso associati”.

La minaccia al traffico commerciale, di cui l’Italia è una delle principali vittime, fa parte di questo cruento “gioco” che potrebbe portare ad un pericoloso riassetto per le nostre economie che danneggerebbe irrimediabilmente il nostro Paese. Per quanto sopra è del tutto evidente che l’interesse nazionale italiano si misura e si tutela con un intervento diretto italiano ed europeo, politicamente corretto ma anche più efficace con un intervento “collettivo” ampio, NATO o non solo NATO, con regole di ingaggio chiare e realmente deterrenti. Chi è in prima linea deve essere supportato, non limitato con il rischio che il timore (delle interpretazioni) prevalga sulla loro indiscussa capacità e abilità

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Il cacciatorpediniere lanciamissili classe Arleigh Burke USS Carney (DDG 64) intercetta missili e droni lanciati dagli Houthi nel Mar Rosso, il 19 ottobre. Carney è schierato nell’area operativa della 5a flotta degli Stati Uniti per contribuire a garantire la sicurezza marittima e stabilità nella regione del Medio Oriente – Autore U.S. Foto della Marina dello specialista di comunicazione di massa di seconda classe Aaron Lau USS Carney engages Houthi missiles 2.jpg – Wikimedia Commons

L’importanza politica di questo intervento risiede anche nel fatto che si tratta di una missione europea in cui l’Italia ha un ruolo di primo piano; servirà a coprire, a sostenere, a garantire rotte marittime per noi fondamentali. Non ultimo va ricordato che, anche se il comando operativo è insediato a Larissa, Grecia, il comando tattico delle forze in mare è affidato all’Italia. È un passo significativo per noi, per il ruolo dell’Italia, per la sicurezza delle rotte marittime globali e dunque per la sicurezza collettiva: potrebbe essere un primo segnale di risposta comune europea che per l’Italia coincide con la guida semestrale del G7; una sorta di banco prova, con precedenti nelle passate riunioni, visto che in futuro i meeting del G7 mireranno a consolidare sempre di più la sorveglianza navale come tutela della sicurezza e del benessere di tutti. Come è stato detto in un recente dibattito parlamentare, quando la storia corre, gli equilibri si ridisegnano, i popoli e gli Stati possono decidere di stare in seconda fila e seguire le partite scritte da altri, oppure si assumono le responsabilità anche accettando, come è ovvio, i rischi del caso. Nulla di nuovo sotto il sole, soprattutto per la memoria corta occidentale e quella ancora più labile  italiana: l’attuale crisi del Mar Rosso ha un parallelo, se non ne è la replica, della “guerra dei tanker” degli anni ’80, altrettanto cruenta, anche se all’epoca si stette alla finestra, e tutto il peso del conflitto ricadde sulla U.S. Navy; un precedente che è forse il caso di rivisitare anche alla luce delle incognite della prossima campagna elettorale statunitense e dei diversi equilibri che potrebbero derivarne.

Gian Carlo Poddighe
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Note

  1. https://www.academia.edu/115347980/Rapporto_SEACS_La_crisi_nel_Mar_Rosso_contesto_e_implicazioni_globali?email_work_card=view-paper
  2. Difesaonline Houthi di ieri e di oggi – Difesa Online

 

in anteprima il Caio Duilio – foto marina militare italiana

 

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