livello elementare
ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Mediterraneo allargato
Le minacce securitarie nel Mediterraneo allargato
Il Mediterraneo allargato, come accennato, è una regione di grande importanza geopolitica, caratterizzata da una complessa intersezione di culture, interessi e sfide e, purtroppo, conflitti. Pertanto, in questo momento storico non si può non rivolgere uno sguardo ai conflitti che hanno determinato le più forti instabilità nel Mediterraneo allargato. Tralasciando la guerra in Ucraina, la cui parola fine è ancora lontana dall’essere scritta, l’evento più significativo, dopo la deflagrazione dei Balcani alla fine degli anni ‘90, è stato la caduta, il 31 ottobre 2011, del regime di Gheddafi che ha provocato una ultradecennale instabilità politica e militare in un Pase chiave dell’Africa settentrionale.
A questo proposito è necessario soffermarsi sull’amaro prezzo che l’Unione europea, una potenza regionale che avrebbe dovuto essere la principale protagonista dell’area – non fosse altro per i numerosi Stati membri (SM) che vi si affacciano sul Mediterraneo – ha pagato e continua a pagare per la mancanza di una politica estera comune conseguente ad un vuoto normativo derivante dagli accordi istitutivi. Vuoto che non è stato sanato neanche con il “Trattato di Lisbona” del 2010 che ha creato il Servizio Europeo per l’Azione esterna (SEAE) “per rendere più coerente ed efficace la politica estera dell’UE e rafforzare così l’influenza dell’Europa sulla scena mondiale. ”[13]
E proprio la mancanza di una comune visione politica e soprattutto geostrategica non ha consentito di gestire con una prospettiva unitaria le cosiddette “primavere arabe”,[14] e tra queste e quella libica. Deflagrata il 15 febbraio del 2011, l’insurrezione libica raggiunse il suo culmine nella “giornata della collera” (17 febbraio)[15], trasformando una protesta che sembrava potesse essere circoscritta alle sole zone orientali del Paese, e di essere controllata dalle Forze di Sicurezza libiche, in un vero e proprio conflitto, favorito dall’ “attivismo francese ed inglese”.
Infatti, l’intervento francese si può ricondurre in un quadro più ampio e a scelte essenzialmente di politica interna: “di fronte a sommovimenti capaci di sovvertire gli equilibri di un’area strategica come quella nordafricana, la Francia apparve non soltanto confusa ma anche profondamente collusa con quei regimi autocratici che i rivoltosi volevano rovesciare. Il presidente Sarkozy ed i suoi collaboratori trassero a quel punto la conclusione che lo status quo sarebbe stato più destabilizzante del cambiamento e che era ormai cruciale garantire il successo economico e politico della transizione. […]. Nondimeno, ad un anno dalle elezioni presidenziali e con un tasso di approvazione in discesa, Nicolas Sarkozy aveva bisogno di un successo internazionale che ne rinsaldasse la credibilità presso l’elettorato.” [16]
Anche il Regno Unito fu sostanzialmente colto di sorpresa dalla rivolta libica e “Di fronte all’evolversi della situazione, ed in seguito ad una serie di passi falsi molto simili a quelli francesi che dimostravano in modo imbarazzante quanto profonda fosse la collusione con le autocrazie mediorientali, Cameron convenne con i francesi che lo status quo fosse insostenibile e che bisognasse intervenire per evitare che i dittatori riprendessero il controllo a spese dei civili o che le rivolte fossero infiltrate dai jihadisti e la transizione dirottata dagli islamisti.”[17] Pertanto, gli anglo-francesi, basando le loro analisi su questi presupposti e per far fronte ad una crescente diminuzione della popolarità dei due leaders, dopo l’approvazione della Risoluzione n. 973 del 17 marzo 2011 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, senza alcun preventivo coordinamento in ambito europeo, lanciarono, il successivo 19 marzo, raid aerei nella zona di Bengasi. Solo una successiva intesa sul piano politico – diplomatico indusse il presidente Sarkozy ad accettare un compromesso che facesse rientrare il comando e controllo operativo della missione in ambito della NATO, che approvò così l’operazione “Unified Protector”[18] conclusasi con la caduta del Regime libico. Oltre alle guerre combattute con metodi convenzionali, altra fonte di instabilità ed incertezza è la così definita “guerra ibrida” che affligge l’area. Come osservato da Sanfelice di Monteforte “Nel parlare di misure di guerra ibrida bisogna anzitutto tener presente che la fantasia umana, unita alla capacità di individuare il punto debole dell’avversario, è tale che ogni tentativo di elencazione sarà per forza di cose incompleto”.[19] Tra quelle più generali, come annotato dallo stesso autore, si può citare la “cosiddetta arma economica”, nelle sue varie forme, tra cui si possono citare “l’embargo, l’imposizione di dazi o di standard, le restrizioni finanziarie, la negazione di beni e tecnologie, o il finanziamento e il rifornimento di armi a una parte in lotta, a sfavore dell’altra.”[20].
team di controllo della USN su attività sospette in mare – U.S. Navy photo, by Mass Communication Specialist 2nd Class Jason R. Zalasky/RELEASED) – wikimedia commons
Tali strumenti, sulla cui reale efficacia non ci si dilunga per linearità di trattazione, sono stati già utilizzati alla fine degli anni ’90 nei confronti di Paesi balcanici ed ora sono nuovamente attivi, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, sotto forma di sanzioni economiche contro la Federazione Russa.
Il Mediterraneo allargato non è però soltanto un teatro di “scontro tra Stati”, ma vi operano soprattutto organizzazioni criminali efficienti e senza scrupoli che si contendono il predominio dei traffici illeciti, tra i quali quello degli stupefacenti e delle armi[21] e, dopo la destabilizzazione della Libia, di esseri umani. Uno dei problemi più urgenti, come rilevato anche dall’Agenzia per i Rifugiati dell’ONU (UNHCR), è proprio l’attività del traffico di esseri umani – con persone che sono costrette ad affrontare pericolosi viaggi via mare che spesso sfociano in tragedie – gestito dai gruppi criminali transazionali senza scrupoli e del conseguente afflusso di centinaia di migliaia di persone in cerca di sicurezza e opportunità in Europa.
E i disperati da sfruttare non sono pochi: proprio il rapporto “Global Trends in Forced Displacement 2022”, presentato nel decorso giugno dall’UNHCR, fotografa una situazione allarmante: infatti, secondo l’Agenzia le guerre in corso e gli sconvolgimenti provocati dal clima, le persecuzioni, le violenze e le violazioni dei diritti umani hanno costretto il numero record di 108,4 milioni di persone a fuggire dalle proprie case, con un aumento senza precedenti di 19,1 milioni rispetto all’anno precedente. “Nell’anno in corso, il trend in crescita del numero di persone costrette alla fuga a livello globale non mostra segni di rallentamento anche a causa dello scoppio del conflitto in Sudan che ha causato nuovi esodi, spingendo il numero totale delle persone in fuga a un valore stimato di 110 milioni fino al maggio scorso.”[22] Sul punto non si può sottacere che alcuni governi che si affacciano sulla sponda africana del Mediterraneo chiudano un occhio sull’immigrazione irregolare verso l’Europa, per costringere quelli più vicini ai confini, in particolare Italia, Grecia e Spagna a cedere alle loro richieste, soprattutto di natura economica. Questa situazione mette in crisi i Paesi della costa mediterranea e crea tensioni tra gli Stati membri sulla questione della distribuzione dei rifugiati, evidenziando, come si legge dalle cronache, ancora una volta una carenza di una visione politica e strategica comune a livello dell’Unione. Per ultimo, non certo per importanza e pericolosità, va citato il terrorismo internazionale, in una regione che è stata terreno fertile per la nascita e la crescita di diversi gruppi che costituiscono una minaccia imminente sia per la sicurezza interna dei paesi della regione sia per le sue implicazioni globali.
Basti ricordare che, a partire dall’inizio del nuovo millennio, dapprima gli Stati Uniti e poi l’Europa sono stati colpiti da ripetuti attentati terroristici di matrice jihadista. Il numero degli attacchi, solo apparentemente diminuiti con la pandemia da SARS-COV-2, si è mantenuto invece sostanzialmente costante nel ventennio 2000 – 2020, come si evince da uno studio appena pubblicato dal “Centro Italiano di Strategia e Intelligence (CISINT)” sulla rivista “Osservatorio per la Sicurezza del Sistema Industriale Strategico Nazionale (O.S.S.I.NA”). [23] Difatti sono stati registrati nel ventennio in esame ben 644 attacchi contro obiettivi c.d. “MacroTarget ESIF (Essential Services, Infrastructures and Facilities)”, appositamente individuati, ubicati nei Paesi del G7.
Il terrorismo è diventato dunque ancora più subdolo poiché ricollegabile principalmente a soggetti radicalizzati che per commettere atti di violenza ricorrono a modi operandi più semplici, come attacchi all’arma bianca o con vetture. Tra i potenziali attentatori figurano persone radicalizzate, soggetti di rientro da zone di conflitto o tornati in libertà anche in considerazione che, come lucidamente osservato da Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte “Seppur strutturalmente modificata, Al Qaeda è ancora attiva e pericolosa, ma opera in modo diverso. Ad essa poi, anche solo guardando alla galassia jihadista, si sono affiancati altri non state-actor, suoi affiliati come Al Qaeda nel Maghreb Islamico o nella Penisola Arabica, e suoi competitor, come l’Islamic State e i numerosi gruppi che a lui hanno giurato fedeltà in un po’ tutti i continenti consentendogli di poter nominalmente avere “province” ovunque”.[24]
Orbene questo aumento non ben definito dei gruppi, rende ancor più difficile per gli apparati di sicurezza individuare con una certa precisione da quale direzione possa provenire un attacco, tanto che i Paesi occidentali sono stati colpiti “talvolta anche in modo strumentale solo per guadagnare visibilità all’interno della galassia jihadista”.[25]
Così come non si può non ricordare la minaccia costituita dai “gruppi dell’estremismo violento”, anche di “origine endogena” con ideologie ricollegabili all’estrema destra ovvero a quelle suprematiste bianche, difficili da identificare poiché non strutturati gerarchicamente ed operanti prevalentemente sui social, privi di forme di fonti di finanziamento facilmente tracciabili, i quali si possono trasformare rapidamente in finalizzatori di atti terroristici. Al riguardo, sempre Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte ha sottolineato che “È soprattutto negli Stati Uniti, dopo i noti fatti del 6 gennaio 2021, che si è iniziato a guardare con occhi diversi all’ “estremismo bianco”, identificandolo come “terrorismo interno” e conseguentemente “nemico interno”, accostando la sua potenziale pericolosità a quella del terrorismo jihadista, da sempre considerato in America come un terrorismo che viene dall’estero. Ma il pericolo che viene dall’estremismo bianco razzista, xenofobo, antisemita e islamofobico è ormai avvertito chiaramente un po’ ovunque, e si è già drammaticamente concretizzato in attacchi sanguinosi in diversi continenti, seppur condotti in modo apparentemente autonomo e da persone con motivazioni non totalmente assimilabili.[26]
Fine III parte – continua
Salvatore Ronzo
da IL MEDITERRANEO ALLARGATO: LE SFIDE SECURITARIE NELL’ATTUALE CONTESTO GEOPOLITICO ED IL RUOLO DELL’ITALIA – Salvatore Ronzo – Mediterranean Insecurity di
Note
[14] Le “Primavere arabe del 2011” avevano suscitato le speranze di possibili mutamenti nelle società arabe che si affacciano sul Mediterraneo con conseguenti riforme della giustizia e concessioni di maggiori diritti ed equità sociali. ma che si sono poi rilevate foriere di forti instabilità dell’area.
[15] Il 17 febbraio furono inscenate manifestazioni nelle piazze di numerose città del Paese favorendo rivolte ed evasioni dalle carceri dai penitenziari di Tripoli e Bengasi.
[16] Palma L., La caduta di Gheddafi e la frantumazione della Libia, in ISPI, 18 giugno 2021, in https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-caduta-di-gheddafi-e-la-frantumazione-della-libia-30903
[17] Ibidem.
[18] https://www.nato.int/cps/en/natolive/71679.htm. L’operazione aveva tre principali ambiti d’azione: il controllo dell’embargo militare, la no-fly zone e le azioni per proteggere i civili da attacchi o da minacce di attacchi.
[19] Sanfelice di Monteforte F., Scenari di guerra ibrida nel Mediterraneo allargato, in Quadarella Sanfelice di Monteforte L. (a cura), Mediterranean Insecurity – vol. 2 – raccolta articoli 2019-2020, Roma, 2022, e in https://www.mediterraneaninsecurity.it/scenari-di-guerra-ibrida-nel-mediterraneo-allargato-amm-sq-ferdinando-sanfelice-di-monteforte/
[20] Ibidem
[21] Ronzo S., Un altro aspetto della guerra in Ucraina: quale sarà la destinazione finale delle armi occidentali? Cadranno nelle mani di gruppi terroristici e/o criminali?, in Mediterranean Insecurity, Aprile 2023, in https://www.mediterraneaninsecurity.it/un-altro-aspetto-della-guerra-in-ucraina-quale-sara-la-destinazione-finale-delle-armi-occidentali-cadranno-nelle-mani-di-gruppi-terroristici-e-o-criminali-salvatore-ronzo/
[23] Carbonelli M., Todaro C. e Iavarone V., La protezione antiterrorismo degli asset industriali strategici: analisi degli eventi storici e mitigazione dei rischi, 2023, in https://www.cisint.org/cms/wp-content/uploads/ossisna_17_la_protezione_antiterrorismo_degli_asset_industriali_strategici_2023.pdf
[24] Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Da dove viene la minaccia? La nuova dimensione del counter terrorism, in Quadarella Sanfelice di Monteforte L. (a cura), Mediterranean Insecurity Vol.4 – Raccolta articoli 2022, Roma, 2023, pag. 157, o in https://www.mediterraneaninsecurity.it/da-dove-viene-la-minaccia-la-nuova-dimensione-del-counter-terrorism-laura-quadarella-sanfelice-di-monteforte/
[25] Ibidem
[26] Ibidem
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