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Titolo : Impariamo a ridurre le plastiche in mare

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  Address: OCEAN4FUTURE

Armi subacquee: dalle torpedini ai primi siluri – parte I

Reading Time: 7 minutes

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: ARMI SUBACQUEE
parole chiave: torpedini, siluri

 

In ambito anglosassone è ancora in uso il termine torpedo per indicare l’arma subacquea forse più nota, il siluro, che richiama alla memoria un’altra arma precedente, la torpedine, che nel tempo diventò la mina navale. Un’arma subacquea che, dopo un lungo cammino costellato di incertezze e insuccessi, ha raggiunto oggi una sua maturità.

Le origini
La denominazione “torpedine” deriva da un  genere di animali marini, le razze elettriche, appartenenti all’ordine dei Torpediniformes, che presero il loro nome dal latino “torpere“, riferito a qualcosa di poco mobile (la parola torpore ha la stessa radice) ma in grado di sorprendere come nel caso dell’omonimo pesce in grado di emettere forti scariche elettriche.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 1200px-FultonNautilus-1024x736.jpg

il Nautilus di Fulton, disegno 19° secolo – autore sconosciuto
File:FultonNautilus.jpg – Wikimedia Commons

In ambito navale, il termine torpedine fu usato per la prima volta dall’americano Robert Fulton, che così battezzò un tipo di carica di polvere da sparo rimorchiata attivata da acciarini a contatto per affondare le navi avversarie.

Nonostante Fulton non fosse un militare, e tanto meno un analista di problemi strategici, aveva una concezione molto moderna del potere marittimo che sintetizzava con “la liberté de la mer fera le bonheur de la terre“. Fulton comprese che il dominio sul traffico marittimo avrebbe permesso di indebolire lo strapotere inglese sui mari. Nell’impossibilità di poterlo contrastare alla pari, si rendeva quindi necessario sviluppare una nuova arma,  insidiosa e rivoluzionaria. Fulton, ispirandosi all’american turtle di Bushnell, progettò un innovativo battello subacqueo che fu chiamato Nautilus.

Per poter fornire un’adeguata letalità alla sua invenzione, Fulton sviluppò il barilotto di Bushnell, utilizzando delle cariche, che vennero denominate torpedini. Come sappiamo, negli anni a venire la torpedine divenne sinonimo di mina subacquea e di siluro. Il termine torpedo venne quindi mutuato per le cariche esplosive sommerse o ancorate che oggi chiamiamo “mine navali“. 

Durante la guerra civile americana, Matthew F. Maury, un eclettico scienziato, astronomo e geografo di fama internazionale, ideò il primo sistema elettrico per comandare a distanza le mine navali. Un’innovazione importante che consentì al capitano Beverly Kennon di effettuare il minamento del fiume Potomac e di creare la prima barriera di difesa costiera della storia lungo il Mississippi.

Nel 1886, la UK Royal Navy realizzò un sistema per regolare a priori la quota delle casse delle torpedini. Fino ad allora, esse venivano posate con una lunghezza del cavo di ormeggio (ovvero tra la cassa e l’ancora fissa) uguale a quella necessaria per collocare l’arma alla quota desiderata. In realtà non era una regolazione semplice in quanto era necessario avere una conoscenza accurata delle batimetrie per evitare di posare le mine navali a profondità maggiori di quelle desiderate, e renderle così inutilizzabili. All’epoca si si usava ancora il termine torpedini, per identificare questi ordigni, per lo più statici o, come nel caso del David, posizionati alle estremità di lunghi pali prodieri. Questi venivano impiegati per speronare le navi nemiche, portando così le cariche a contatto con lo scafo avversario. L’esplosione della carica avveniva meccanicamente al momento del violento urto. In entrambi i casi si trattava di armi non autopropulse, ben lontane dal siluro. 

Il CSS David era una torpediniera modificata confederata che, il 5 ottobre 1863, effettuò un attacco, parzialmente riuscito, contro la USS New Ironsides che stava partecipando al blocco di Charleston, nella Carolina del Sud. Il battello aveva la forma di un sigaro e trasportava una carica esplosiva di 61 kg di polvere da sparo posta all’estremità di un longherone che sporgeva in avanti dalla sua prua. La novità del suo impiego era che operava come un semi-sommergibile: la zavorra d’acqua era contenuta in cisterne in modo che emergessero fuori dell’acqua solo la torre di comando e il fumaiolo per la caldaia apparissero. Per diminuire la sua visibilità bruciava antracite (un carbone che brucia senza fare fumo). Il David, denominato spar-torpedo, pur essendo sostanzialmente un mezzo navale, rappresentò il primo tentativo di utilizzare dinamicamente una carica esplosiva.  Il termine “siluro” si riferisce alla forma di pesci appartenenti all’ordine dei Siluriformi, denominazione a sua volta derivata dal nome greco σίλουρος dei Pesci Gatto. Il nome si deve all’ammiraglio Simone Pacoret de Saint-Bon a cui si devono l’introduzione delle navi classe Caio Duilio, progettate da Benedetto Brin, i relativi armamenti pesanti, la prosecuzione degli studi sulle torpedini statiche, l’introduzione del siluro (così definito in Italia per distinguerlo dalla torpedine, che invece era statica) e la nascita della specialità Torpedinieri nella Regia Marina. Photo credit: Alteratocca Terni – Collezione di provenienza: ammiraglio Roberto Liberi

In entrambi i casi si trattava di armi subacquee non autopropulse, ben lontane dal siluro come lo concepiamo oggi. 

La nascita del siluro
Il termine siluro su deve ad un celebre italiano, l’ammiraglio Simone Pacoret de Saint-Bon a cui si devono l’introduzione delle navi classe Caio Duilio, progettate dall’ammiraglio Benedetto Brin, la prosecuzione degli studi sulle torpedini statiche, l’introduzione del siluro (così definito in Italia per distinguerlo dalla torpedine, che invece era statica) e la nascita della specialità Torpedinieri nella Regia Marina.

Il termine “siluro” si riferisce alla forma di pesci appartenenti all’ordine dei Siluriformi, denominazione a sua volta derivata dal nome greco σίλουρος dei Pesci Gatto. La prima arma subacquea che si avvicinò al siluro moderno si deve al capitano di fregata Giovanni Biagio Luppis, un ufficiale della Marina austroungarica, nato a Fiume nel 1813, che ideò il salvacosta, un barilotto semovente galleggiante, mosso da un meccanismo ad orologeria che conteneva una carica esplosiva.

L’ordigno, lungo circa un metro, disponeva di due timoni, di una vela in materiale vitreo e di una carica esplosiva, che sarebbe stata attivata al momento dell’impatto contro il bersaglio. Un progetto innovativo ma che risultò poco affidabile ed i cui primi prototipi, presentati nel 1860 ufficialmente nel porto di Fiume all’imperatore Francesco Giuseppe, non suscitarono molto interesse.

Il caso volle però che Luppis conobbe Robert Whitehead, un ingegnere ed imprenditore britannico all’epoca direttore dello Stabilimento Tecnico Fiumano. Lo scambio di idee e la possibilità di un comune interesse economico, fece si che, nel 1864, nascesse un accordo che alla lunga si rivelò proficuo per entrambi. 

 

In pratica, Robert Whitehead modificò l’idea del visionario fiumano Luppis realizzando, nel 1866, il primo mezzo subacqueo autonomo, un cilindro affusolato, della lunghezza di tre metri e mezzo con quattro lunghe pinne che si estendevano quasi per tutta la lunghezza del corpo. Il suo diametro era di 356 millimetri e, nella sua parte anteriore trasportava una carica esplosiva di fulmicotone di poco superiore ai 15 chili. Dal disegno che vedete si notano le differenze peculiari tra il salvacosta e il primo siluro costruito da Whitehead.  

Il siluro era propulso da un motore bicilindrico a V, basato su due cilindri eccentrici (immagazzinata in una bombola caricata ad aria compressa a 30 atmosfere); la pressione provocava la rotazione diretta del cilindro esterno (circa 100 giri/min) che era accoppiato all’unica elica. Il siluro poteva  raggiungere una velocità di circa 6,5 nodi, nelle prime 200 iarde, che si riduceva gradualmente nelle ultime 100.

I primi test della nuova arma subacquea, chiamata inizialmente Minenschiff, furono effettuati dalla cannoniera austriaca «Gemse», attrezzata con un tubo di lancio (ideato dallo stesso Whitehead) collocato a prora. Si trattò di oltre 50 prove di lancio eseguite davanti allo stabilimento di Whitehead, nella rada del porto di Fiume. Una nota rosa, il comandante del Gemse, il tenente di fregata conte Georg Anton von Hoyos, in seguito sposò la figlia di Whitehead, Alice. E’ il caso di dire il siluro fu galeotto.

Nacque così il primo siluro, almeno come lo concepiamo oggi, che fu presentato ufficialmente alla Commissione Navale Imperiale austro ungarica il 21 dicembre 1866.

L’arma, sebbene avesse problemi di stabilità, fu comunque considerata rivoluzionaria in quanto dopo il lancio poteva colpire in maniera autonoma le altre unità navali a più di … 900 metri. La limitata velocità e distanza fu migliorata in breve tempo ed i siluri furono in grado di viaggiare a 18 nodi (1876), 24 nodi (1886) e infine a 30 nodi (1890). Questo grazie ad una eccellente collaborazione tr ai tecnici e i futuri utenti. Ne furono costruiti numerosi molti modelli, ed il più grande era un gigante per l’epoca: 5,8 metri di lunghezza con un diametro di 457 mm fu realizzato sia in acciaio lucidato che in bronzo al fosforo. La sua carica esplosiva era di 90 chilogrammi di fulmicotone. L’aria compressa, a circa 90 atmosfere, muoveva le due eliche, attraverso un motore Brotherhood a tre cilindri. 

Fine  I parte – continua

Andrea Mucedola

 

Nota
Ringrazio la Rivista Marittima per la gentile concessione alla pubblicazione del saggio che è stato arricchito di nuove informazioni e diviso in sei parti per facilitarne la lettura. A differenza della prima versione, ho escluso la situazione dei siluri italiani (contenuta nell’articolo pubblicato sulla Rivista Marittima, 2022) che riprenderò in un saggio dedicato.

in anteprima Mécanisme d’une torpille Whithehead – 1891 – stampa Louis Poyet – Revue “la Nature” File:Torpille Whitehead.jpg – Wikimedia Commons

 

Riferimenti
Edwyn Gray, Nineteenth Century Torpedoes and Their Inventors, Naval Institute Press, Annapolis, Maryland, (2004).
Karl Doenitz, Memoirs: Ten Years And Twenty Days Paperback, March 22, (1997).
David Wright, Habersham, Wolves Without Teeth: The German Torpedo Crisis in World War Two (2010), Electronic Theses and Dissertations.
Caly Blair, Hitler’s U-Boat War: The Hunters 1939-1942. New York: Random House, (1996).
Stephen Roskill, The War at Sea 1939-1945, Vol. II (Uckfield, East Sussex, United Kingdom, Naval & Military Press, (1956).
Buford Rowland, William B.Boyd, U.S. NAVY Bureau of Ordnance in World War II, Chapter VI, the Library of the University of California, (1953).
OP 635 (1st Rev)-TORPEDOES MK 14 AND 23 TYPES manual.
Winston S. Churchill, The Second World War, Vol Two: Their Finest Hour (Boston: Houghton Mifflin, (1985).
Morison, Samuel, History of United States Naval Operations in World War II, Vol 10, The Atlantic Battle Won, May 1943-May 1945. Champaign, University of Illinois Press. ISBN 978-0252070617, (2002).
Gian Carlo Poddighe, Sistemi di protezione subacquea nella Seconda guerra mondiale. Precedenti, scelte, tecnologie, aspetti costruttivi, (2018).
Giorgio Miovich, Sistemi d’arma delle forze A/S e subacquee con elementi di acustica subacquea, edizioni Accademia navale Livorno, (1978).
Erminio Bagnasco, Maurizio Brescia, Sommergibili italiani 1940-1943 parte I Mediterraneo, Dossier Storia Militare, (2013)
Philip A. Crowl, “Alfred Thayer Mahan: The Naval Historian” in Makers of Modern Strategy from Machiavelli to the Nuclear Age, ed. Peter Paret (Oxford: Clarendon Press, 1986)

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