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livello elementare.
ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: GOLFO PERSICO
parole chiave: Iran
Il quadro geopolitico
Il Golfo Persico è una regione estremamente importante non solo per l’economia mondiale, ma anche per la stabilità generale di quella zona di interesse strategico nota come Mediterraneo allargato. Si tratta di un’area tormentata da scontri politici e militari (da ultimo la guerra civile in Yemen), spesso aggravati da antiche e vivaci dispute ideologiche e religiose, ed è stata da molti definita come una pericolosa mina vagante del mondo contemporaneo, potenzialmente in grado di condizionare l’avvenire di tutti quei paesi che, direttamente o indirettamente, vi gravitano attorno economicamente e/o politicamente.
Come ho già accennato, l’instabilità dell’area è generata sia dalla difficile convivenza di due colossi come Iran e Arabia Saudita, divisi per il diverso orientamento religioso (sciita il primo e sunnita il secondo) e avversari per il predominio sull’area, sia a causa della fragilità interna dei vari reami ed emirati, ancora in parte organizzati in maniera feudale, che si trovano affacciati sul Golfo. Una miscela esplosiva che potrebbe mettere in serio pericolo l’economia mondiale. Dopo circa trent’anni di guerra (Iran-Iraq, Golfo I e II) l’equilibrio dell’area ne è infatti uscito profondamente mutato e l’intera regione, importantissima per l’approvvigionamento mondiale di petrolio e cerniera dei rapporti con l’Asia, si è trovata in un contesto nuovo e, per molti versi, ancora in evoluzione. La delicatezza dell’area, che racchiude uno specchio di mare che misura circa 160 miglia di larghezza per circa 460 miglia di lunghezza, è ancor più messa in evidenza dalla sua particolare conformazione orografica. Basti pensare a ciò che rappresenta, per il traffico mercantile, il passaggio obbligato attraverso lo Stretto di Hormuz.
Posto tra Iran e penisola arabica esso è al centro delle rotte marittime più importanti al mondo, soprattutto per il commercio del petrolio. Tanto per comprendere la sua portata economica, la sola Arabia Saudita, nel 2018, ha fatto passare nello stretto circa 6,5 milioni di barili di petrolio al giorno. E proprio lo stretto di Hormuz si è trovato al centro di una grave crisi internazionale nel recente passato. È lì che tra attacchi alle petroliere e abbattimenti di droni, nel corso del 2019, si è accentuata la competizione tra Iran da una parte e Stati Uniti e alleati dall’altra. In tale ambito Riyad non ha più relazioni diplomatiche con Teheran dal 3 gennaio 2016. Ultimamente Abu Dhabi, invece, sembra cercare un avvicinamento a Teheran tant’è che, il 13 agosto 2021, ha annunciato di voler normalizzare i suoi rapporti con quel Paese. Un annuncio a sorpresa che non ha mancato di suscitare alcune perplessità anche in Iran, dato che il successivo 15 settembre, gli EAU hanno firmato gli accordi di Abramo, atto con il quale Israele – acerrimo antagonista di Teheran – è diventato un attore a pieno titolo dell’architettura di sicurezza del Golfo, come subito sottolineato con la partecipazione alle esercitazioni navali coordinate da USCENTCOM. In tale ambito il Qatar, dopo la composizione dei dissidi con i Sauditi (5 gennaio 2021), generati dalla grave crisi del 5 giugno 2017, si è proposto come mediatore tra questi e gli ayatollah, organizzando incontri che però finora non hanno dato risultati degni di nota (l’ultima il 21 aprile 2022). Mentre parla con “lingua di liquirizia”, auspicando un’intesa con i sauditi come unica maniera per rasserenare il quadro securitario dell’area, l’Iran continua infatti ad agire sul mare (per esempio il caso del Jamaran).
In tale ambito gli USA, nonostante la generale politica di disingaggio attuata dal presidente Trump, hanno voluto mantenere una forte presenza militare navale nell’area, prevalentemente grazie all’alleato saudita, con l’”Operation Sentinel” congiuntamente a unità della Gran Bretagna, Israele e Corea del Sud. L’Amministrazione Biden, sul teatro mediorientale, appare ancora applicare una strategia debole e senza un chiaro orizzonte, come confermato dalla caotica fuga statunitense da Kabul nel 2021. La Russia e particolarmente la Cina, come detto, si affidano all’Iran per assicurarsi una capacità di partecipazione alle questioni locali. Tuttavia, la loro influenza sarà probabilmente temperata dalle complesse storie locali e dalle molte rivalità etniche e settarie. Tutti questi interessi nazionali si traducono in una significativa presenza militare navale nell’area nel quadro di operazioni multinazionali, la cui capacità di deterrenza nei confronti di possibili impedimenti alla libertà di navigazione si manifesta prevalentemente con attività di scorta ai mercantili, ritenuti il più probabile obiettivo di azioni ostili.
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E l’Europa?
Alcuni paesi europei hanno deciso di avviare un’operazione denominata AGENOR nell’ambito dell’iniziativa “European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz” (EMASOH), che si pone l’obiettivo di garantire la presenza europea in quest’area sensibile con un contingente militare a connotazione prevalentemente marittima, per evitare possibili rischi a navi mercantili e agli equipaggi in transito, elemento essenziale per l’economia del vecchio continente.
L’Italia partecipa con una sua unità e, dal luglio 2022, ha assunto il comando tattico del dispositivo. Questo impegno, unitamente agli altri impegni navali internazionali in cui l’Italia è presente sui mari del mondo a pieno titolo, necessita che le navi siano pienamente operative. Ciò richiede lungimiranza politica e l’applicazione di una concreta visione strategica, che permetta di mettere da parte interessi di parte e obsolete e restrittive visioni del passato. Essendo nostro preciso interesse rimanere in quelle acque è quindi indispensabile assicurare ogni possibile supporto alle nostre unità, consentendo loro di poter efficacemente “battere l’onda” a tutela del prestigio, dei legittimi interessi e dell’economia nazionale.
Conclusioni
L’orientamento, o la vocazione marittima, di un paese si giudica valutando l’importanza assegnata alla dimensione navale in rapporto a quella terrestre. In tale ambito, non sembra che Teheran assegni una particolare valenza agli aspetti marittimi rispetto a quelli della sicurezza e della stabilità interna. L’orientamento marittimo iraniano, che ha costituito la principale direttrice strategica durante l’ultimo periodo imperiale (1925-1979) è, quindi, diventato “solo” uno dei mille aspetti della risposta militare asimmetrica della Repubblica islamica, per preservare la sua identità ideologica senza rimettere in discussione la sopravvivenza dello Stato rivoluzionario. Un sistema di potere attento soprattutto alla situazione interna dove le attuali diffuse proteste contro un metodo troppo asfissiante potrebbero, in caso di concomitante grave crisi militare, provocare cedimenti o prestarsi a manovre sovversive del regime, per gli ayatollah prezioso patrimonio da salvaguardare prima di ogni altra cosa. Anche se il budget militare è cresciuto dai 16,5 miliardi di USD del 2020 ai circa 25 miliardi del 2021 e anche se, nonostante le restrizioni imposte dalle sanzioni, ha mantenuto una certa capacità industriale di produzione di missili e droni, l’Iran non appare in grado, nel breve e medio periodo, di sostenere uno scontro navale maggiore o di impedire il transito delle navi da e per il Golfo Persico attraverso l’applicazione della strategia Anti Access/Area Denial (A2/AD), una strategia tipicamente difensiva, applicata generalmente da chi sa bene di non avere la forza per imporre la propria volontà sui mari. A ciò va tuttavia aggiunto che proprio l’esistenza dello Stretto di Hormuz presenta anche aspetti negativi per Teheran. Se, infatti, da un lato é la sola via per raggiungere l’Iran via mare (in particolare il grande porto di Bandar-Abbas), dall’altro è anche il suo unico accesso alle grandi rotte commerciali, dato che al momento ci sono solo annunci circa l’esistenza di progetti per la costruzione di una grande porto commerciale nei pressi di Jask. Quando sarà eventualmente realizzato, tuttavia, sarebbe comunque l’unico approdo lungo i suoi quasi 640 km di costa sul Mar Arabico. Di conseguenza, a tutt’oggi, anche le rotte commerciali iraniane (specialmente quelle del petrolio) sono ancora prigioniere delle forche caudine di Hormuz.
Se da un lato Teheran vorrebbe aspirare a essere un attore marittimo globale (nel settembre 2021 una flottiglia ha partecipato ad alcune manovre sull’Oceano Atlantico) e nonostante la guida suprema Alì Khamenei si sforzi di sottolineare regolarmente gli autarchici progressi marittimi di Teheran, come l’entrata in servizio del catamarano Soleimani (foto apertura) lo scorso settembre, nel breve e medio termine le sue ambizioni rimangono retoriche e simboliche, dato che le capacità militari iraniane nel settore marittimo sono largamente insufficienti per imporre la propria volontà sui mari e per contrastare in maniera significativa, al di fuori di Hormuz, i traffici mercantili mondiali.
Tuttavia, pur avendo una capacità navale complessivamente modesta, l’Iran rimane un attore protagonista in quelle acque, ed è in grado di costituire una minaccia non trascurabile nell’area dello Stretto di Hormuz e di influire sul flusso dei rifornimenti energetici verso le rotte commerciali mondiali.
Renato Scarfi
Articolo pubblicato originariamente su DIFESAONLINE
Note
1 Chelsi Mueller, The origins of the Arab-Iranian conflict: Nationalism and Sovereignty in the Gulf between the World Wars, Cambridge University Press, 2020
2 Testo integrale in inglese sul sito dell’Iran Chamber Society, The Constitution of Islamic Republic of Iran
3 Renato Scarfi, Aspetti marittimi della Prima Guerra Mondiale, Ed. Ponte di Mezzo, 2018
4 Jean-Lup Samaan, Rivalités irano-saouidiennes: la dimension maritime, Moyen-Orient, 2018
5 International Institute for Strategic Studies (IISS), The Military Balance 2022
Foto: IRNA / Tasnim News Agency / web
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è un ufficiale pilota della Marina Militare della riserva. Ha frequentato il corso Normale dell’Accademia Navale e le scuole di volo della Marina Statunitense dove ha conseguito i brevetti di pilotaggio d’areo e d’elicottero. Ha ricoperto incarichi presso lo Stato Maggiore della Difesa, il Comando Operativo Interforze, lo Stato Maggiore della Marina, la Rappresentanza militare italiana presso la NATO a Bruxelles, dove si è occupato di strategia marittima e di terrorismo e, infine, al Gabinetto del Ministro della Difesa, come Capo sezione relazioni internazionali dell’ufficio del Consigliere diplomatico. E’ stato collaboratore della Rivista Marittima e della Rivista informazioni della Difesa, con articoli di politica internazionale e sul mondo arabo-islamico. È laureato in scienze marittime e navali presso l’Università di Pisa e in scienze internazionali e diplomatiche presso l’Università di Trieste e ha un Master in antiterrorismo internazionale. È autore dei saggi “Aspetti marittimi della Prima Guerra Mondiale” e “Il terrorismo jihadista”
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